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Il mandato di arresto europeo: le modifiche in cantiere

Questo contributo è stato pubblicato su eXtradando.

Aggiornamento: il Governo ha adottato il decreto legislativo n. 10 del 2 febbraio 2021 recante le “disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra stati membri”. Il provvedimento entrerà in vigore il 20 febbraio 2021.

Le Commissioni parlamentari di Camera e Senato hanno espresso parere favorevole allo schema di decreto legislativo recante disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI relativa al mandato di arresto europeo (“MAE”) e alle procedure di consegna tra Stati membri (di seguito, per brevità, anche “schema”) [1]. Il provvedimento è stato predisposto dal Governo in esecuzione dell’art. 6 della legge n. 117 del 4 ottobre 2019 (c.d. “legge di delegazione europea”) e dovrà essere adottato, a pena di decadenza, entro il 2 febbraio 2021.

Il decreto legislativo in oggetto, che consta di 24 articoli, interviene profondamente sul testo della legge n. 69 del 2005, al fine di ovviare a talune criticità emerse nell’implementazione del mandato di arresto europeo a livello nazionale, nonché al fine di scongiurare l’avvio, nei confronti dell’Italia, della procedura di infrazione per la mancata esecuzione della decisione quadro 2002/584/GAI.  Si esporranno, di seguito, le principali novità contenute nello schema di decreto legislativo.

Le disposizioni di apertura e il principio del mutuo riconoscimento

Il provvedimento de quo apporta, in primo luogo, talune modifiche alle disposizioni di apertura della legge n. 65 del 2009, inserendo un esplicito richiamo al principio cardine del mutuo riconoscimento e sancendo il primato dell’Unione europea rispetto al diritto nazionale (con il solo limine opponibile derivante dall’osservanza dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale italiano).

Inoltre, sulla scorta della più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (cfr. sentenza Aranyosi e Caldararu del 5 aprile 2016, cause C-404/15 e C-659/15 PPU [2]), inserisce il comma 3-bis nel vigente art. 1 della legge n. 69 del 2005 in base al quale l’Italia non darà esecuzione “ai mandati europei emessi da uno Stato membro nei cui confronti il Consiglio dell’Unione europea abbia sospeso l’attuazione del meccanismo del mandato di arresto europeo per grave e persistente violazione dei princìpi sanciti all’articolo 6, paragrafo l, del trattato sull’Unione europea ai sensi del punto (l0) dei consideranda del preambolo della decisione quadro”.

Gli aspetti procedurali

In secondo luogo, lo schema corregge alcuni aspetti problematici relativi alla procedura passiva di consegna, prevedendo sia uno snellimento del corredo documentale (con l’abrogazione dei commi da 3 a 6 dall’attuale art. 6 della legge n. 69 del 2005 e l’aggiunta del comma 1-bis per informazioni di dettaglio in caso di mandato di arresto europeo esecutivo di un giudizio svoltosi in absentia) sia un’accelerazione delle tempistiche della fase giurisdizionale con una ridefinizione dei termini di durata delle misure cautelari.

In particolare, l’art. 12 dello schema di decreto riduce drasticamente i termini per l’adozione, da parte della Corte di appello, della decisione sulla consegna, che passano da sessanta a quindici giorni dall’esecuzione della misura cautelare (ex art. 9 della legge n. 69 del 2005) o dall’arresto della persona ricercata (ex art. 11 della legge n. 69 del 2005), con la possibilità di proroga fino a dieci giorni (anziché trenta giorni). Inoltre, in coerenza con il contingentamento dei termini procedurali e con la ratio dell’accelerazione della procedura di consegna, il medesimo art. 12 stravolge il comma 4 del vigente art. 17 della legge n. 69 del 2005, restringendo l’ambito di giudizio della Corte di appello e sopprimendo il vaglio, precedentemente dovuto, sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nei confronti della persona richiesta o sull’esistenza di una sentenza irrevocabile di condanna.

