venerdì, Marzo 29, 2024
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Il Food design: le frontiere artistiche del cibo

Il design [1] di un oggetto, ossia il suo aspetto esteriore, è un elemento fondamentale ai fini della determinazione del valore economico, oltre che artistico, dello stesso. Con tale espressione, si precisa, si intende tanto la particolare estetica dell’oggetto, per l’appunto determinante il suo valore sostanziale, quanto il tipo di diritto che si costituisce in capo al realizzatore dell’opera di design tramite registrazione. A livello giuridico, le espressioni “design” e “disegni e modelli” sono equipollenti e, nel loro significato, comprendono le rappresentazioni di un qualsivoglia prodotto sotto l’aspetto sia bidimensionale che tridimensionale.

In ambito internazionale, la prima classificazione che ha reso possibile elaborare una distinzione, pur se sintetica, tra i prodotti di design tutelabili tramite registrazione è stato il noto Accordo di Locarno [2], firmato l’8 ottobre 1968. In merito, giova evidenziare che, ad oggi, tale sistema è gestito dall’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI) [3].

L’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) [4], inoltre, ha creato un elenco di prodotti, il c.d. elenco “Eurolocarno”, basato appunto sulla suddetta classificazione, per classificare i prodotti indicati sia nei disegni e modelli comunitari registrati (DMC) sia nelle relative domande.

Sul tema, va evidenziato come, sulla base di tale sistema, possiamo distinguere tra:

  • disegni della forma di prodotti tridimensionali;
  • disegni di edifici e ambienti;
  • grafici bidimensionali applicati al prodotto.

Tornando al merito, occorre evidenziare come, con i termini disegni e modelli, si intendano tutte le forme, tridimensionali e bidimensionali, che siano state applicate ad un oggetto, di produzione tanto industriale quanto artigianale, e che incidano sul suo aspetto esteriore, in ciò ricomprendendo anche le parti interne allo stesso purchè visibili durante il suo utilizzo. Ciò posto, occorre sottolineare che, ad essere oggetto di tutela, non è tanto il prodotto in sé quanto le caratteristiche formali che ne connotano l’aspetto globalmente considerato.

In ogni caso, come ovvio, non è solo a livello internazionale che il design è riconosciuto come bene meritevole di tutela. Anche l’ordinamento italiano, infatti, ha predisposto due forti strumenti all’uopo, ossia:

  • un testo normativo, il Codice della Proprietà industriale, emanato con D.lgs. n. 30 del 10/02/2005;
  • un ufficio di riferimento, Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) [5], fondato nel 1939 e deputato, oltre che alla concessione dei titoli di proprietà industriale, ossia brevetti e modelli, ed alla registrazione di marchi e disegni, alla lotta alla contraffazione.

In Italia, il design può ricevere tutela sia in quanto “disegno o modello registrato” che come “disegno o modello non registrato”. In merito, occorre anzitutto evidenziare che queste due alternative ricalcano la proposta comunitaria. Infatti, il Regolamento (CE) n. 6/2002 del 12/12/2001 [6], che ha introdotto il modello comunitario, ha previsto a fianco della protezione prevista per il modello registrato una protezione più limitata per il modello non registrato.

Chi decida di tutelare un design, pertanto, potrà scegliere l’una o l’altra tipologia di tutela disponibile, così andando incontro, ovviamente, a conseguenze differenti a seconda che si decida o meno di registrare.

In primo luogo, sarà diverso il modo attraverso cui ottenere la tutela.  Il design registrato permette di acquisire i diritti per un determinato disegno o modello in seguito ad una registrazione formale.

Al fine del compimento della stessa, infatti, il titolare dovrà presentare all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi una domanda di registrazione accompagnata dal pagamento di alcune tasse. Dopodiché, i documenti dovranno essere oggetto di un attento esame e, qualora risultassero in possesso di tutti i requisiti necessari e, pertanto, validi, l’UIBM provvederà al rilascio di una certificazione di registrazione.

Il design non registrato, come logicamente desumibile, è costituito da qualsiasi design che sia stato ampiamente usato in modo pubblico ma che, appunto, non sia stato depositato dal suo titolare. Alla luce di ciò, lo stesso permette di acquisire i diritti solo in seguito alla divulgazione del disegno o modello negli ambienti specializzati del settore in cui si opera. Tale divulgazione, riguardo alla cui data è necessario che il titolare abbia prova certa, permette l’acquisizione automatica dei diritti senza il disbrigo di alcuna pratica o pagamento di alcuna tassa.

