giovedì, Marzo 28, 2024
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Il fenomeno del cyberbullismo nell’ordinamento italiano

  1. Introduzione

Solo in tempi recenti sono stati riconosciuti ai minori diritti inerenti la sfera della privacy. Questo ritardo va legato “alla lentezza con cui il diritto alla riservatezza, inteso nella sua originaria accezione, di matrice liberale, come diritto alla conoscenza esclusiva si è affermato nel nostro ordinamento”.[1] Già da alcuni anni il fenomeno è oggetto di analisi e studi come dimostrato dalla “Indagine conoscitiva su bullismo e cyberbullismo” dell’Istat. I ragazzi, nativi digitali, trascorrono la maggior parte del loro tempo online, davanti allo schermo di un computer o dello smartphone.[2] La Rete è quindi parte della loro quotidianità ed è il ‘luogo’ virtuale nel quale lasciano i loro dati personali e le informazioni a loro riconducibili.[3] Il cyberbullismo è considerato come evoluzione del bullismo, ma tuttavia è ritenuto un fenomeno che produce effetti anche gravi nella società. In questi anni il fenomeno è stato affrontato sotto i diversi aspetti e dalle autorità competenti fino a giungere all’emanazione della Legge 29 maggio 2017, n. 71 recante “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo”.[4] Il legislatore è giunto al varo di questo testo normativo in seguito ad un’ampia discussione in materia e in seguito al verificarsi di casi di suicidio per bullismo e cyberbullismo. Si è di fronte ad un fenomeno che, come Internet, non presenta limiti né temporali né di spazio, ma con un potenziale molto più elevato rispetto al fenomeno del bullismo.[5] Come affermato da Antonello Soro, Presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, “i giovani non hanno la reale percezione del potere della rete. Di come la vita privata, nell’era dei social network, acquisti un altro peso e i rapporti tutta un’altra platea: sempre più vasta e sconosciuta”.[6] Oggi i social network, nati in origine come strumento per collegare gli utenti, sono divenuti ‘campo’ nel quale i cyberbulli attaccano le loro vittime.[7] Per far fronte a questa questione, il nostro ordinamento sta cercando di mettere in campo azioni che richiamano l’operato a livello comunitario.