In linea con tale impostazione, l’art. 16 innova significativamente anche la disciplina del ricorso per cassazione. Innanzitutto, il testo novellato elimina la possibilità di proporre ricorso per cassazione “anche nel merito”, prevedendo un elenco tassativo dei motivi per i quali potrà essere proposto ricorso, e cioè quelli previsti dall’art. art. 606, comma 1, lett. a) (esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi ovvero non consentita ai pubblici poteri), lett. b) (inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale) e lett. c) (inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza) c.p.p. Anche in questo caso, lo schema prevede una riduzione dei termini per l’impugnazione del provvedimento della Corte di appello (da dieci a cinque giorni) e stabilisce che la Corte di cassazione adotti la decisione entro dieci giorni dalla ricezione degli atti.

In aggiunta a quanto appena esposto, il provvedimento in esame ridefinisce il regime di durata massima della misura cautelare eventualmente applicata nei confronti della persona richiesta, la quale, pur restando legata ai termini dettati per l’assunzione della decisione, non viene più meno in caso di superamento di detti termini. Segnatamente, lo schema governativo prevede l’abrogazione dell’art. 21 della legge n. 69 del 2005 e delle altre previsioni relative alla perdita di efficacia della misura restrittiva in caso di mancato rispetto dei termini prescritti dalla legge per l’emanazione della decisione sulla consegna o in caso di ritardo nel pervenimento del mandato di arresto (articolo 13 della legge n. 69 del 2005) o nella segnalazione della persona nel sistema SIS (art. 9 della legge n. 69 del 2005).

Il nuovo art. 22-bis (previsto dall’art. 17 dello schema di decreto) stabilisce che, trascorsi novanta giorni dall’esecuzione della misura cautelare o dall’arresto della persona ricercata, spetta alla Corte di appello valutare se la custodia cautelare della persona è ancora da ritenersi necessaria e se la sua durata è proporzionata alla pena, disponendo in caso contrario la revoca o la sostituzione con altre misure cautelari comunque idonee a garantire che la persona non si sottragga alla consegna. Ai sensi del comma 4 del nuovo art. 22-bis, in caso di ritardo ingiustificato nella adozione della decisione definitiva sulla richiesta di consegna e, comunque, quando sono decorsi novanta giorni dalla scadenza di detti termini senza che sia intervenuta la decisione definitiva sulla consegna, la Corte di appello revoca la misura della custodia cautelare e, se persiste l’esigenza di garantire che la persona non si sottragga alla consegna, applica, anche cumulativamente, le misure cautelari di cui agli articoli 281, 282 e 283 c.p.p.

La doppia punibilità e i motivi di rifiuto del MAE

Infine, lo schema di decreto, allo scopo di dare piena esecuzione al principio del mutuo riconoscimento, interviene sia sulla disciplina relativa alla verifica della doppia punibilità sia sulla lista dei motivi di rifiuto (obbligatori e facoltativi) del MAE.

Innanzitutto, il provvedimento chiarisce che, ai fini della verifica della doppia punibilità, non bisogna tener conto della qualificazione giuridica e dei singoli elementi costitutivi del reato e, nel calcolo della pena o della misura di sicurezza privativa della libertà personale, non è consentita l’esclusione delle circostanze aggravanti. Inoltre, lo schema stravolge la formulazione del vigente art. 8, operando un integrale rinvio all’art. 2, par. 2, della decisione quadro 2002/584/GAI per l’elenco dei trentadue reati per cui è prevista la consegna obbligatoria, così armonizzando la normativa nazionale a quella europea.

In seconda battuta, gli artt. 13-15 dello schema di decreto riformano interamente l’impianto degli artt. 18 e 18-bis della legge n. 69 del 2005 disciplinanti i motivi di rifiuto obbligatori e facoltativi della consegna.