Un secondo punto di divergenza tra le due tipologie di tutela in oggetto riguarda il tipo di diritti che le stesse attribuiscono.

Il design registrato conferisce diritto esclusivo di utilizzazione, commercializzazione, offerta, fabbricazione, divieto a terzi di utilizzo senza autorizzazione, divieto di importazione ed esportazione del bene incorporante il disegno o il modello. Sarà concedibile tutela, quindi, sia avverso le c.d. copie pedisseque che contro tutti i prodotti aventi lo stesso carattere individuale.

La registrazione, infatti, in quanto titolo attestante l’esistenza del diritto, permette di ottenere più agevolmente una tutela giudiziale attraverso, ad esempio, l’esperimento di azioni per ottenere il sequestro di prodotti contraffatti.

Il design non registrato, al contrario, consente solo di vietare a terzi l’utilizzo di un prodotto che vada ad incorporare un disegno o modello e che sia sussumibile ad un’attività di copiatura quasi integrale. Esempio calzante in merito è costituito, sicuramente, dalla vendita ambulante di prodotti “taroccati”, ossia riportanti griffe famose pur non essendo stati realizzati dalle stesse.

Ulteriore differenza, infine, è rappresentata dai diversi periodi di validità. Se, infatti, il design registrato ha validità quinquennale con possibilità di rinnovo fino ad un massimo di venticinque anni, il non registrato ha durata solo triennale anche se viene riconosciuta, entro il primo anno, la possibilità di compiere una registrazione a livello tanto nazionale quanto comunitario.

Una “new entry” del mondo del design la quale, però, ha riscosso un enorme successo nonostante la “giovane età”, è il c.d. Food design.

Tale giovanissimo termine ha una portata, occorre dire, incredibilmente estesa, racchiudendo al suo interno l’intero universo dei processi progettuali e di ricerca che portano alla nascita di nuovi prodotti legati al cibo. Nello specifico, “Food Design è la progettazione degli atti alimentari, ovvero l’attività̀ di elaborazione dei processi più̀ efficaci per rendere corretta e gradevole l’azione di esperire una sostanza commestibile in un dato contesto, ambiente o circostanze di consumo. [..] Il Food Design si occupa di prodotti edibili, comunicazione, packaging, servizi e luoghi legati alla vendita e al consumo di cibo.” [7].

Si parla, quindi, di una disciplina che si occupa dell’ideazione e della progettazione di alimenti, parti di prodotti alimentari complessi e ad essi correlati (dal packaging al tableware) e che è riconducibile al disegno di tipo industriale.

La nascita stessa del Food Design, infatti, oltre che la sua evoluzione, è stata frutto della progressiva industrializzazione del comparto agro alimentare il quale, nel tempo, si è sempre più dedicato alla ricerca di nuovi strumenti e tecnologie innovative per produrre e trasformare i prodotti destinati all’alimentazioni, in tale categoria includendo non solo il “cibo” ma anche tutti quei beni che hanno un qualche tipo di relazione con l’attività alimentare.

Per essere definito tale, però, un prodotto di Food Design deve essere in possesso di precisi requisiti. Anzitutto, deve essere progettato in modo da offrire la migliore interazione possibile a chi lo utilizza. Inoltre, deve essere effettivamente utile, riproducibile e, ultimo ma non meno importante, gradevole sotto il punto di vista estetico.

Celebre caso di Food Design, ad esempio, è la Cookie Cup [8], la tazzina del caffè commestibile fatta con una cialda di biscotto croccante. Lanciata nel 2003, tale creazione è frutto della collaborazione di soggetti appartenenti a tre ambiti lavorativi sì collegati ma intrinsecamente diversi, ossia il designer Enrique Sardi, il pasticcere Lello Parisi e, da ultimo il Team Lavazza.