  1. Il fenomeno e le modalità del cyberbullismo

Il termine cyberbullismo è stato coniato nel 2002 da Bill Belsey ed è “l’esempio di come internet, strumento dalle grandi potenzialità possa diventare un’arma a doppio taglio per i più deboli e sprovveduti tra i suoi utilizzatori”.[8] Nel 2008 il lemma cyberbullismo è stato, individuato da J.W. Patchin e S. Hinduja come “willful and repeated harm inflicted through the medium of electronic text”.[9] Al pari di un atto di bullismo, l’atto di cyberbullismo ha come obiettivo arrecare un danno alla vittima. Tuttavia, la differenza consiste nella modalità con cui è attuato. Certamente la trasformazione tecnologica e, di fatto, il modo di rapportarsi degli adolescenti tra di loro ha visto la diffusione di comportamenti legati ad un uso errato delle nuove tecnologie portando a riconoscere il fenomeno del cyberbullismo.[10] Il campo di azione è quello della Rete che consente, inizialmente, al cyberbullo di celarsi dietro identità non veritiere o alterate. In questo modo, agendo nell’anonimato, “può scatenare un’aggressività che invece nella vita reale, con relazioni vis à vis, probabilmente terrebbe a freno”.[11] Tuttavia l’apparente anonimato rafforza l’azione del cyberbullo che non può “vedere da vicino gli effetti della sua violenza”.[12] È chiaro che per comprendere il contesto e l’ambito nel quale vengono perpetrati gli atti lesivi è necessario il diretto riferimento all’uso delle nuove tecnologie tra i minori, figli della società dell’informazione, e questo ha fatto sì che questo fenomeno trovasse una rapida diffusione.[13] Come è stato dimostrato da studi e analisi, i minori trascorrono la maggior parte del loro tempo davanti allo schermo di un computer o del loro smartphone dove si scambiano informazioni, immagini o video lasciando, di fatto, i loro dati personali nella Rete.[14] In particolare, negli ultimi anni, è sorto, come affermato da C. Perlingieri, “il problema della tutela dei minori nelle piattaforme sociali imponendo, in particolare, di verificare l’adeguatezza dei consueti strumenti di protezione di tali soggetti anche in siffatti ambienti digitali”.[15] Va evidenziato che la tutela dei minori sia sul web che, in particolare, sui social network debba essere considerata sia sotto l’aspetto fisiologico che patologico. Nel primo caso si devono individuare gli strumenti e le regole che consentano ai minori di accedere ai social network; nel secondo caso vanno considerati gli strumenti di tutela dei soggetti minorenni per tutelarli dai rischi ‘nascosti’ nella Rete e sui social network.[16] Infatti il Garante Privacy si è sempre mostrato prudente e ha fornito delle Linee Guida per chi intendeva utilizzare i social network[17] perché quando i dati fuoriescono dall’ambito del controllo del singolo entrano in un vero e proprio “labirinto”[18] di piattaforme, social network e in altre aree di condivisione dati, impedendo, di conseguenza, qualsiasi altra forma di controllo. L’utilizzo di questi strumenti da parte dei nativi digitali ha modificato il modo di rapportarsi nella società e ha cambiato il tipo di relazioni che si instaurano tra i giovani protagonisti del mondo della Rete.[19] Essi sono dei ‘attori’ primari nell’uso delle tecnologie e dei social, tuttavia va ravvisato che da una parte vi è chi ritiene queste comunità virtuali come fattore positivo nelle relazioni tra gli individui, ma vi è anche chi considera tali comportamenti come incidenti, in senso negativo, sullo sviluppo cognitivo dei minori[20] perché il rischio maggiore è che essi entrino in contatto con contenuti non adatti alla loro età o con persone ‘virtuali’(fenomeno denominato child grooming  o adescamento in Rete).

