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Il limite del “Sistema Dublino” nella gestione dei migranti

Fin dal 2015, anno in cui la crisi migratoria raggiunse il suo momento più critico, con più di un milione di arrivi sui confini europei[1], il sistema di gestione dei migranti regolato dalla Convenzione di Dublino ha mostrato tutti i suoi limiti nel controllo e nella redistribuzione dei nuovi arrivati sul continente. Le critiche a questo complesso quadro normativo sono giunte tanto da attori istituzionali e politici, che hanno evidenziato i notevoli squilibri tra i paesi dell’area UE nell’applicazione delle “regole di Dublino”[2], quanto da organizzazioni e associazioni vicine al mondo dell’accoglienza dei migranti, che hanno invece sottolineato come la macchina amministrativa di ricollocamento dei migranti sia diventata un vero e proprio “mostro burocratico”, che continua tutt’oggi a mettere a rischio i diritti fondamentali degli individui[3].

Per meglio comprendere gli obbiettivi e le criticità del “sistema Dublino” occorre però fare chiarezza sull’evoluzione del contenuto della Convenzione e dei successivi regolamenti, che sono andati, negli anni successivi, ad integrare e modificare (in realtà, solo superficialmente) il testo originale[4].

La Convenzione e i Regolamenti di Dublino

Innanzitutto, nel creare un sistema comune di gestione dei nuovi arrivi, l’obiettivo dichiarato dall’Unione Europea era quello di velocizzare le procedure per rispondere nel più breve tempo possibile alle richieste di asilo, in modo da non lasciare “troppo a lungo un richiedente l’asilo nell’incertezza”, sia “quanto all’esito della sua domanda” e sia al fine di “evitare che i richiedenti l’asilo siano successivamente rinviati da uno Stato membro ad un altro senza che nessuno di questi Stati si riconosca competente per l’esame della domanda di asilo”.

Ma come funziona la procedura di asilo europea?

In termini generali, ai sensi della c.d. “direttiva procedure”[5], coloro che presentano richiesta di asilo vengono registrati nel sistema Eurodac (European Dactyloscope, previsto dal Regolamento (CE)2725/2000, database in cui sono caricati i dati e le impronte digitali dei richiedenti) e rimangono in attesa che le autorità nazionali decidano se l’interessato possieda o meno i requisiti per potersi veder riconosciuto lo status di rifugiato, la protezione sussidiaria o altro titolo riconosciuto dalla legislazione nazionale. Se l’esito è positivo – in primo grado o a seguito di opposizione, all’interessato viene riconosciuto uno status ai sensi della legislazione nazionale e internazionale e questi accede ad una serie di diritti connessi allo status, mentre, se l’esito è negativo, il richiedente asilo viene espulso o rimpatriato.

La principale innovazione apportata dal “sistema Dublino” riguarda l’individuazione del paese chiamato ad occuparsi dell’intero processo[6].

Il primo passo in questa direzione e, in particolare, nella costruzione di una politica europea di asilo comune, fu la Convenzione di Dublino, formalmente chiamata “Convenzione sulla determinazione dello stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli stati membri delle Comunità Europee[7], firmata nell’omonima città irlandese nel 1990 ed entrata poi in vigore soltanto sette anni dopo, limitatamente ai dodici Stati firmatari[8]. Il sistema creato dalla Convenzione di Dublino era, nei suoi elementi fondamentali, definito dall’articolo 3, il quale disponeva che “Gli Stati membri si impegnano affinché la domanda di asilo di qualsiasi straniero, presentata alla frontiera o nel rispettivo territorio, sia esaminata[9], fatta salva la possibilità, prevista dal §4, che uno Stato membro decidesse “… di prendere in esame una domanda di asilo presentatagli da uno straniero, anche se detto esame non gli compete … a condizione che il richiedente l’ asilo vi consenta”. In concreto, la Convenzione caricava sui c.d. paesi di primo approdo tutti gli oneri relativi al vaglio delle richieste di asilo, con l’unica eccezione rappresentata dall’intervento volontario di altri paesi dell’allora Comunità europea.

