venerdì, Marzo 29, 2024
Uncategorized

Il Gaslight

Introduzione.

Esistono forme di violenza che non sfociano in un contatto fisico o che non sono l’esito di una rabbia espressa o di un’aggressione fisica. Esistono forme di violenza infide, insidiose, che sono fatte di lunghi silenzi e parole che fanno male, pungenti, subdole, che minano l’anima e che, come uno stillicidio, portano a poco a poco a dubitare di se stessi, fino ad arrivare al pensiero di essere veramente “sbagliati”, facendo crollare ogni sicurezza verso di sé e verso ciò che ci circonda. Questa violenza continua ed insidiosa, solitamente, viene perpetrata all’interno delle mura domestiche, laddove vi è un partner che opera un vero e proprio “lavaggio del cervello” e un altro che lo subisce. Si tratta soggetti particolarmente deboli, che vengono manipolati al punto tale da essere indotti a credere davvero di provare i reali sintomi della malattia psichiatrica. Parliamo del fenomeno noto con il nome di “gaslight”.

Nel prosieguo dell’articolo si andrà ad analizzare questo fenomeno, cercando di comprendere le forme attraverso cui viene attuato, estrapolandone atteggiamenti ed origini, al fine di comprenderne le cause ed i risvolti, per poi definire l’aspetto giuridico e l’evoluzione normativa legata al fenomeno.

Origini del gaslight.

Il termine gaslight trae origine da un’opera teatrale del 1938 intitolata appunto “gas light” (luci a gas), da cui è stato tratto un film del 1944 “Gaslight”, la cui versione italiana porta il titolo di “Angoscia”. Emblematica pellicola in cui psicologia e cinema si intrecciano e si snodano lungo un susseguirsi di azioni di manipolazione psicologica perpetrate nei confronti di un soggetto debole. Nel caso specifico, la moglie viene condotta alla pazzia attraverso una serie di comportamenti perpetrati dal marito. Trattasi di azioni costanti ma impercettibili, flebili ma pungenti, come una sorta di lento stillicidio, un reiterarsi di comportamenti sempre e comunque negati dall’abusante. Nel film, ad esempio, l’uomo porta la donna alla follia affievolendo in modo subdolo e graduale le luci della lampada a gas, cosa che la donna nota, ma viene sempre tacciata di ricordarsi male o essere solo frutto della sua immaginazione.

Oggetto del gaslight. Fasi e scopo.

Tale manipolazione psicologica maligna e violenta porta la vittima a dubitare di se stessa, della comprensione della realtà, della sua memoria e dei suoi sentimenti, giungendo a percepirsi sbagliata e confusa, fino ad essere completamente in balìa del proprio abusante, che vede, nonostante tutto, come unica ed ultima àncora di salvezza.

Il gaslighter mina alla base di ogni certezza e sicurezza della propria vittima, tramite un “lavaggio del cervello”, che porta quest’ultima a ritenere di meritarsi la punizione che le viene inflitta in quanto colpevole di aver sbagliato. Ecco allora compiuta quella violenza sottile che viene così giustificata dalla vittima stessa che subisce, nel quotidiano, una violenza perpetrata e duratura, che scema la propria capacità di autonomia valutativa, fino ad annullarla totalmente.

Il modus operandi nel gaslight porta la vittima ad una dipendenza nei confronti delle opinioni del proprio abusante, facendo insorgere quel senso di insicurezza che spinge, nonostante tutto, a cercare la costante approvazione da parte dell’altro, il quale, però, ha tutto l’interesse a rendere la sua “preda” insicura e dipendente da lui. La conseguenza è il manifestarsi di una sorta di dipendenza reciproca: l’offender reitera i propri abusi psicologici riversandoli costantemente sul proprio bersaglio e, di contro, questi vede in lui la sua unica àncora di salvezza, convinto di trovare in lui e solo in lui la possibilità di ridurre il proprio senso di inadeguatezza. Si viene così a creare una deresponsabilizzazione reciproca in un rapporto in cui il gaslighter rappresenta la figura predominante sull’altra persona che, al contrario, soccombe a lui. Il primo acquisirà sempre maggior controllo, il secondo, sempre più inconsapevole di ciò che sta accadendo, sarà portato a chiudersi fino a raggiungere uno stato di depressione.

