venerdì, Aprile 19, 2024
Criminal & Compliance

Il disastro ambientale disciplinato dall’art. 452-quater c.p.

Il delitto di disastro ambientale è disciplinato dall’art. 452-quater c.p. il quale prevede che: «Fuori dai casi previsti dall’articolo 434» – Crollo di costruzioni o altri disastri dolosi «chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni. Costituiscono disastro ambientale alternativamente:

1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema;

2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;

3) l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.

Quando il disastro è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata».

Tale disposizione è stata inserita nel codice penale dall’art. 1 della l. 22 maggio 2015 n. 68 (Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente): legge che ha dato vita, altresì, ad un intero Titolo (il VI bis) a decorrere dal 29 maggio 2015 [1]. La legge 68 del 2015 ha introdotto, insieme al delitto di disastro ambientale, innumerevoli nuove fattispecie di delitto legale all’ambiente, in particolare: inquinamento ambientale, traffico ed abbandono di materiale radioattivo, impedimento di controllo ed omessa bonifica; dove inquinamento e disastro costituiscono effettivamente i cardini della 68/2015, costituendo le fattispecie con le pene detentive maggiori. [2]

Con la legge 68/2015 il legislatore ha inteso colmare il vulnus legislativo conseguente alla mancanza nel codice penale di norme sanzionatorie di condotte lesive per l’ambiente: prima del 2015 tali comportamenti venivano sostanzialmente puniti mediante il ricorso al disastro innominato (anche detto “altro disastro”) ex art. 434 c.p. per cui «Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti, commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro è punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni. La pena è della reclusione da tre a dodici anni se il crollo o il disastro avviene».

Prima della riforma, dunque, mancava una vera e propria figura autonoma di reato, configurandosi il disastro ambientale quale macro-evento comprensivo sia degli evidenti eventi disastrosi (immediatamente percepibili) che degli eventi non immediatamente percepibili come tali, esplicanti i propri effetti in un lasso di tempo notevolmente più dilatato e distante rispetto all’evento-causa.

La differenza tra disastro ambientale e disastro innominato è enorme: nel primo caso il bene giuridico tutelato è il bene ambiente, nel secondo caso, esso è costituito dalla pubblica incolumità. È proprio la Corte di Cassazione con la Sent. 2990 del 2018 (III Sez.Pen.) ad intervenire circa il distinguo tra le due tipologie di reato, caratterizzando il disastro ambientale quale lesione dell’ecosistema, potendo ricollegare il 452-quater c.p. al 434 c.p. solo nella ipotesi astratta in cui il reato sia plurioffensivo e diretto sia all’integrità dell’ambiente quanto alla pubblica incolumità. Il disastro innominato si caratterizza, altresì, quando l’offesa alla pubblica incolumità non è solo ed esclusivamente conseguenza di una lesione al bene ambiente [3].

La norma ex art. 452 quater c.p. caratterizza alternativamente il disastro ambientale quale conseguenza di determinati comportamenti a dolo generico contraddistinti da: alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; un’alterazione dell’ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; offesa alla pubblica incolumità per via della diffusività del danno ambientale e della messa in pericolo di un numero indeterminato di persone.

Preliminarmente è d’obbligo osservare come la norma si apra con una ambigua clausola di riserva: la portata applicativa della stessa risulta esclusa nelle ipotesi previste dall’art. 434 c.p. [4]: parte maggioritaria della dottrina ha ritenuto quasi irrazionale tale richiamo presente al primo comma, presupponendo in tal modo quasi una operatività primaria del 434 c.p. rispetto alla nuova fattispecie, la quale parrebbe operare in via subordinata rispetto al disastro innominato (presupponendo così una sorta di restringimento applicativo del cd. Disastro ambientale).

Continuando nell’analisi dell’art. 452-quater c.p. è necessario sottolineare come il reato sussista indipendentemente dalla lesione o messa in pericolo della vita umana, basandosi sulla componente ambientale in un’ottica del tutto ecocentrica della tutela stessa. È proprio la già citata Sentenza 18 giugno 2018 n. 29901 della III Sezione Penale della Corte di Cassazione a statuire come il disastro ambientale tuteli direttamente il bene-ambiente, coprendo solo indirettamente, in quanto conseguenza diretta d’un condotta lesiva dell’ecosistema, l’incolumità pubblica. In tal modo è proprio la Suprema Corte a prevedere come tale fattispecie sia autonoma nella tutela dell’integrità ambientale.