  1. Gli atti antecedenti al varo della legge 29 maggio 2017, n. 71

L’evoluzione tecnologica e il passaggio alla società dell’informazione hanno portato il legislatore ad intervenire, seppure in ritardo, per regolamentare alcuni fenomeni come quello del cyberbullismo con ampi risvolti sia sotto l’aspetto civile che penale. Quindi per quanto riguarda il nostro ordinamento, una prima regolamentazione del fenomeno fu introdotta nel 2007 quando fu varata una direttiva ministeriale avente come obiettivo l’individuazione delle “Linee guida di indirizzo ed indicazioni in materia di utilizzo dei telefoni cellulari e di altri dispositivi elettronici durante l’attività didattica, irrogazione di sanzioni disciplinari, dovere di vigilanza e di corresponsabilità dei genitori e dei docenti”.[21] La finalità era giungere ad una maggiore responsabilizzazione nell’uso delle nuove tecnologie all’interno delle scuole e durante l’orario scolastico. Nel 2007 il Ministero della Pubblica Istruzione ha varato la direttiva ministeriale n. 16 del 5 febbraio 2007 con la quale ha presentato le linee guida, cioè “Linee di indirizzo generali e azioni a livello nazionale per la prevenzione e la lotta al bullismo” con il fine di creare degli osservatori regionali che si occupassero della materia[22] e monitorassero costantemente l’evoluzione del fenomeno in commento. Si è trattato di linee guida di fondamentale importanza in particolar modo per le scuole e per le famiglie e anche per i minori stessi. Infatti la legge sul cyberbullismo del 2017 ne ha riconosciuto l’importanza inserendo un richiamo a tale direttiva ministeriale all’art. 4. Altro atto antecedente la legge del 2017 è un provvedimento ministeriale del MISE che ha visto l’approvazione di una prima bozza del Codice di Autoregolamentazione anti-cyberbullismo[23] ove, all’art. 1, è stato previsto che “gli operatori che forniscono servizi di social networking, i fornitori di servizi online, di contenuti, di piattaforme User Generated Content e social network che  aderiscono al presente Codice, […], si impegnano ad attivare appositi meccanismi di segnalazione di episodi di cyberbullismo, al fine di prevenire e contrastare il proliferare del fenomeno”. Il Codice di Autoregolamentazione aveva anche previsto il “perimetro del cyberbullismo” facendo riferimento ai comportamenti messi in atto per danneggiar e screditare l’immagine di un coetaneo.[24] Anche questo atto ministeriale è stato riconosciuto dalla legge n. 71/2017 ove all’articolo 3 comma 3 è previsto che “il codice di autoregolamentazione per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo, a cui devono attenersi gli operatori che forniscono servizi di social network e gli altri operatori in rete” integri il disposto del comma 2 dell’articolo in commento.[25] A distanza di alcuni anni, nel 2015, il Ministero dell’Istruzione ha provveduto alla stesura di un documento contenente “Linee di orientamento per azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo e al cyberbullismo”. Queste nuove linee guida individuano “nuova governance diffusa in materia di prevenzione e contrasto del bullismo e cyberbullismo sul territorio”[26] e rivolte a studenti e alle loro famiglie, agli insegnanti e ai dirigenti scolastici chiamati a prevenire e arginare questo fenomeno educando i ragazzi ad un corretto e consapevole uso dei mezzi informatici. È fondamentale che si comprenda il concetto secondo cui la sicurezza in Rete non dipende soltanto dalla tecnologia utilizzata, ma dipende anche dalla “capacità di discernimento delle singole persone nel proprio relazionarsi attraverso la Rete”.[27] L’imponente diffusione dei social network nell’ultimo decennio è dimostrata da analisi, studi nei quali sono state riconosciute le “principali motivazioni che spingono i giovani all’uso dei social network: bisogno di connessione per vincere la noia; bisogno di informazione; bisogno di relazione; bisogno di amicizia”.[28] È, dunque, necessario che i minori vengano responsabilizzati nell’uso degli strumenti tecnologici a garanzia della loro sicurezza in Rete e della protezione dei loro dati sensibili.[29] Recentemente, nel 2015, con la Legge n. 107 c.d. Buona Scuola, il legislatore ha inserito il riferimento alla prevenzione e al contrasto della dispersione scolastica e di ogni forma di discriminazione e di bullismo anche quello attuato attraverso mezzi informatici. La legge 107/2015 all’art. 1 comma 7 lett. h) evidenzia la necessità che gli studenti sviluppino le competenze digitali che permettano loro di utilizzare consapevolmente gli strumenti tecnologici ed evitare così di ‘cadere’ nelle trappole o essere vittime di atti di cyberbullismo.