La Convenzione è stata poi completamente sostituita, nel febbraio del 2003, dal Regolamento Dublino II[10], che ha implementato nel diritto comunitario, sotto forma di regolamento, le previsioni originali dell’omonima Convenzione[11], affermando come il principale obiettivo delle istituzioni comunitarie fosse diventato quello di “determinare con rapidità lo Stato membro competente”. Il regolamento non ha solo mantenuto la struttura iniziale della Convenzione, ma ha anche formalizzato il principio del paese di primo approdo, disponendo, all’articolo 3, come “Gli Stati membri esaminano la domanda di asilo di un cittadino di un paese terzo presentata alla frontiera o nel rispettivo territorio” e risolvendo eventuali questioni di competenza “… sulla base della situazione esistente al momento in cui il richiedente asilo ha presentato domanda di asilo per la prima volta in uno Stato membro”, in ossequio a quanto previsto dall’articolo 5.

Nel 2014 il Parlamento e il Consiglio europeo hanno infine adottato il Regolamento 604/2013, conosciuto come Regolamento di Dublino III, che rappresenta la versione definitiva dell’atto normativo alla base del “Sistema Dublino”. Questa nuova versione si concentra, in particolare, sulla previsione secondo cui “una domanda d’asilo è esaminata da un solo Stato membro” e sulla creazione del già citato database Eurodac, in modo da intercettare coloro che, cercando di valicare i confini illegalmente, tentino di violare le regole di Dublino per presentare domanda d’asilo in un paese diverso da quello di primo approdo. Il regolamento prevede però anche maggiori garanzie per i richiedenti asilo – in particolare per i minori – nell’ambito dei ricongiungimenti familiari nonché il diritto, previsto dall’articolo 27, di presentare ricorso avverso un provvedimento di trasferimento.

Questa stratificazione normativa, benché non abbia cambiato l’essenza del “sistema Dublino”, ha comunque dato vita ad un regolamento capace di perseguire – sebbene non sempre con efficacia – diversi obiettivi: armonizzare le politiche europee comuni in tema di asilo, garantire il rispetto dei diritti umani e degli obblighi previsti dal diritto internazionale, ma anche tutelare e difendere i diritti previsti dallo stesso ordinamento comunitario, quali la libertà di movimento all’interno dell’Eurozona e tutelare l’integrità, personale e familiare, degli individui[12]. Il vero obiettivo, nonché l’aspetto più controverso dell’intero sistema, è però la volontà, per gli Stati membri, di contrastare il c.d. asylum shopping, ossia la possibilità per gli stranieri extra-comunitari, in particolare i c.d. “migranti economici”, di scegliere in quale paese richiedere asilo. Il sistema è stato quindi pensato per affidare il ruolo di “filtro” ai paesi frontalieri, in modo da controllare i flussi e limitare gli ingressi. Ciò è confermato anche dall’esistenza di una clausola di chiusura, prevista tanto dalla Convenzione originale quanto dai successivi regolamenti, ai sensi della quale, se non può essere individuato un paese competente applicando i criteri previsti dal testo, allora risulta competente il paese di primo approdo[13].

Uno Stato a cui venga affidata una richiesta di asilo può comunque eccepire la propria incompetenza aprendo la c.d. “fase Dublino”: la procedura relativa alla richiesta di asilo viene sospesa e si apre una fase di accertamento della competenza, che si conclude con una richiesta inoltrata alle autorità del paese che si ritiene essere di primo ingresso, chiedendo di occuparsi della procedura[14]. Nel caso in cui venga riconosciuta la competenza delle autorità del paese invocato, i migranti vengono quindi fatti oggetto di provvedimento di trasferimento.

Profili critici

Il sistema, inizialmente pensato per gestire le richieste di asilo dei migranti provenienti dai paesi dell’ex blocco sovietico, dissoltosi con il crollo del Muro di Berlino nel 1989, presentò fin da subito evidenti criticità, in quanto poggiato sulla competenza pressoché esclusiva dei paesi frontalieri.