Nel gaslight si possono individuare tre fasi (Mascialino, 2011)[1] :

  1. Incredulità e distorsione della comunicazione. Fase in cui l’azione dell’abusante si concretizza solo in forma verbale.  La vittima, inizialmente disorientata e confusa, ma non ancora subdola del proprio manipolatore, non ritiene vero ciò che le accade intorno o ciò che le viene raccontato. Vive come in un’atmosfera onirica. La comunicazione con l’abusante è un’alternanza di ostili silenzi e dialoghi destabilizzanti. La vittima ha, tuttavia, ancora una certa sicurezza di sé.
  2. Difesa. Le sicurezze finora avute dalla vittima iniziano a indebolirsi nel tentativo di difendersi dal suo manipolatore, attuando meccanismi di rabbia causati dalla volontà di ribadire la propria posizione di persona sana e conscia della realtà oggettiva, sostenendo al contrario la non veridicità di quello che le viene raccontato. Nel tentativo di stabilire un dialogo finalizzato all’ascolto dell’altra persona, crede di poter cambiare il comportamento del gaslighter. Purtroppo, ciò non fa altro che farle perdere il controllo indebolendo sempre più la propria posizione e predisponendola maggiormente alla manipolazione, permettendo al suo abusante di adottare strategie di violenza psicologica sempre più subdole e soggioganti.
  3. Depressione. Fase della convinzione da parte della vittima della veridicità dei racconti del suo abusante. Insicurezza, rassegnazione, vulnerabilità e quindi dipendenza dall’altro: l’apice della violenza psicologica viene raggiunto in questa fase del gaslight. Convinta spesso di una sua disfunzione a livello mentale o cerebrale, per l’abusato diviene necessaria la vicinanza del proprio carnefice, nella convinzione che solo lui possa essere in grado di aiutarla a superare questa sua condizione di insicurezza e disorientamento. Più la vittima è dipendente, più è vulnerabile e quindi incapace di chiedere aiuto a terzi, con tendenza all’isolamento a causa del suo stato confusionale e di senso di inadeguatezza.

Soggetti abusanti.

Manipolatore è colui che calcola perfettamente le possibili reazioni della sua vittima, ne studia i punti deboli allo scopo di renderla migliore per quello che è il suo schema mentale, non di deprimerla. Cercherà dunque di farla dipendere completamente da lui, tanto che si sentirà autorizzato a sostituirsi a lei in tutti gli aspetti decisionali della sua vita.

Questa tipologia di violenza, perpetrata nella maggioranza dei casi all’interno del nucleo familiare, vede vittima e carnefice quasi sempre in rapporto relazionale molto stretto e quotidiano, o comunque tale da consentire l’instaurarsi di un rapporto fiduciario. Solitamente i soggetti sono partner o madre – figlio. Nel primo caso, il più frequente, il rapporto tra i partner si cronicizza nel momento in cui la donna (solitamente la vittima) viene manipolata a tal punto da convincersi della veridicità di ciò che il suo partner le racconta, addirittura idealizzandolo. Nel secondo caso invece, il rapporto manipolatorio, che vede coinvolti genitore e figlio, si sostanzia nel non giungere mai alla fase di maturazione del figlio all’età adulta. Il genitore continuerà, pertanto, a rapportarsi con lui in modo autoritario, fungendo da ostacolo allo sviluppo della sua personalità ed autonomia.

Alcuni studiosi ritengono che certe forme di abuso e maltrattamento siano caratterizzate da un profilo di “perverso narcisista” (Hirigoyen, 2000; Filippini S., 2005). Eiguer (1989)[2] ritiene che il perverso narcisista sia “colui che influenzato dal suo IO grandioso, cerca di stabilire un legame con un altro individuo attaccandosi in particolar modo alla sua integrità narcisistica per disarmarlo».

In letteratura scientifica sono state elaborate tre figure riconducibili a quella del gaslighter[3]:

  • l’affascinante. Probabilmente il più insidioso, dotato di charme, ostenta classe alternando silenzi ostili a lusinghe d’amore. “Chi seduce distoglie dalla realtà, agisce di sorpresa, di nascosto […] allo scopo di qualcuno che lo ammiri, che gli rinvii una buona immagine di sé. Una seduzione perversa a senso unico […] con cui il perverso narcisista cerca di esercitare fascino senza lasciarsi coinvolgere” (Hirigoyen, 2000);
  • il bravo ragazzo. Si mostra attento, premuroso, facendo credere di agire per il bene della vittima, talvolta in modo eccessivo, ma in realtà antepone sempre i propri bisogni ed agisce per un proprio tornaconto, pur riuscendo a dare un’impressione diametralmente opposta. “Questo controllo‐premuroso costituisce il terreno per creare quella permeabilità emotiva tale da consentire una sorta di effrazione psichica, per cui il perverso narcisista conquista il possesso della mente dell’altro convincendolo che solo lui ha ragione e solo lui conosce veramente ciò di cui ha bisogno” (ibidem);
  • l’intimidatore. Certamente il più diretto dei tre. A differenza degli altri, ha atteggiamenti duri e spesso violenti ed aggressivi con la vittima, non preoccupandosi di nascondersi dietro falso volto. Rimprovera ed umilia la vittima in modo da influire sulla sua capacità decisionale e sulla sua volontà psichica.