  1. La Legge 29 maggio 2017, n. 71

Nel nostro ordinamento la legge n. 71 del 2017 recante “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo” è il risultato di un iter che ha portato il legislatore e le istituzioni nazionali ad intervenire nel merito. La discussione della legge ha portato ad un ampio dibattito tra i giuristi. Per alcuni di essi questo testo non dovrebbe essere considerato una “autentica legge[30] perché non sono presenti principi sanzionatori. Infatti la legge del 2017 dà la possibilità, come previsto all’art. 2 c.1, a chi ha subito un atto di cyberbullismo di “inoltrare al titolare del trattamento o al gestore del sito internet o del social media un’istanza per l’oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi altro dato personale del minore”. La normativa in commento ha come fine primario la tutela della vittima di cyberbullismo, ma allo stesso tempo contiene elementi che consentano una responsabilizzazione dei giovani attraverso una corretta e adeguata educazione scolastica sotto l’egida delle istituzioni sia pubbliche che private e delle famiglie.[31] Con questa legge il nostro ordinamento ha previsto questo strumento normativo per il contrasto ad un fenomeno, che negli ultimi anni, ha presentato una profonda diffusione e al contempo garantire alla vittima di atti di cyberbullismo una forma di protezione, perché si è di fronte ad un fenomeno che presenta un grado di pericolosità elevato. L’intervento del legislatore è stato richiesto, visti i sempre più frequenti fatti di cronaca anche in base ai dati e alle analisi derivanti dall’attività della Polizia Postale e ai dati raccolti dall’ISTAT che nel 2015 in un rapporto del 2015 ha rilevato che le azioni di bullismo-cyberbullismo sono messe in atto tra gli adolescenti in una sorta di climax ascendente fino ad arrivare alla diffamazione online.[32] Dal Report dell’ISTAT è emerso che il fenomeno è maggiormente diffuso tra le ragazze, che rappresentano quasi il 90% degli utilizzatori del cellulare. L’articolo 1 della legge n. 71 del 2017 presenta la definizione di cyberbullismo; mentre il successivo articolo 2 prevede una forma di tutela della dignità del soggetto minore. Questa facoltà è riconosciuta in capo ad un soggetto minore che abbia almeno quattordici anni. Tuttavia non viene escluso l’intervento del genitore. Egli può agire, nel rispetto dell’art. 30 Cost, anche qualora dovesse mancare il consenso del figlio minore.[33] L’articolo 3 della legge in commento prevede un piano di azione integrato ovvero che le diverse autorità governative, e l’Autorità garante per la protezione dei dati personali collaborino e coordinino le attività. L’articolo 4 richiama la legge n. 107/2015 ed è rubricato “Linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto in ambito scolastico”.  Il successivo articolo 5 è rivolto all’ambiente scolastico, ovvero spetta al dirigente scolastico, una volta venuto a conoscenza di atti di cyberbullismo, informare le autorità competenti. L’articolo 6 è invece riferito al rifinanziamento del fondo per “il contrasto della pedopornografia su internet e per la protezione delle infrastrutture informatiche di interesse nazionale”.[34] Infine, l’ultimo articolo, l’art. 7 è rubricatoammonimento”: si tratta di una misura alla quale può ricorrere il questore  nei confronti del cyberbullo. Si tratta di una azione di prevenzione e repressione di questo fenomeno ricorrendo a misure diverse da quelle di carattere penale.[35]

  1. Il riconoscimento della responsabilità in capo ai genitori per atti di cyberbullismo compiuti da figli minori

Affrontando questo tema sorge una questione sotto l’aspetto civilistico riguardante la responsabilità anche in capo ai genitori per l’atto illecito di cyberbullismo commesso dal figlio minorenne. Consegue che i genitori sono chiamati al risarcimento del danno morale e materiale subito dalla vittima. La responsabilità ricade sia sul minore autore dell’illecito che sui genitori per culpa in educando e culpa in vigilando. Anche gli insegnanti, nel caso di atti illeciti verificatesi in ambito scolastico, non sono esonerati da responsabilità; infatti essi potranno essere chiamati a rispondere per culpa in vigilando ex art. 2048 c.c.[36] A livello codicistico gli artt. 2047-2048 c.c. sono le norme cardine in materia di responsabilità come affermato dalla Corte di Cassazione con la statuizione n. 7050 del 2008 con la quale è stata riconosciuta la responsabilità dei genitori per danni causati dai figli minori con loro conviventi.[37] Nel caso in cui a commettere un atto di cyberbullismo siano più autori, la Suprema Corte è intervenuta nel 2014 in merito a casi di cyberbullismo con la sentenza n. 20192 con la quale è stata riconosciuta la responsabilità solidale degli autori dell’atto illecito. Va, inoltre, sottolineato che la disposizione codicistica dell’art.2046 c.c. prevede che “non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità di intendere e di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato di incapacità derivi da sua colpa”. Spetta al giudice accertare, di volta in volta, l’eventuale coinvolgimento di un soggetto minorenne e verificare la capacità di intendere e di volere di quest’ultimo oppure la sua incapacità.[38] Nel caso in cui il minore venga considerato, dal giudice, capace di intendere e di volere, egli sarà tenuto al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. e di conseguenza anche i genitori, in solido, ex art. 2048 c.c., mentre nel caso di incapacità il riferimento sarà l’art. 2046 c.c. Tuttavia i giudici di Suprema Corte nel 2014 con la sentenza n. 3964 si sono mostrasti rigorosi nell’adottare una decisione in base alla quale i genitori “possono liberarsi da ogni responsabilità soltanto se dimostrano di non aver avuto una colpa nell’educare il loro figlio, anche se prossimo alla maggiore età. Anzi, in considerazione del fatto che oggi è sempre più anticipato il momento in cui i minori si allontanano dalla sorveglianza diretta dei genitori, diventando autonomi per diverse attività […]”.

