venerdì, Aprile 19, 2024
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Il diritto all’immagine dei calciatori professionisti

Molto spesso le notizie inerenti ai tesseramenti di nuovi calciatori professionisti da parte delle società sportive fanno riferimento, oltre all’entità degli ingaggi, alla titolarità dei cosiddetti “diritti di immagine”, vale a dire il diritto di utilizzazione e sfruttamento dell’immagine dei calciatori medesimi.

Il proposito del presente contributo è quello di provare a far luce sulle peculiarità e sulla disciplina di tale fattispecie iniziando dal chiedersi quale sia la normativa applicabile.

È senza alcun dubbio possibile affermare che i calciatori professionisti sono persone note e che altresì partecipano a manifestazioni – le partite – pubbliche. Partendo da questo presupposto appare limpido il richiamo alla legge n. 633 del 1941 sul diritto d’autore – l.a. – la quale dispone all’articolo 97 che la riproduzione di una certa immagine, anche a fini commerciali, può prescindere dal consenso della persona effigiata ogniqualvolta sia giustificata, oltre che dalle necessità di polizia e dagli scopi scientifici, didattici e culturali, dalla notorietà della persona stessa ovvero dal fatto che l’immagine sia “collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico”. Sempre l’articolo 97 prevede poi al secondo comma un generale divieto di utilizzazione qualora questa arrechi pregiudizio “all’onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritratta”.

Dunque ciò significa che la riproduzione, e quindi l’utilizzazione commerciale, dell’effigie delle persone note, o che partecipano a manifestazioni pubbliche, nella specie i calciatori, è totalmente libera e avulsa da un qualsivoglia potere dispositivo fondato sul consenso sempreché non siano lesi l’onore, la reputazione e il decoro? Stando alla lettera dell’articolo 97 sembrerebbe di sì, in realtà un certo orientamento giurisprudenziale ha interpretato la norma in senso diverso. Tale orientamento ebbe origine negli anni ’70 nell’ambito del celebre “caso Mazzola” in cui il noto calciatore dell’Inter e della Nazionale aveva citato in giudizio un’azienda specializzata nella produzione di bambole per aver, senza previo consenso, prodotto e messo in commercio “bambolotti” che lo raffiguravano. L’azienda convenuta eccepiva proprio la notorietà di cui all’articolo 97 l.a. quale causa di giustificazione per la riproduzione dell’immagine del Mazzola, ma tanto la Corte di Appello di Milano quanto la Cassazione diedero ragione alla parte attrice interpretando in maniera del tutto nuova la norma di natura eccezionale appena esaminata. Sostanzialmente, le autorità giudicanti si trovarono d’accordo nel constatare che l’utilizzazione a fini commerciali dell’immagine di un qualsivoglia soggetto, quindi anche non necessariamente noto, è lecita soltanto nella misura in cui sia strumentale e preordinata al perseguimento di una finalità informativa o comunque avente una rilevanza pubblica[1]. Ciò significa che se la finalità perseguita ha natura unicamente economica l’utilizzazione dell’immagine non può essere libera, si deve al contrario fondare sul consenso della persona interessata. Se poi nel caso concreto si ravvisa una coesistenza tra finalità informativa e finalità lucrativa sarà compito dell’interprete effettuare un giudizio di prevalenza, nel senso che l’utilizzazione dell’immagine deve ritenersi abusiva solo se prevalentemente preordinata al perseguimento di un lucro[2]. Così, per esempio, l’utilizzazione dell’immagine di un calciatore può ben ritenersi lecita se inserita all’interno di un quotidiano recante notizie determinate che lo riguardano ovvero relative alla sua squadra di appartenenza – indipendentemente dalla previsione che il quotidiano sia destinato alla vendita e quindi finalizzato al perseguimento di un lucro – ma non nei casi in cui l’utilizzo dell’immagine abbia una finalità unicamente o prevalentemente lucrativa, come nel caso rispettivamente dei “bambolotti” e delle più ben note “figurine”, le quali sono certamente idonee ad assolvere un finalità divulgativa – esse sono infatti raccolte in album contenenti anche i dati anagrafici e sportivi degli atleti – tuttavia “del tutto marginale rispetto alla finalità commerciale perseguita dall’editore”[3].