L’obiettivo del gaslighter, comune a tutte e tre le categorie, è sempre quello di togliere all’altro la padronanza di sé, creare dipendenza fisica e psicologica annullandone autonomia decisionale, sicurezza, fiducia nel proprio essere, conducendo la vittima a ritrovarsi imprigionata in un comportamento che inconsciamente la condurrà ad essere complice del proprio aguzzino.

Aspetti giuridici.

Sotto l’aspetto giuridico, il fenomeno del gaslight non viene espressamente riconosciuto come reato. Tuttavia, è opportuno fare un excursus in grado di condurci allo stato attuale della legge e alle possibili alternative, al fine di cercare di tutelare tutte quelle situazioni di abuso che di fatto restano comunque, ancora troppo spesso, impunite.

Il vuoto normativo si è venuto concretamente a creare a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 96 dell’8 giugno 1981 nella quale fu dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 603 del Codice penale sul plagio, che recitava: “Chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni”.

La soppressione della fattispecie da parte della Corte è scaturita dalla rilevazione di contrasto con gli articoli 21 e 25 della Costituzione, in quanto la norma del Codice penale in questione, “viola il principio di tipicità di cui all’articolo 25, in quanto appare sfornita dei suoi elementi di ogni chiarezza”. Pertanto – dichiara la Corte – la previsione di inflizione di sanzione penale nei casi di sottoposizione di una persona al proprio potere, tale da considerarsi in totale stato di soggezione, avrebbe potuto comportare il rischio di affidare alla discrezionalità del giudice l’individuazione in concreto di quegli elementi integrativi dello stato di soggezione. Il pericolo di arbitrio in sede giudiziaria sarebbe anche maggiore in riferimento al dover stabilire la portata del “totale stato di soggezione”, che non farebbe altro che comportare “eccessiva dilazione della fattispecie penale”. Inoltre, riporta la sentenza, l’osservazione che la soggezione psichica debba essere totale non “conferirebbe maggior chiarezza alla determinazione concreta della fattispecie”.

In merito al contrasto con l’articolo 21 della Costituzione, invece, la Corte statuisce che la libertà di manifestazione del pensiero incontra un limite “nell’interesse dell’integrità psichica della persona, solo in quanto si concretizzi in mezzo di pressione violenta o subdola, quali la minaccia o la frode; ciò stante, l’evento della soggezione psicologica di un soggetto ad altro soggetto, in quanto risultante dall’adesione ai modelli di comportamento da altri proposti, non può costituire illecito senza intaccare il diritto costituzionalmente protetto”.

Nella pratica, all’abrogazione del 603 c.p. non è corrisposta una successiva normativa che, al contrario, condannasse e punisse il fenomeno del plagio, con la conseguente impossibilità di controllare e stroncare sul nascere quelle condotte che si manifestino inizialmente come reati di rango minore, per poi evolversi in fattispecie con conseguenze di ben maggiore entità.

Se, dunque, l’abrogazione operata dalla Corte trova giustificazione nell’eccessivo margine di discrezionalità che una così ampia formulazione avrebbe potuto lasciare al giudice, non si può non rilevare il vuoto di tutela della personalità rispetto al fenomeno plagiario nel nostro ordinamento. Tale vuoto, peraltro, si manifesta in modo sempre più allarmante, in considerazione dei numerosi fatti di cronaca quotidiana che fanno emergere la denuncia e il drammatico accadimento di episodi, riconducibili a gaslight, di totale soggezione di persone da parte di altre in cui manca, però, l’elemento della costrizione fisica. Tuttavia, la denuncia di tali episodi rappresenta solamente la punta dell’iceberg formato da un “sommerso” che non viene denunciato e che, ancora troppo spesso, resta all’interno delle mura domestiche.

L’urgenza di una normativa volta a tutelare da qualsiasi tipo di manipolazione mentale e psicologica è stata avvertita da tempo e il Parlamento ha, a più riprese, discusso e proposto, sia in Camera che in Senato, disegni di legge volti a far fronte a quei casi di manipolazione mentale privi dell’elemento della costrizione fisica, con l’obiettivo di tutelare la libertà di autodeterminazione dell’individuo[4].