  1. Conclusioni

Questa serie di interventi giurisprudenziali antecedenti alla legge n. 71 del 2017 hanno mostrato che i giudici sia di merito che di legittimità sono concordi nel condannare i genitori e coloro che sono chiamati ad educare ed istruire i figli nel rispetto delle disposizioni che sia il codice civile che l’ordinamento nazionale prevedono per i danni causati dai figli minorenni ad altri soggetti. Si può asserire che il minore autore di un illecito online, nella maggior parte dei casi, è inconsapevole dell’atto che compie. Nonostante ciò anche i genitori sono spesso inconsapevoli dei rischi che i figli minori corrono nella loro ‘attività’ online, ma in alcuni casi sono i genitori stessi ad essere “fautori dell’esposizione mediatica dei loro figli”. [39] Nell’era delle nuove tecnologie “si possono riscontrare frequenti applicazioni del principio soprattutto nelle relazioni tra giovani utenti, dando origine a nuovi danni risarcibili mediante il ricorso alla terminologia informatica”.[40] Oggi la gravità del danno commesso online è fortemente amplificata per la realtà senza confini quale è la Rete e questo comporta come conseguenza un numero elevato di lesioni dei diritti fondamentali, costituzionalmente garantiti. Certamente, la trasformazione della società in società dell’informazione e la diffusione dei mezzi telematici ha evidenziato quanto siano a rischio i soggetti incapaci ritenuti più esposti in quanto possono essere o vittime o autori di atti illeciti, motivo per il quale si è reso necessario l’intervento del legislatore per riordinare le norme civilistiche e comunitarie e “consolidare alcuni dei principi fissati in materia dalla giurisprudenza per garantire una maggiore fedeltà ad uno strumento normativo, quello della responsabilità dell’incapace e del minore” che dimostra ancora oggi la sua centralità.[41] È quindi doveroso, come afferma G. Ziccardi, “aprire nuove prospettive dovute al fatto che la tecnologia ha completamente cambiato non soltanto le modalità di comunicazione ma anche di aggressione, di percezione dell’attacco e di durata e persistenza dell’azione criminale, e ha permesso con più agio nuove modalità di azione”.[42]

[1] M. Orofino, Minori e diritto alla protezione dei dati personali, in M. Orofino, F.G. Pizzetti, Privacy, minori e cyberbullismo, Giappichelli, 2018, p. 1.