In sostanza, l’immagine dei calciatori non è liberamente riproducibile per fini commerciali, e né si può affermare che rientri nella titolarità della società di appartenenza, del resto la legge n. 91 del 1981, nel disciplinare il rapporto di lavoro del calciatore professionista, stabilisce all’articolo 3 che l’oggetto del contratto coincide essenzialmente con la prestazione sportiva, nel senso che l’atleta si impegna esclusivamente ad allenarsi e a giocare le gare e in generale a partecipare agli impegni in cui è coinvolta la squadra, non facendo alcun cenno ad altre tipologie di prestazione, compresa un’eventuale cessione dei diritti legati all’immagine[4].

Assodato dunque che l’immagine del calciatore può essere sfruttata per fini commerciali solo ed esclusivamente previo il suo consenso occorre ora comprendere le dinamiche che si celano dietro la prestazione di tale consenso, partendo dalla disciplina generale per finire a quella speciale.

In linea di massima l’immagine di una persona può essere oggetto di atti dispositivi sia a titolo gratuito che a titolo oneroso, nel senso che il titolare può concedere a soggetti terzi, persone fisiche o giuridiche, il diritto di utilizzare la sua immagine, anche dietro il corrispettivo di un prezzo. Non per questo però, va specificato, il diritto all’immagine perde la sua natura di situazione soggettiva di tipo esistenziale dal momento che l’oggetto dell’atto non coincide con il diritto all’immagine in sé e per sé considerato bensì con il suo esercizio[5].

In particolare, l’atto di disposizione consiste in un negozio giuridico unilaterale e per questo sempre revocabile, in qualunque momento, anche nel caso in cui sia stato inserito all’interno di un atto di autonomia contrattuale e a fronte di un compenso – è evidente però che in un tale caso la controparte maturi un diritto al risarcimento del danno sofferto[6]. Per quanto riguarda la forma, generalmente non sussistono prescrizioni specifiche, potendo il consenso essere prestato anche in forma orale o per comportamenti concludenti[7], si ritiene tuttavia che il contratto avente ad oggetto il diritto ad utilizzare l’altrui immagine debba essere redatto in forma scritta ad probationem[8].

Passando alle tutele, invocabili a seguito di un’utilizzazione abusiva dell’immagine, la norma di riferimento è rappresentata dall’articolo 10 del Codice civile il quale predispone una tutela inibitoria, consistente nell’immediata cessazione dell’abuso, e una tutela risarcitoria, sia patrimoniale che non patrimoniale[9].

Per queste ragioni il calciatore professionista gode di un potere assoluto in relazione alla propria immagine potendo decidere di non cederne affatto i diritti di utilizzazione ovvero di cederli alla società per la quale è tesserato o a soggetti terzi. Nel secondo caso le parti integrano il contratto di lavoro con clausole specifiche che attribuiscono al club la gestione dell’immagine – è quindi la società sportiva a stipulare accordi commerciali, o non, con i terzi – così come dei proventi derivanti dal suo sfruttamento, anche se in alcuni casi esse possono liberamente accordarsi per una divisione equa o sbilanciata in termini percentuali dei proventi stessi[10].

Ma il calciatore può anche decidere di cedere i diritti di utilizzazione a società terze, estranee cioè al rapporto intercorrente con la società sportiva. Nel caso di specie alle regole generali sopra esaminate si affianca una normativa di settore la quale coincide essenzialmente con una Convenzione risalente al 1981 stipulata tra l’Associazione Italiana Calciatori – ossia l’ente rappresentativo dei calciatori in Italia, sia professionisti che dilettanti – da una parte e la Lega Nazionale e la Lega Nazionale Serie C – ossia gli organismi allora rappresentativi dei club professionistici italiani – dall’altra.