Il testo proposto sostanzialmente è il medesimo discusso dalla Commissione Giustizia del Senato nella XIV legislatura, ma che, purtroppo, non ha ancora visto la luce in quanto, seppur approvato, ogni volta la successiva scadenza delle legislature non ha mai consentito il compimento a termine dell’iter relativo.

I disegni e proposte di legge prevedevano dunque di inserire il seguente art. 613 bis nel Codice penale:

«Art. 613-bis. – (Manipolazione mentale). – Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, mediante tecniche di condizionamento della personalità o di suggestione praticate con mezzi materiali o psicologici, pone taluno in uno stato di soggezione continuativa tale da escludere o da limitare grandemente la libertà di autodeterminazione è punito con la reclusione da due a sei anni.

    Se il fatto è commesso nell’ambito di un gruppo che promuove o pratica attività finalizzate a creare o sfruttare la dipendenza psicologica o fisica delle persone che vi partecipano, ovvero se il colpevole ha agito al fine di commettere un reato, le pene di cui al primo comma sono aumentate da un terzo alla metà.
Se i fatti previsti nei commi 1 e 2 sono commessi in danno di persona minore di anni diciotto, la pena non può essere inferiore a sei anni di reclusione
»[5].

Resta, dunque, vigente e più che mai attuale il problema di dover colmare il vuoto di tutela che di fatto c’è.

Se di gaslight negli Stati Uniti se ne parla addirittura dagli anni 70, in Italia il fenomeno è molto più recente: il Consiglio dell’ordine degli psicologi del Lazio ha inserito il “danno da gaslight” nelle “Linee guida per l’accertamento e la valutazione psicologico-giuridica del danno biologico-psichico e del danno biologico- esistenziale” con delibera del 2009[6].

Allo stato attuale, il fenomeno del gaslight può essere fatto rientrare in quegli articoli del Codice penale che riguardano lo stalking[7], i maltrattamenti in famiglia o sul lavoro: i c.d. “atti persecutori” di cui all’art. 612-bis c.p. o i maltrattamenti di cui al 572 c.p.. In particolare, si ritiene configurato il reato di stalking laddove si dimostri la sussistenza degli elementi previsti dalla norma: il perdurare dello stato di ansia, paura o il fondato timore per la propria incolumità o di un congiunto o partner, oppure laddove vi sia alterazione delle proprie abitudini di vita.

Per quanto riguarda l’art. 572 c.p., da tempo la Cassazione sostiene che il reato dei maltrattamenti in famiglia si configuri non solo a seguito di percosse, lesioni o minacce, ma anche a seguito di atti che generino afflizioni morali[8].“Il reato di maltrattamenti in famiglia è integrato dalla condotta dell’agente che sottopone la moglie e i familiari ad atti di vessazione reiterata e tali da cagionare sofferenza, prevaricazione ed umiliazioni, in quanto costituenti fonti di uno stato di disagio continuo e incompatibile con le normali condizioni di esistenza. Rilevano infatti, entro tale prospettiva, non soltanto le percosse, le lesioni, le ingiuri, le minacce, le privazioni ed umiliazioni imposte alla vittima, ma anche gli atti di disprezzo e di offesa arrecati alla sua dignità, che si risolvano nell’inflizione di vere e proprie sofferenze morali” (Cass. Pen., Sez. VI, sent. N. 4849 del 2 febbraio 2015).

Conclusioni.

La persona che si illude è la miglior preda per un gaslighter. La vittima cessa di esser vittima solamente quando si rende conto di essere soggiogata, quando riesce ad uscire dal suo stato illusorio. Tuttavia, la base di partenza è la certezza che un determinato atteggiamento costituisca reato. È necessaria la certezza che la manipolazione mentale e il fenomeno del gaslight non restino impuniti, in quanto così facendo continuano a mietere un numero di vittime più altro rispetto a molti altri reati disciplinati dal nostro ordinamento.

Sebbene la strada intrapresa dalla giurisprudenza negli ultimi anni sembri essere quella della condanna di tali atti, aventi ad oggetto la manipolazione mentale e non più solamente quella fisica, si avverte, anche alla luce dei recenti e quotidiani fatti di cronaca, la necessità di un intervento legislativo in grado di delineare un quadro normativo che definisca elementi concreti che integrino il reato di manipolazione mentale e le effettive sanzioni.