[2][…] L’85,5% dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni di età utilizza quotidianamente il telefono cellulare. Il 72% dei ragazzi in quella stessa fascia di età naviga in Internet tutti i giorni” in Indagine conoscitiva su bullismo e cyberbullismo. audizione del Presidente dell’Istituto nazionale di statistica. Prof. Gian Carlo Blangiardo, Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza. Roma 27 marso 2019, p. 8. Qui disponibile: https://www.istat.it/it/files//2019/03/Istat-Audizione-27-marzo-2019.pdf

[3] Infatti il Gruppo di Lavoro ex art. 29 ha varato il parere n. 5 del 12 giugno 2009 nel quale è stato è affrontato il tema riguardante l’obbligo per i social networks di adeguarsi alla normativa comunitaria in materia di protezione dei dati personali in un’epoca in cui i social network non avevano la risonanza che invece, hanno in questi ultimi anni. Qui disponibile:

[4] La legge è entrata in vigore il 18 giugno 2017. Qui disponibile: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/06/3/17G00085/sg

[5] M. Alovisio, Bullismo e cyberbullismo dal punto di vista giuridico, in Stalking, atti persecutori, cyberbullismo e tutela dell’oblio, a cura di G. Cassano, Wolters Kluwer, 2017, p. 150-151.

[6] Antonello Soro: i social network un rischio per un giovane su quattro – Intervista, Qui disponibile: https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/2296565

[7] V. Falcone, La tutela della persona nell’epoca dei social network. Cyberbullismo e dintorni a seguito della legge n. 71/2017. Qui disponibile:

[8] P. Zanaboni, Il bullismo online e l’educazione digitlae degli adolescenti, in G. Ziccardi, P. Perri, Tecnologia e diritto. Fondamenti di informatica per il giurista, Giuffrè, 2017, p. 304. A distanza di qualche anno, nel 2006, è stata proposta una ulteriore definizione intesa come “forma di prevaricazione volontaria e ripetuta nel tempo” con il fine di arrecare danno ad un soggetto debole e incapace di difendersi, in G. Ziliotto, Cyberbullismo, in A.L. Pennetta, Bullismo, cyberbullismo e nuove forme di devianza, GIappichelli, 2019, p. 37. Si veda anche la definizione fornita da G. Bausilio, Bullismo e cyberbullismo, in Trattato breve dei nuovi danni, diretto da P.Cendon, CEDAM, 2014, p. 817.

[9] J.W. Patchin, S. Hinduja, Cyberbullying: an exploratory analysis of factors related to offending and victimization, in Deviant Behavior, vol. n. 29, 2008, p. 129-156.

[10] G. Ziccardi, Il cyberbullismo nella società tecnologica, in M. Orofino, F.G. Pizzetti, Privacy, minori e cyberbullismo, Giappichelli, 2018, p. 113.

[11] G. Ziliotto, op. cit..

[12] A. Gorini, il cyberbullismo: spetti psicologici e implicazioni pratiche, in M. Orofino, F.G. Pizzetti, Privacy, minori e cyberbullismo, Giappichelli, 2018, p. 105.

[13] Dal rapporto ISTAT è emerso che circa il 23% delle vittime di bullismo sono state soggette ad atti di cyberbullismo. Qui disponibile: https://www.istat.it/it/files//2019/03/Istat-Audizione-27-marzo-2019.pdf

[14] Il parere n. 5 del 12 giugno 2009 redatto dal Gruppo di Lavoro ex art. 29 ha affrontato una tematica rilevante sotto il profilo giuridico. Esso “tratta del modo in cui il funzionamento dei diti di social network può soddisfare le prescrizioni UE sulla protezione dei dati ed è inteso in primo luogo a fornire ai fornitori di servizi di social network (SNS) indicazioni sulle misure necessarie per conformarsi alla normativa comuinitaria”. Qui disponibile:

[15] C. Perlingieri, La tutela dei minori di età nei social networks, in Rassegna di diritto civile, Edizioni Scientifiche Italiane, 4/2016, p. 1325.

[16] C. Perlingieri, op. cit.