La lista dei motivi di rifiuto obbligatori viene drasticamente ridotta (vengono soppressi i motivi di rifiuto dalla lettera a) alla lettera h), lettera n), dalla lettera p) alla lettera s)) e la disposizione novellata ripropone i soli motivi di rifiuto consentiti dall’art. 3 della decisione quadro. Segnatamente, secondo la nuova impostazione, la Corte di appello sarà tenuta a rifiutare la consegna se: i) se il reato contestato nel mandato d’arresto europeo è estinto per amnistia ai sensi della legge italiana, quando vi è la giurisdizione dello Stato italiano sul fatto (lett. a) del novellato art. 18); ii) se risulta che nei confronti della persona ricercata, per gli stessi fatti, sono stati emessi, in Italia, sentenza o decreto penale irrevocabili o sentenza di non luogo a procedere non più soggetta a impugnazione o, in altro Stato membro dell’Unione europea, sentenza definitiva, purché, in caso di condanna, la pena sia stata già eseguita ovvero sia in corso di esecuzione, ovvero non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello Stato che ha emesso la condanna (lett. b) del novellato art. 18); iii) se la persona oggetto del mandato d’arresto europeo era minore di anni 14 al momento della commissione del reato (lett. c) del novellato art. 18).

Lo schema di decreto legislativo incide, in maniera più marginale, anche sui motivi di rifiuto facoltativi sanciti nell’attuale art. 18-bis della legge n. 69 del 2005 (già modificato dallo stesso art. 6 della legge n. 117 del 4 ottobre 2019, comma 5). La più significativa modifica concerne il motivo di rifiuto, previsto nella lett. c) della disposizione vigente, opponibile quando la persona ricercata sia cittadino italiano o cittadino di altro Stato membro dell’Unione europea residente o dimorante in Italia. Secondo la nuova formulazione la norma troverà applicazione solo quando il periodo di residenza o dimora sul territorio italiano sia di almeno cinque anni. Nello stesso tempo, l’art. 15 del provvedimento governativo introduce, ai sensi del nuovo art. 18-ter (rubricato “decisioni pronunciate in absentia”), un ulteriore motivo di rifiuto facoltativo del mandato di arresto europeo per l’esecuzione di una sentenza emessa in contumacia quando la Corte di appello rileva l’insufficienza delle indicazioni previste nel novellato art. 6, comma 1-bis, anche a seguito di richiesta di informazioni suppletive.

Il complesso delle modifiche contenute nello schema di decreto legislativo – brevemente illustrate nel presente contributo – trasforma profondamente la disciplina del MAE, specie sotto il profilo della procedura di consegna passiva e del mutuo riconoscimento. Se, da un lato, si accoglie con favore la volontà di dare piena esecuzione alla decisione quadro 2002/584/GAI nel nostro ordinamento, dall’altro sembra che tale obiettivo sia stato conseguito con il sacrificio (pressoché totale) delle garanzie difensive della persona richiesta. Invero, con le tempistiche e le modalità stabilite dalla disciplina novellata, sorgono forti dubbi sulla possibilità di svolgere, in futuro, un’adeguata ed effettiva tutela dei diritti dell’estradando, trasformando la fase giurisdizionale in una procedura di natura quasi amministrativa finalizzata ad una superficiale verifica dei documenti e della sussistenza dei requisiti minimi richiesti per l’emissione del MAE.

 

[1] Il testo dello schema di decreto legislativo è disponibile qui (

[2] CGUE, Aranyosi e Căldăraru, cause riunite C-404/15 e C-659/15 PPU, sentenza del 5 aprile 2016.

Claudia Cantone

Laureata con lode e menzione presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Napoli "Federico II", ha conseguito il dottorato di ricerca in "Internazionalizzazione dei sistemi giuridici e diritti fondamentali" presso l'Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli". Durante gli anni di formazione, ha periodi di ricerca all'estero presso l'Università di Nantes (Francia), l'Università di Utrecht (Olanda) e il King's College London (Regno Unito). Avvocato presso lo studio legale "Saccucci & Partners", specializzato nel contenzioso nazionale e internazionale in diritti umani e diritto penale europeo e internazionale. Indirizzo mail: claudia.cantone@gmail.com

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