Con lo scoppio della crisi migratoria del 2014, il “sistema Dublino” evidenziò tutti i suoi limiti nella gestione del fenomeno, ponendo i paesi dell’Europa meridionale in una situazione di oggettiva difficoltà e aggravando i termini della crisi[15]: l’aumento esponenziale degli arrivi provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente[16] obbligò paesi come Italia, Malta e Grecia – quest’ultima già pesantemente afflitta dalla crisi economica – a gestire da soli una mole enorme di richieste di asilo[17], causando inevitabilmente un forte squilibrio all’interno dell’Unione[18]. Dal punto di vista pratico, per questi paesi è stato sempre più difficile smaltire rapidamente le numerose richieste, con evidenti ripercussioni sia sui migranti, che si ritrovano spesso bloccati in un “limbo” per lunghi periodi, in attesa di una pronuncia sul loro status, sia per le autorità nazionali, costrette a ricorrere a misure di emergenza per gestire l’alto numero di richiedenti asilo nel paese. Inoltre, la mancanza di un compiuto e omogeneo sistema per favorire i ricongiungimenti familiari (oggetto di maggiore disciplina solo con Dublino III) non ha fatto altro che aumentare la pressione sui paesi frontalieri.

Lo squilibrio interno al “sistema Dublino” si è poi manifestato anche nella gestione di coloro che, superando controlli e frontiere, sono riusciti comunque a presentare domanda di asilo nel paese di loro scelta. Di regola, come abbiamo visto prima, questi migranti, chiamati “dublinanti”, a seguito di accertamento circa la competenza di un altro Stato, dovrebbero essere rintracciati e trasferiti nel paese competente per l’espletamento della procedura sulla richiesta di asilo. Ma ciò non sempre accade e per le autorità è spesso difficile rintracciare persone ormai condannate alla clandestinità. L’Italia è un perfetto esempio di quanto sia distorto, e, in definitiva, inefficace, il meccanismo di asilo europeo su questo punto: stando ai dati di Eurostat[19], infatti, nel 2018, il nostro paese ha accolto solamente 6.300 migranti trasferiti da altri paesi europei, un numero irrisorio se si considera che sono state fatte pervenire al nostro paese più di 60mila richieste – principalmente provenienti da Francia e Germania. Per mettere ancora più a fuoco la questione, si consideri che, sempre nello stesso anno, gli arrivi in Italia via mare sono stati poco più di 23mila. In altre parole, gli squilibri di Dublino si manifestano sia quando il sistema funziona correttamente – obbligando i migranti a restare nei paesi di primo approdo – sia quando il suo funzionamento è ostacolato da notevoli difficoltà pratiche – in particolare, l’individuazione e il trasferimento dei dublinanti.

Prospettive di riforma

Alla luce di quanto appena visto, il “sistema Dublino” richiederebbe interventi radicali di riforma ma, per ora, i paesi europei hanno tentato di risolvere alcuni momenti di profonda crisi con provvedimenti una tantum, in modo da alleggerire il peso sui paesi frontalieri. La Germania, ad esempio, nell’agosto del 2015, decise di sospendere l’applicazione di Dublino, incaricandosi direttamente delle richieste d’asilo provenienti dai profughi siriani giunti sui confini esterni europei, accogliendo, in totale, più di un milione di persone[20].

I timidi tentativi di riforma, di cui si discute in sede comunitaria già dal 2015, sono falliti a causa della mancanza di una reale volontà politica comune europea, dovuta, in particolare, alla strenua opposizione di alcuni paesi, come quelli del c.d. “gruppo Visegrád” (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia). L’UE, dal canto suo, ha certamente cercato di porre rimedio alla situazione con alcuni provvedimenti urgenti, come le misure adottate con la decisione 2015/1601 a favore di Italia e Grecia[21] per il ricollocamento di migranti in altri paesi europei, rivelatesi però senza successo[22].

La proposta di riforma più radicale, elaborata nel 2017, prevedeva diverse novità: superamento del criterio del paese di primo approdo e introduzione di un meccanismo di automatico ricollocamento sulla base di quote fisse per ciascun paese europeo – già promosso nell’Agenda Europea sulla Migrazione del 2015[23], nonché nuovi criteri per promuovere i ricongiungimenti familiari. L’iter di discussione è stato però lungo e travagliato e si è concluso con un nulla di fatto: dopo una prima approvazione a larga maggioranza del Parlamento europeo nel novembre del 2017, la Bulgaria, nei primi mesi del 2018, contestò la proposta delle quote di ricollocamento (fortemente osteggiate dai paesi dell’Est) ribadendo il principio del paese di primo approdo e proponendo l’introduzione di un “salvacondotto” che permettesse ai paesi contrari al ricollocamento di evitare di accogliere migranti versando una somma di denaro al paese che se ne fosse incaricato.

