giovedì, Marzo 28, 2024
Diritto e Impresa

Il genus del reato di bancarotta

Nel novero dei reati fallimentari rientra il genus della bancarotta, disciplinato dal titolo VI della Legge Fallimentare (Regio decreto 267/1942 a cui si sono susseguiti, a partire dal 2005, molteplici interventi legislativi) e oggi integrato, non superato, del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D. Lgs. 14/2019) al Titolo IX (artt. 322-347)[1].

Il decreto legislativo de qua, sebbene abbia riorganizzato l’elefantiaco tema delle procedure concorsuali ponendosi come obiettivo precipuo la necessità di prevenire – per quanto possibile, mediante la creazione di strumenti ad hoc[2] – situazioni di crisi in fase di incubazione, non del tutto asintomatica, piuttosto che di gestione ex post, ha coinvolto la sfera penale solo marginalmente, rimanendo quest’ultima perciò pressocché immutata.

Al di là delle species rinvenibili all’interno del genus, esplicate nel prosieguo, è prioritariamente doveroso porre in luce come la quaestio della sentenza dichiarativa di fallimento – oggi dichiarazione di apertura di liquidazione giudiziale – tradizionalmente intesa quale condicio sine qua non affinché potesse configurarsi il reato di bancarotta, sia da sempre un punto controverso. Giurisprudenza e dottrina, infatti, si posizionano su versanti contrapposti: l’orientamento giurisprudenziale prevalente[3] definisce la dichiarazione di fallimento quale “condizione di esistenza del reato”[4] contro un orientamento dottrinale preminente[5] che la considera quale “mera condizione oggettiva di punibilità, intrinseca ovvero estrinseca”.

Nonostante sul punto permanga un alone di incertezza, ciò che rileva, indipendentemente dalla circostanza che il fallito – oggi debitore assoggettato a liquidazione giudiziale – compia atti anteriormente alla sentenza dichiarativa di fallimento (c.d. bancarotta prefallimentare) ovvero posteriormente (c.d. bancarotta post-fallimentare) è la destabilizzazione del proprio patrimonio, attraverso più modalità, suscettibili di compromettere e recare gravi pregiudizi alle legittime pretese creditorie.

A seconda che il reato venga posto in essere dall’imprenditore fallito (qualità di imprenditore commerciale[6]; superamento di almeno una delle soglie al di sotto delle quali sarebbe esentato dalla procedura[7]; che versi in stato di insolvenza[8]) e/o dai soci illimitatamente responsabili delle società in nome collettivo e in accomandita semplice (artt. 216, 217, 222 l. fall.) ovvero che questo possa estendersi anche a soggetti diversi quali amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori (artt. 223 e 224 l. fall.) si discorre di c.d. bancarotta propria, nella prima fattispecie e di c.d. bancarotta impropria (o societaria) nella seconda.

Si attua, altresì, il rilevante discernimento fra bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice in relazione alla natura della condotta del soggetto agente, improntata al dolo[9] (generico/specifico) nel primo caso e alla colpa[10], nel secondo. Le fattispecie trovano riferimento, rispettivamente, agli artt. 216 e 217 l. fall.

Ai sensi dell’art. 216 l. fall. “I. È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

II. La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

III. È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione. […]

Mentre, ai sensi del 217 l. fall. “I. È punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che, fuori dai casi preveduti nell’articolo precedente:

1) ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica;

2) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti;

3) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento;

4) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa;

5) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare.

II. La stessa pena si applica al fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall’inizio dell’impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.

III. Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna importa l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni.”

L’art. 216 l. fall. disciplina:

  1. Bancarotta fraudolenta patrimoniale (art. 216, comma 1, n. 1);
  2. Bancarotta fraudolenta documentale (art. 216, comma 1, n. 2 e comma 2);
  3. Bancarotta fraudolenta preferenziale (art. 216, comma 3).

Mentre la bancarotta patrimoniale si caratterizza per una condotta improntata al dolo generico, quella documentale è definita da dolo specifico. In entrambe le species, comunque, si discorre di particolari condotte, quali: distruzione, dissipazione, occultamento, distrazione sia che queste riguardino direttamente il venir meno dell’integrità patrimoniale sia che passino prioritariamente attraverso un “intaccamento” dei documenti aziendali (libri, scritture contabili, bilancio, etc).