[17] Garante Privacy, qui disponibile: https://www.garanteprivacy.it/documents/10160/10704/OpuscoloSocial+Network.pdf/1bf40387-12b7-485e-a72d-a57e6499dd87?version=1.4

[18] S. Sica, G. Giannone Codiglione affermano che “l’ingresso in questo ideale ‘labirinto’ di regole ed esenzioni avviene con l’atto di iscrizione- o di registrazione- dell’utente all’interno della piattaforma, azione che conchiude in sé numerosi profili di criticità […]”, S. Sica, G. Giannone Codiglione, Social network sites e il ‘labirinto’ delle responsabilità, in Giurisprudenza di merito, Giuffrè, 12/2012, p. 2714.

[19] I dati diffusi da EUROSPES  nel 2018 evidenziano che “il 28,2% degli studenti che frequentano la scuola secondariadi primo gradoutilziza i social network, percentuale che sale al 71,8% tra gli adolescenti della scuola secondaria di secondo grado. Il social più  amato è Instagram: 9 su 10 lo usano per comunicare, mentre 6 su 10 scelgono quotidianamente Facebook […]”. Si veda a riguardo G. Ziliotto, Cyberbullismo, in A.L. Pennetta, Bullismo, Cyberbullismo e nuove forme di devianza, Giappichelli, 2019, p.43-44.

[20] A. Thiene, I diritti della personalità dei minori nello spazio virtuale, in Annali online della Didattica e della formazione docente, vol. 9, n. 13/20176, p. 27.

[21] Infatti il Ministero della Pubblica Istruzione è intervenuto con una direttiva poiché fatti di cronaca avevano avuto proprio l’ambiente scolastico come protagonista in quanto il verificarsi di fenomeni di bullismo, di uso improprio dei telefoni cellulari durante l’orario scolastico avevano rappresentato casi da non sottovalutare dato che il rischio di una loro diffusione era concreto. Qui disponibile: https://archivio.pubblica.istruzione.it/normativa/2007/allegati/prot30_07.pdf

[22]Le strategie operative che saranno adottate dagli osservatori si moduleranno su quattro livelli: a) prevenzione e lotta al bullismo attuate attraverso l’attivo coinvolgimento di tutte le componenti delle realtà scolastiche e attraverso programmi di intervento rispondenti in particolare alle esigenze degli specifici contesti territoriali; b) promozione di percorsi di educazione alla legalità attraverso attività curriculari ed extracurriculari; c) monitoraggio costante del fenomeno del bullismo; d) monitoraggio e verifica in itinere e conclusiva delle attività svolte dai vari soggetti coinvolti, anche attraverso la raccolta e valutazioni sulle attività svolte e proposte sulla prosecuzione delle stesse, provenienti dalle scuole”, in Direttiva del Ministero della Pubblica Istruzione, 5 febbraio 2007.

[23]Codice di Autorgolamentazione per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo. Qui disponibile: https://www.mise.gov.it/images/stories/documenti/codice_cyberbullismo_8%20gennaio_2013.pdf

[24] M. Alovisio, op. cit., p. 157.

[25] Questo codice del 2007 prevede l’istituzione di “un comitato di monitoraggio al quale è assegnato il compito di identificare procedure e formati standard per l’istanza di cui all’art. 2, comma 1, nonché di aggiornare periodicamente, sulla base delle evoluzioni tecnologiche e dei dati raccolti dal tavolo tecnico di cui al comma 1 del presente articolo, la tipologia di soggetti ai quali è possibile inoltrare la medesima istanza secondo modalità disciplinate con il decreto di cui al medesimo comma 1. […]”.

[26] M. Alovisio, op. cit., p. 164.

[27] Ministero dell’Istruzione, Linee di orientamento per azioni di prevenzione e contrasto al bullismo e cyberbullismo. qui disponibile: https://www.istruzione.it/allegati/2015/2015_04_13_16_39_29.pdf

[28] Linee di orientamento per azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo e cyberbullismo adottate dal Ministero dell’Istruzione nell’aprile 2015, p. 9.

[29] È “indispensabile che maturino la consapevolezza che Internet può diventare una pericolosa forma di dipendenza e che imparino a difendersi e a reagire positivamente alle situazioni rischiose” in Linee di orientamento per azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo e cyberbullismo del Ministero dell’Istruzione del 2015.