L’articolo 1 di detta Convenzione ribadisce che al calciatore è riconosciuta la possibilità di “utilizzare in qualsiasi forma lecita e decorosa la propria immagine anche a scopo diretto o indiretto di lucro”, potendo quindi cederla alla società di appartenenza ovvero a soggetti terzi a condizione, in quest’ultimo caso, che essa non sia “associata a nomi, colori, maglie, simboli o contrassegni della Società di appartenenza o di altre Società di Lega Nazionale o di Lega Nazionale Serie C, e purché non in occasione di attività calcistica ufficiale”. Insomma, il calciatore può liberamente stipulare accordi commerciali con società terze e cedere pertanto il diritto allo sfruttamento della propria immagine sempreché la stessa non sia riconducibile alla propria o ad altre società calcistiche[11] – il calciatore non potrà pertanto sponsorizzare, a titolo esemplificativo, un certo bene di consumo in tenuta da gara. Questa regola non si applica tuttavia alle scarpe da gioco, le quali sono soggette ad una diversa disciplina, contemplata dall’articolo 6, in virtù della quale i calciatori possono liberamente ed individualmente stipulare accordi relativi alle scarpe da usare durante le gare e gli allenamenti.

La Convenzione in questione si preoccupa poi di disciplinare tanto l’utilizzazione dell’immagine del calciatore da parte del club, dei suoi sponsor ovvero degli sponsor personali dell’atleta quanto i rapporti intercorrenti tra tali attori. La norma di riferimento coincide essenzialmente con l’articolo 8 secondo il quale le società sportive sono libere di stipulare con i terzi “accordi pubblicitari, promozionali o di sponsorizzazione”. Ne discende un’ampia discrezionalità per i club nella determinazione dei propri sponsor, anche tecnici, potendo addirittura stipulare accordi con i concorrenti degli sponsor dei singoli atleti. Al riguardo, la stessa norma aggiunge di conseguenza che i singoli calciatori non possono contestare le scelte dei club e che allo stesso tempo sono tenuti ad indossare gli indumenti sponsorizzati purché nell’ambito dell’attività agonistica o comunque connessa, inclusa quella di rappresentanza[12]. Allo stesso modo, in virtù del precedente articolo 7, le società sponsor degli atleti devono astenersi dal contestare le scelte dei club, anche qualora fossero contrarie ai propri interessi.

Ma gli atleti non possono altresì opporsi a che dette società sponsor della squadra organizzino manifestazioni promozionali o pubblicitarie – non potendo tra l’altro astenersi dal parteciparvi, sebbene nell’ambito dei limiti individuati dalla stessa Convenzione – e a “qualsiasi altra forma di utilizzazione economica delle attività agonistiche delle Società”, rientrando in questo novero certamente le concessioni a società televisive per la riproduzione delle gare e degli allenamenti nella quale, inevitabilmente, compare anche l’immagine dei professionisti.

Di particolare importanza, soprattutto alla luce dell’ormai consolidato ricorso ai social network per finalità pubblicitarie, è poi la disposizione in base alla quale i calciatori non possono opporsi a che la società sportiva conceda agli sponsor l’utilizzo delle proprie immagini, a condizione però che siano inserite in fotografie di gruppo della squadra, appunto per fini pubblicitari o promozionali. Al riguardo, la Convezione precisa che per “fotografie di gruppo” devono intendersi “le fotografie di squadra raffiguranti almeno undici dei suoi componenti”[13], invero si ritiene che, alla luce dell’inadeguatezza di tale fonte normativa, ormai risalente a quasi quarant’anni fa, per fotografia di gruppo possa intendersi anche quella raffigurante un’azione di gioco ovvero raffigurante una pluralità indefinita di atleti in posa[14]. E infatti non è raro osservare nelle pagine social degli sponsor del club fotografie raffiguranti un “gruppo”, così come poc’anzi definito, certamente non composto da undici soggetti, di calciatori. Per rimanere nell’ambito dell’utilizzo social delle immagini, nulla quaestio, ovviamente, se il club dispone dell’immagine, anche solo di un singolo atleta, per finalità unicamente o prevalentemente informativa, si pensi all’esempio del post corredato da immagine che informa gli utenti dell’ora e del luogo del match del giorno.