Distruggere equivale a commettere atti volti a eliminare in tutto, o in parte, il patrimonio oggetto delle pretese creditorie; dissipare, occultare o distrarre equivale invece a utilizzare il proprio patrimonio in modo sproporzionato rispetto al suo valore o a nasconderlo volutamente o, ancora, a renderlo oggetto di uso per scopi che esulino dall’attività imprenditoriale.

Analogo discorso è valevole per la bancarotta documentale: in tal caso è la documentazione aziendale a essere oggetto di manomissione al fine di arrecare pregiudizio ad altri o di procurare un ingiustificato profitto a sé o ad altri.

La violazione del principio della par condicio creditorum caratterizza la configurazione del reato di bancarotta preferenziale: in tal caso a essere punito è il debitore che, simulando titoli di prelazione, riservi ad alcuni creditori trattamenti di favore rispetto ad altri pur rimanendo, chiaramente, valide le cause legittime di prelazione[11] precedentemente acquisite.

La bancarotta semplice risulta essere un reato residuale, e meno grave, rispetto alla bancarotta fraudolenta. Le condotte rilevanti ai fini della sua configurazione trovano riferimento nel testo dell’art. 217 l. fall. Nello specifico, si discorre di comportamenti imprudenti, spese eccessive rispetto alla propria situazione economica, operazioni volte a ritardare l’avvio della procedura concorsuale o a sovraccaricare il proprio dissesto procrastinandone la richiesta o, ancora, inadempienza delle obbligazioni assunte. Tale fattispecie viene definita bancarotta semplice patrimoniale.

Al secondo comma viene poi disciplinata la species della bancarotta semplice documentale: in tal caso la negligenza e/o l’imprudenza riguarda la omessa, irregolare o incompleta tenuta delle scritture contabili nei tre anni anteriori rispetto alla dichiarazione di fallimento.

Da ultimo, la normativa precedente (Legge fallimentare) rinviene integrazione negli articoli 322 e 323[12] del nuovo CCII, il cui testo, oltre alle mere modifiche in termini di adattamenti terminologici (vedi liquidazione giudiziale in loco di fallimento), ricalca il suddetto.

[1] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/02/14/19G00007/sg

[2] Si consulti A. Panizza, Crisi e adeguati assetti per la gestione d’impresa, ed. 2020

[3] A tal proposito si rinvia alla Pronuncia a Sezioni Unite del 5 gennaio 1958, n.2, Mezzo contro Sentenza n. 13910/2017 Cassazione Penale, Sez. V.

Si rinvia, altresì, a pronunce quali Geronzi, n. 15613/2015, Corte di Cassazione, Sez. V;

Passarelli, n. 22474/2016, Corte di Cassazione, Sez. Unite;

E in ultimo la recente Sentenza della Suprema Corte n. 13910/2017.

[4] E. Reccia, La sentenza dichiarativa di fallimento nella bancarotta prefallimentare, ed. 2018

[5] F. Antilosei, Manuale di diritto penale, ed. 2013

[6] Art. 2195 c.c.

[7] Art. 1 l. fall.

[8] Art. 2 d. lgs. 14/2019

[9] Art. 43 c.p. “…è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione (…)”

[10] “…è colposo, o contro l’intenzione quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. (…)”

[11] Distinzione fra creditori chirografari (non assistiti da alcuna garanzia reale) e creditori privilegiati (garantiti cioè da pegno, ipoteca o privilegio)

[12] Si rinvia al testo delle disposizioni

Maria Francesca Gasparro

Maria Francesca nasce a Vibo Valentia, in Calabria. Ama la poesia e il diritto. Consegue la maturità, con il massimo dei voti, presso il Liceo socio psico-pedagogico “Vito Capialbi”, in seguito si laurea in Economia aziendale presso il Dipartimento di Scienze Aziendali e Giuridiche dell’Università della Calabria, discutendo una tesi in Diritto privato dal titolo: “Il concorso colposo del cliente nelle fattispecie di intermediazione finanziaria”. Durante gli studi, svolge un breve periodo di tirocinio formativo presso la BCC del Vibonese. Attualmente, presso la suddetta Università, è una laureanda magistrale in Management e Finanza, alle prese con la stesura di un elaborato finale in Diritto commerciale. Di quest’ultimo, con particolare attenzione verso il fallimentare, e del diritto in genere, fortemente appassionata. In ambito accademico – CdL in Giurisprudenza, ha rivestito, per un anno, il ruolo di tutor didattico. Svolge, altresì, la pratica per l’abilitazione alla professione di Dottore Commercialista nonché di Revisore Legale. Collabora con l’area di Diritto commerciale.

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