Fonte immagine: www.pixabay.com

[1] Associazione italiana di psicologia e criminologia, corso di Psicologia Criminale e Scienza delle Tracce, “Il gaslighter e la sua vittima” di Rita Mascialino, disponibile qui: http://www.ritamascialino.com/cms/criminologia/grafologia-criminale/il-gaslighter-e-la-sua-vittima/.

[2] Eiguer, A., (2000), Le pervers narcissique et son complice, Paris: Dunod, cit. in Hirigoyen, M. F., 1989, Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Einaudi, Torino.

[3] Gaslighting.pdf à Art. “Gaslighting: i profili giuridici di una forma di abuso psicologico di Raffaella Mendicino” in Profiling. I profili dell’abuso. Giornale scientifico a cura dell’O.N.A.P. , Anno 7, N. 2, giugno 2016, Sul filo del diritto. ISSN 2282-3867.

[4] Proposta di lg. n. 190 camera dei deputati del 15 marzo 2013, 17° legislatura, disponibile qui: https://www.camera.it/leg17/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=17&codice=17PDL0001030   «Art. 613-bis. – (Manipolazione mentale). – Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, con violenza o minacce ovvero mediante tecniche di condizionamento della personalità o di suggestione, pone taluno in uno stato di soggezione tale da escludere la capacità di giudizio e la capacità di sottrarsi alle imposizioni altrui, escludendo la libertà di autodeterminazione, è punito con la reclusione da quattro a otto anni.
Se il fatto è commesso nell’ambito di un gruppo che promuove o pratica attività finalizzate a creare o a sfruttare la dipendenza psicologica o fisica delle persone che vi partecipano, ovvero se il colpevole ha agito al fine di commettere un reato, le pene di cui al primo comma sono aumentate da un terzo alla metà
».

Disegno di lg. n. 569 16°legislatura, 15 maggio 2008, Senato, disponibile qui: https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Ddlpres&leg=16&id=00302132&part=doc_dc-relpres_r + 202168_202168.pdf . 14° legislatura in Senato, in Sede di Commissione Giustizia disegno di leggeatto del Senato n. 1777 del 16 giugno 2005, disponibile qui: https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=14&id=141313&part=doc_dc-ressomm_rs

[5] V. nota 4, Disegno di lg. n. 569, XVI legislatura, 15 maggio 2008, Senato.

[6] Consiglio dell’ordine degli psicologi del Lazio, “Linee guida per l’accertamento e la valutazione psicologico-giuridica del danno biologico-psichico e del danno da pregiudizio esistenziale. Predisposizione di una specifica tabella del danno psichico e da pregiudizio esistenziale”. Delibera del 30/11/2009, disponibile qui: https://www.altalex.com/documents/news/2010/01/05/linee-guida-per-l-accertamento-del-danno-psichico-e-da-pregiudizio-esistenziale

[7] In materia di stalking si rimanda a:  https://www.iusinitinere.it/la-difficile-distinzione-tra-il-delitto-di-maltrattamenti-in-famiglia-e-il-delitto-di-stalking-21825/amp

[8] In materia di maltrattamenti in famiglia si rimanda a: https://www.iusinitinere.it/minori-abusi-maltrattamenti-nellambito-familiare-1658/amp

Elisa Teggi

Laureata all'Università Cattolica Sacro Cuore di Piacenza nel 2006 con tesi intitolata "Il licenziamento del dirigente", ha in seguito indirizzato la propria carriera lavorativa in diversi ambiti che le hanno fornito esperienza, soprattutto grazie al contatto costante con persone e ragazzi, mantenendo un forte interesse per l'ambito criminologico. Questo l'ha portata a voler conseguire ulteriore laurea in Criminologia con tesi dal titolo "Staging ed occultamento di cadaveri", nel 2021, per poter indirizzare completamente il proprio lavoro in questa direzione. Attualmente lavora nel territorio piacentino in ambito criminologico - sociale, di prevenzione delle condotte devianti, in contatto con il servizio sociale, occupandosi specificatamente dei minori. Esperta di Scienze Forensi, si mantiene in costante aggiornamento e continua formazione su aspetti forensi e criminologici, prestando attenzione, in chiave critica, ai processi mediatici, cercando di interpretare le motivazioni sottese al fenomeno. La frase che funge da sfondo ad ogni suo lavoro è: "Non si tratta di fascinazione del male, si tratta di dare centralità alla persona, alla vittima e alle cause devianti, studiando il criminale prima del crimine, il folle prima che la follia, con l'obiettivo di rieducare e reintrodurre in società. Dalla parte della giustizia sempre e per sempre".

Lascia un commento