E così, la disciplina dell’immagine del calciatore professionista risulta essere estremamente interessante alla luce dei dubbi in cui fa imbattere gli operatori del diritto, e non solo. Si tenga presente del resto che le tradizionali regole in materia di proprietà intellettuale sono state oggetto di nuove interpretazioni proprio grazie a tali interrogativi. E l’interesse certamente non può che accrescere in considerazione dell’articolata e particolare normativa di settore che, in ogni caso, in linea di massima, attribuisce ampia autonomia negoziale a tutte le parti in causa e genera pertanto una singolare eterogeneità nei conseguenti rapporti obbligatori.

[1] Pardolesi, R., Sezione I Civile; Sentenza 10 Novembre 1979, n. 5790, in Il Foro Italiano, vol. 103, 1980, pp. 81/82–89/90, www.jstor.org, www.jstor.org/stable/23171826,  20 ottobre 2020.

[2] Facci G., Il diritto all’immagine dei calciatori, in Contratto e impresa, 4-5, 2014, pag. 1110, disponibile qui: https://www.fondazioneforensebolognese.it/files/eventi_file/dirittoimmaginecalciatori.pdf.

[3] Ivi, pag. 1102. Esiste poi un precedente che ancor meglio esemplifica il concetto di “giudizio di prevalenza”. Nel caso di specie il calciatore Diego Armando Maradona aveva citato in giudizio la sua ex squadra, il Napoli, per aver messo in commercio un DVD contenente le immagini dei suoi goal. Ebbene il Tribunale di Napoli ha condannato la società in quanto la finalità lucrativa derivante dalla vendita del DVD era prevalente rispetto alla comunque indubbia finalità informativa assolta dal prodotto, Ivi, pag. 1101.

[4] Ivi, pag. 1108.

[5] Per questo motivo, tra l’altro, l’atto di disposizione deve individuare in maniera puntuale sia le finalità dell’utilizzazione dell’immagine che le modalità con cui questa deve avvenire, Torrente A., Schlesinger P., Manuale di diritto privato, Giuffrè, Milano, 2019, pag. 142.

[6] Ibidem.

[7] Cazzetta G., Il diritto all’immagine alla luce della giurisprudenza interna e della Corte EDU, in Chiappetta G., Lezioni di diritto civile, Edizioni scientifiche calabresi, Rende, 2018, ebook.

[8] Torrente A., Schlesinger P., op. cit., pag. 143.

[9] Ibidem.

[10] È il caso del Napoli, che, salve rare eccezioni, pretende il 100% dei diritti relativi all’immagine dei propri tesserati, ma anche del Real Madrid che invece propone una suddivisione al 50%, De Santis M., Come i diritti d’immagine influenzano il mercato del Napoli, in www.ultimouomo.com, https://www.ultimouomo.com/napoli-diritti-immagine/, 3 novembre 2020.

[11] A ciò si aggiunge anche l’impossibilità, per il calciatore, di associare la propria immagine a simboli, colori, maglie e contrassegni della squadra nazionale.

[12] Non è infatti inusuale che un certo atleta, sponsorizzato dall’azienda x, indossi durante le gare o gli allenamenti gli indumenti dell’azienda y concorrente diretta di x.

[13] Convezione per la regolamentazione degli accordi concernenti attività promozionali e pubblicitarie che interessino le società calcistiche professionistiche ed i calciatori loro tesserati, disponibile qui: https://gabrielenicolella.it/wp-content/uploads/2019/06/Convenzione-per-la-regolamentazione-degli-accordi-concernenti-attivit%C3%A0-promozionali-e-pubblicitarie-societ%C3%A0-calciatori-23.07.1981.pdf.

[14] Facci G., La sponsorizzazione tecnica e lo sfruttamento commerciale del marchio sportivo, in La nuova giurisprudenza civile commentata, pag. 655, 12, 2010, Cedam, Padova.

Gennaro Calimà

Nato a Castrovillari, in provincia di Cosenza, il 9 giugno 1994. Dopo aver conseguito la maturità scientifica si iscrive al corso di laurea in Giurisprudenza dell'Università della Calabria presso la quale consegue nel 2020 il titolo di dottore magistrale discutendo una tesi in Diritto processuale penale dal titolo "Le nuove frontiere delle neuroscienze nel processo penale". Dallo stesso anno, oltre ad aver intrapreso la pratica legale, ha iniziato a collaborare con Ius in itinere per l'area "IP & IT".

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