Nella lettura della norma un ulteriore chiarimento è fornito dagli Ermellini nella Sentenza del 2018 per cui requisito del disastro ambientale è quello della «“abusività” della condotta, comune anche ad altri delitti contro l’ambiente, quali l’inquinamento ambientale, sanzionato dall’art. 452-bis cod. pen. e rispetto al quale questa Corte, richiamando anche i principi precedentemente affermati con riferimento al delitto ora contemplato dall’art. 452-quaterdecies cod. pen. (e prima sanzionato dall’art. 260 d.lgs. 152\06), ha avuto già modo di pronunciarsi (Sez. 3. n. 18934 del 15/3/2017, Catapano, non massimata; Sez. 3, n. 15865 del 31/1/2017, Rizzo. Rv. 269491; Sez. 3, n. 46170 del 21/9/2016, P.M. in proc. Si monelli, Rv. 268060, con richiami ai prec.), ritenendo, in sintesi, che la condotta “abusiva” è non soltanto quella svolta in assenza delle prescritte autorizzazioni o sulla base di autorizzazioni scadute o palesemente illegittime o comunque non commisurate alla tipologia di attività richiesta, ma anche quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali – ancorché non strettamente pertinenti al settore ambientale – ovvero di prescrizioni amministrative».

In chiusura è necessario fornire una definizione vincolante per la corretta lettura della norma sul cd. disastro ambientale: quale nozione di ambiente è, dunque, da prendere in considerazione?

Il legislatore pare abbia inteso riferirsi ad una accezione ampia di ambiente, non circoscritta al semplice aspetto naturale, ma estesa altresì alle conseguenze dell’intervento umano: è da considerarsi, dunque, non solo l’ambiente nella sua connotazione originaria e strettamente naturale, ma altresì inteso come risultato delle trasformazioni e dei cambiamenti posti in essere dall’uomo e che sono, dunque, meritevoli di tutela.

Ad una soluzione del genere si è orientati altresì dalle aggravanti previste dagli artt. 452-bis, comma 2, 452-quater comma 2 «nella parte in cui si riferiscono alle ipotesi in cui i fatti puniti si verifichino anche in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, storico, artistico, architettonico o archeologico, né osta a tale soluzione alcuna delle disposizioni contenute nel titolo». Una concezione estesa di “ambiente” si rinviene altresì nella giurisprudenza costituzionale: si parla, a proposito, di valore costituzionalmente protetto per cui «quando si guarda all’ambiente come ad una “materia” di riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni, è necessario tener presente che si tratta di un bene della vita, materiale e complesso, la cui disciplina comprende anche la tutela e la salvaguardia delle qualità e degli equilibri delle sue singole componenti».

Occorre, in altri termini, guardare all’ambiente come “sistema”, considerato cioè nel suo aspetto dinamico, quale realmente è, e non soltanto da un punto di vista statico ed astratto (Corte Cost. sent. 378 del 14 novembre 2007).

[1] Sul punto Brocardi.it

[2] Si veda il testo della Legge n. 68/2015

[3] Si veda sul punto “Disastro ambientale e disastro innominato” in www.diritto.it

[4] V. Solenne, Il delitto di disastro ambintale, art. 452-quater c.p.  in Pandslegal.it.

[5] F. Ciotta, Il disastro ambientale non abroga il disastro c.d. “innominato” in Ius in Itinere

Fonte immagine: Pixabay. Com

Antonio Esposito

Dottore in Giurisprudenza, laureato presso la Federico II di Napoli: si occupa prevalentemente di Diritto Penale e Confessionale. Sviluppa la propria tesi di laurea intorno all'affascinante rapporto tra fattore religioso e legislazione penale (Italiana ed Internazionale), focalizzandosi su argomenti di notevole attualità quali il multiculturalismo, il reato culturalmente motivato e le "cultural defense".

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