Tanto la proposta originale quanto la “soluzione bulgara” sono però state bocciate dal Consiglio europeo. L’esito negativo di questo tentativo di riforma è dovuto principalmente ad un contesto politico ormai sfavorevole a riforme radicali del sistema di asilo e schizofrenico sul tema dei migranti, trovando l’opposizione anche di quei paesi (tra cui l’Italia) che, invece, beneficerebbero di un sistema basato sulla ricollocazione automatica dei migranti[24].

Quale futuro per il “sistema Dublino”?

Dopo un anno dalla proposta di riforma di Dublino, anche se le critiche al sistema continuano ad aumentare, l’impegno dei paesi membri continua più ad essere orientato a soluzioni temporanee piuttosto che ad una seria discussione sul tema.

Nel vertice del 28 e 29 giugno 2018 – quello in cui si sarebbe dovuto discutere della proposta sulle quote di ricollocamento – si è riconfermata la spaccatura tra paesi di primo approdo, che chiedono ricollocamento automatico dei migranti, e paesi dell’Europa centrale, che, pur promettendo maggiore collaborazione, richiedono che i paesi di frontiera si impegnino nello svolgere una prima “scrematura” dei migranti arrivati sulle loro coste.

Un parziale passo in avanti è stato compiuto nell’incontro dello scorso 18 luglio con un accordo di ricollocamento volontario promosso da Francia e Germania e appoggiato da altri sei paesi (Portogallo, Irlanda e Lussemburgo)[25], ma senza l’adesione di Italia e Malta, che si sono invece dette contrarie. Nonostante l’opposizione dei due paesi più attivi nei soccorsi nel Mediterraneo, l’accordo si è subito rivelato efficace in occasione dello sbarco della nave della Guardia Costiera italiana Gregoretti, i cui 115 migranti a bordo sono stati subito ricollocati tra cinque dei paesi firmatari dell’accordo[26].

Di fronte ad un’Unione Europea che dimostra di non avere ancora le capacità di imporre la propria agenda anche ai paesi più recalcitranti, la possibile soluzione sembra essere rimessa solamente alle decisioni degli Stati membri, i quali, però, sono più interessati al consenso politico di breve periodo piuttosto che ad una soluzione organica del fenomeno.

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[1] Per la precisione, 1.032.408 arrivi, secondo i dati dell’UNHCR (https://data2.unhcr.org/en/situations/mediterranean).

[2] Magnani A., Il regolamento di Dublino, cos’è e perché la riforma non piace a Salvini, in Il Sole24Ore, 4 giugno 2018 (https://www.ilsole24ore.com/art/il-regolamento-dublino-cos-e-e-perche-riforma-non-piace-salvini-AE5RzwzE).

[3] Sigona N., Dublino, il flop della relocation e la fine dell’Europa unita, in Open Migration, 19 gennaio 2016 (https://openmigration.org/idee/dublino-il-flop-della-relocation-e-la-fine-delleuropa-unita/).

[4] Per un’introduzione generale si veda Come funziona il sistema di Dublino, Internazionale, 16 maggio 2019 (https://www.internazionale.it/notizie/2019/05/16/sistema-dublino).

[5] Direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1º dicembre 2005 , recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.

[6] Per maggiori informazioni sul funzionamento del sistema di accoglienza si veda il factsheet elaborato dalla Commissione Europea, Un sistema europeo comune di asilo, al link .

[7] Il testo originale della Convenzione in italiano è scaricabile da questo link https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:41997A0819(01)&from=IT.

[8] Ossia Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Regno Unito.

[9] Ciò vale anche per quei migranti che abbiano attraversato irregolarmente un confine, come disposto dall’articolo 6, il quale prevedeva che “Se il richiedente l’asilo ha varcato irregolarmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da uno Stato non membro delle Comunità europee, la frontiera di uno Stato membro, e se il suo ingresso attraverso detta frontiera può essere provato, l’esame della domanda di asilo è di competenza di quest’ultimo Stato membro.”.

[10] Regolamento 2003/343/CE, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=LEGISSUM:l33153&from=IT

[11] E, pertanto, ai sensi dell’articolo 288 TUE, “… direttamente applicabile a tutti gli Stati membri”.