Secondo l’International Food Design Society, il food design ha oggi un campo di applicazione tanto vasto da richiedere una sorta di classificazione interna, anche se di tipo sempre generale, al fine di operarne la distinzione in alcune categorie quali:

  • il Design With Food, che lavora con il cibo per trasformarlo in qualcosa di innovativo sotto gli aspetti di sapore, consistenza, temperatura, colore e texture. In questi casi, generalmente il designer sarò uno chef o un tecnologo;
  • Il Food Product Design, che riguarda tutti i prodotti alimentari industrializzati, “massificati”, quali particolari formati di caramelle o gelati monoporzione. Un esempio di Food Product Design sono le Pringles, un disegno chimico-fisico-morfologico dove la patatina ha una forma ergonomica perfetta per la lingua, rilasciando il suo sapore e migliorando l’esperienza di degustazione. [9];
  • Il Design For Food, contemplante tutti i prodotti usati nella preparazione, distribuzione e comunicazione di un alimento, ivi compreso il packaging, spesso elemento distintivo del prodotto stesso. Es. particolari colorazioni di attrezzi da cucina o la bottiglietta di vetro della Coca-Cola);
  • Il Design About Food, ossia qualsivoglia tipo di oggetto che, pur riproducendo l’aspetto del cibo, non è commestibile. Esempio banale può essere una saponetta a forma di tortina;
  • Il Food Space design e l’Interior design for food, che trattano la progettazione di tutti gli spazi destinati alla vendita o al consumo di alimenti (tanto privati quanto commerciali), ivi compresi materiali, dotazioni tecniche ecc.;
  • L’Eating design, ossia il design inerente a tutte le situazioni in cui vi sia un’interazione tra cibo e persone. Saranno oggetto di tale particolare tipo di design, quindi, ristoranti, fast food, bistrot ecc..

Il Food Design, quindi, si connota come un fenomeno tutto del nuovo millennio, con la particolare caratteristica di riuscire, con un solo prodotto, a toccare un ingente numero di ambiti lavorativo-artistici. Non solo, infatti, gli chef, ma anche graphic designer, food designer ed esperti di marketing collaborano alla realizzazione di tali opere che, a prescindere dall’appartenenza ad una delle succitate categorie suggerite dai fondatori dell’International Food Design Society, costituiscono nella stragrande maggioranza dei casi un fenomeno virale.

[1] “Design”, definizione disponibile qui: https://www.treccani.it/vocabolario/design/;

[2] Accordo di Locarno del 08/11/1968, disponibile qui: https://fedlex.data.admin.ch/filestore/fedlex.data.admin.ch/eli/cc/1971/378_378_378/20030806/it/pdf-a/fedlex-data-admin-ch-eli-cc-1971-378_378_378-20030806-it-pdf-a.pdf;

[3] Organizzazione Mondiale della Proprietà intellettuale, disponibile qui: https://www.wipo.int/edocs/pubdocs/it/wipo_pub_250.pdf;

[4] Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), disponibile qui: https://euipo.europa.eu/ohimportal/it;

[5] Ufficio italiano Brevetti e Marchi, disponibile qui: https://uibm.mise.gov.it/index.php/it/;

[6] Regolamento (CE) n. 6/2002 del 12/12/2001, disponibile qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=celex%3A32002R0006;

[7] Definizione di Food Design da “ADI Food Design Manifesto”, disponibile qui: https://www.adi-design.org/upl/Immagini%20interne%20per%20le%20news/Food%20Design%20Manifesto%20180904.pdf;

[8] Esempio di celebre Food Design, Cookie Cup, disponibile qui: https://www.eticamente.net/17940/cookie-cup-la-tazzina-da-caffe-biscottata-e-commestibile-lanciata-da-lavazza.html#:~:text=Cookie%20Cup%2C%20la%20tazzina%20da%20caff%C3%A8%20biscottata%20e%20commestibile%20lanciata%20da%20Lavazza,-Di&text=Dalla%20collaborazione%20tra%20il%20designer,aver%20gustato%20il%20caff%C3%A8%20espresso.;

[9]  Cit. articolo “A proposito di Food Design” di F. Zampollo, 06/11/2015, disponibile qui: ‘esperienza%20di%20degustazione.;

Valentina Ertola

Dott.ssa Valentina Ertola, laureata presso la Facoltà di Giurisprudenza di Roma 3 con tesi in diritto ecclesiastico ("L'Inquisizione spagnola e le nuove persecuzione agli albori della modernità"). Ha frequentato il Corso di specializzazione in diritto e gestione della proprietà intellettuale presso l'università LUISS Guido Carli e conseguito il diploma della Scuola di specializzazione per le professioni legali presso l'Università degli Studi di Roma3. Nel 2021 ha superato l'esame di abilitazione alla professione forense. Collaboratrice per l'area "IP & IT".

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