[30] G. Cassano, Ragazzini cyberbulli? Condannati i genitori ad un cospicuo risarcimento (a proposito di Tribunale di Sulmona 9 aprile 2018, n.103), in Diritto di famiglia e delle persone, Giuffrè, 1/2019, p. 325.

[31] F.G. Pizzetti, op.cit., p. 34.

[32] L’analisi ISTAT ha rilevato come la metà degli intervistati tra gli 11 e i 17 anni abbia dichiarato di essere stata vittima di episodi offensivi. Un dato particolare emerso è la maggiore diffusione tra le ragazze di tali episodi (55% tra gli 11 e 17 anni) rispetto ai ragazzi. All’aumentare dell’età diminuisce il numero di vittime di tali episodi.

[33]Ciascun minore ultraquattordicenne, nonché ciascun genitore o soggetto esercente la responsabilità del mionre che abbia subito taluno degli atti di cui all’articolo 1, comma 2, della presente legge, può inoltrare al titolare del trattamento o al gestore del sito internet o del social media un’istanza per l’oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi altro dato personale del minore diffuso nella rete internet, previsa conservazione dei dati originali, anche qualora le condotte di cui all’articolo 1, comma 2 , della presente legge, da identificare espressamente tramite relativo URL, non integrino le fattispecie previste dall’articolo 167 del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo  30 giugno 2003, n. 196, ovvero da altre norme incriminatrici”.     

[34] Istituito nel 2008 con la legge 48/2008 e regolamentato all’articolo 12.

[35] Il Senato, durante la fase di discussione del testo della legge, si è opposto all’introduzione di fattispecie di carattere penale, perché il fine è individuare una misura sanzionatoria quale è l’ammonimento.

[36] Trib. di Roma 4 aprile 2018 n. 6919. Si veda A.L. Pennetta, Bullismo, cyberbullismo e nuove forme di devianza, Giappichelli, 2018, p. 97.

[37] Corte di Cassazione, sentenza 14 marzo 2008, n. 7050, in Giurisprudenza Civile Massimario, 3/2008, Giuffrè, p.422.

[38] Trib. di Parma sentenza 2 luglio 2010, n. 1001

[39] A. Gorini, Il cyberbullismo: aspetti psicologici e implicazioni pratiche, in M. Orofino, F.G. Pizetti, Privacy, minori, e cyberbullismo, Giappichelli, 2018, p. 111.

[40] E. Andreola, Minori e incapaci in Internet, Edizioni Scientifiche Italiane, 2019, p. 253.

[41] E. Andreola, op. cit., p. 284.

[42] G. Ziccardi, Il cyberbullismo nella società tecnologica, in M. Orofino, F.G. Pizzetti, Privacy, minori e cyberbullismo, Giappichelli, 2018, p. 114. Si veda anche M.L. Genta, A. Brighi, A. Guarini, Cyberbullismo, Franco Angeli, Milano, 2016.

Giulia Cavallari

Nata a Bologna nel 1992. Dopo aver conseguito la maturità classica prosegue gli studi presso l'Università di Bologna iscrivendosi alla Facoltà di Giurisprudenza. Laureata con una tesi in Diritto di Internet dal titolo "Il Regolamento generale sulla protezione dei dati e il consenso dei minori al trattamento dei dati personali" sotto la guida della Professoressa Finocchiaro. Nel novembre 2017 ha relazionato all'Internet Governance Forum- IGF Youth. E' in questo periodo che si avvicina e appassiona al diritto di internet e all'informatica giuridica sentendo la necessità di approfondire gli studi in materia.  Gli interessi principali spaziano dalla protezione dei dati personali alla cybersecurity e all'ambito delle nuove tecnologie al ruolo che il diritto di internet ha assunto e assumerà nei prossimi anni.

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