[12] Consiglio europeo per i rifugiati e i migranti (ECRE), Sharing Responsibility for Refugee Protection in Europe: Dublin Reconsidered, marzo 2008 (consultabile qui https://web.archive.org/web/20110317001155/http://www.ecre.org/resources/Policy_papers/1342).

[13] L’articolo 8 della Convenzione prevedeva che “Se lo Stato membro competente per l’esame della domanda di asilo non può essere designato in base agli altri criteri previsti nella presente Convenzione, l’esame della domanda di asilo è di competenza del primo Stato membro al quale essa è stata presentata.”; tale previsione è poi stata riportata pressoché identica in Dublino II (articolo 13) e Dublino III (articolo 3).

[14] Ammirati A., Che cos’è il Regolamento di Dublino, 27 dicembre 2015 (https://openmigration.org/analisi/che-cose-il-regolamento-di-dublino-sui-rifugiati/).

[15] Si veda Camilli A., Cos’è cambiato nel 2016 per i migranti in Italia e in Europa, Internazionale, 29 dicembre 2016 (https://www.internazionale.it/opinione/annalisa-camilli/2016/12/29/migranti-europa-italia-2016).

[16] I dati dell’UNHCR sono pubblicati nell’apposita infografica sul loro sito (https://data2.unhcr.org/en/situations/mediterranean).

[17] Secondo Eurostat, 627mila nel 2014, poi divenute più di un milione nel 2015 e nel 2016 ).

[18] Come rilevato anche dall’UNHCR nel suo commento alla riforma del Regolamento Dublino II, 2009 (https://www.refworld.org/docid/49c0ca922.html).

[19] Villa M., Italy Receives More Asylum Seekers from Germany Than from Libya, ISPI, 25 maggio 2019 (https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/italy-receives-more-asylum-seekers-germany-libya-23587)

[20] La Germania ha sospeso il Regolamento di Dublino per i siriani, Internazionale, 25 agosto 2015 (https://www.internazionale.it/notizie/2015/08/25/germania-siriani-dublino).

[21] Decisione (Ue)2015/1601 del Consiglio del 22 settembre 2015 che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia (consultabile al link https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32015D1601&from=EN).

[22] I dati sull’efficacia di questo sistema sono impietosi: dal novembre 2015 al novembre 2017, nessun paese europeo ha rispettato gli obblighi di ricollocamento imposti dall’allegato A della decisione 2015/61 ). A conferma di ciò, il sistema ha causato anche contenziosi decisi poi anche dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, come nel caso analizzato in D’Andrea S., Quote migranti: la Corte di Giustizia UE respinge i ricorsi dei paesi anti-accoglienza, in Ius in itinere, 18 settembre 2017 (https://www.iusinitinere.it/quote-migranti-la-corte-ue-respinge-i-ricorsi-5006)

[23]  Comunicazione 2015/240, Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni agenda europea sulla migrazione, Bruxelles, 13 maggio 2015 ).

[24] Camilli A., La riforma del regolamento di Dublino verso il fallimento, Internazionale, 5 giugno 2018 (https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2018/06/05/riforma-regolamento-dublino-fallimento).

[25] Si veda la bozza dell’accordo del 18 luglio 2018 al link https://www.statewatch.org/news/2019/jul/eu-com-disembarkation-note.pdf.

[26] Migranti, cominciato lo sbarco dalla nave Gregoretti. Andranno in cinque paesi europei, Repubblica, 31 luglio 2019 (https://www.repubblica.it/cronaca/2019/07/31/news/la_procura_di_siracusa_sulla_gregoretti_29_migranti_con_problemi_sanitari-232437806/).

Fabio Tumminello

30 anni, attualmente attivo nel ramo assicurativo, abilitato all'esercizio della professione forense, laureato in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Torino con tesi sulla responsabilità medico-sanitaria nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e vincitore del Premio Sperduti 2017. Vice-responsabile della sezione di diritto internazionale di Ius in itinere, con particolare interesse per diritto internazionale, diritti umani e diritto dell'Unione Europea. Già autore per M.S.O.I. ThePost e per il periodico giuridico Nomodos - Il Cantore delle Leggi, ha collaborato alla stesura di una raccolta di sentenze ed opinioni del Giudice della Corte europea dei diritti dell'uomo Paulo Pinto de Albuquerque ("I diritti umani in una prospettiva europea. Opinioni dissenzienti e concorrenti 2016 - 2020").

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