giovedì, Marzo 28, 2024
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Il mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente: un richiamo ai “doveri” tra criteri storici e nuovi mutamenti sociali

 

A cura di Maria Laterza (ELSA Napoli)

La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 17183 del 14 agosto 2020, torna ad occuparsi del controverso tema del mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente, riguardo al quale i giudici di legittimità, nel corso degli ultimi decenni, hanno accolto un orientamento caratterizzato da una disciplina non pienamente esaustiva. Il contesto socio-economico odierno ha giocato un ruolo determinante nella valutazione del caso e ciò ha consentito alla Corte – alla luce, altresì, delle pronunce sempre più difformi delle diverse corti territoriali- di delineare un nuovo orientamento solo parzialmente in linea con le posizioni assunte nel decennio scorso.

 

Il caso

Una donna proponeva ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze, con la quale il giudice aveva revocato l’assegno di mantenimento in favore della medesima per il figlio e l’assegnazione della ex casa familiare, riformando quanto disposto dal Tribunale di Grosseto in merito alla riduzione dell’assegno di mantenimento da €300,00 a € 200,00 a carico del padre.

La ricorrente adduceva, a sostegno del ricorso, due motivi congiunti; in primis, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. per aver la sentenza impugnata valutato erroneamente i redditi effettivi del figlio. Alla luce dei redditi prodotti in atti, il giudice di primo grado riteneva significativi, sebbene modesti, i redditi conseguiti dal figlio trentatreenne; di converso, la madre del beneficiario, riteneva che il reddito del figlio di circa € 20.000,00 considerato dal Tribunale di primo grado, atteneva alla media annua ed era frutto del lavoro occasionale del figlio, insegnante di musica non abilitato, inserito in III fascia che, per conseguire una stabilità lavorativa derivante da un contratto di lavoro a tempo indeterminato, avrebbe dovuto frequentare un tirocinio di circa un anno al costo di € 3.600,00. Inoltre, la ricorrente eccepiva la violazione e falsa applicazione degli artt. 147,148, 315-bis,326-bis,337-sexies e 337- septies c.c., in quanto la corte di merito, a suo dire, configurava la capacità del figlio maggiorenne di mantenersi autonomamente senza tener conto della sua carriera da insegnante e del fatto che il figlio fosse un insegnante precario, incapace di mantenersi da sé.

I motivi del ricorso eccepiti dalla ricorrente si fondavano su l’illegittima convinzione che il figlio avesse diritto sine die al mantenimento da parte dei genitori a causa della sua situazione reddituale, e, conseguentemente, della sua mancata indipendenza economica, avendo, di contro, il diritto a realizzarsi nello specifico lavoro in linea con le sue personali aspirazioni.

La corte territoriale poneva un limite all’obbligo di mantenimento gravante sul genitore, sostenendo, in primo luogo, che esso cessa “in relazione alla raggiunta età di mantenersi, che deve essere presunta oltre i trenta anni, quando una persona normale deve presumersi autosufficiente da ogni punto di vista, anche economico”[1] e che la mancanza di lavoro in dati momenti storici non è un indice che attesta l’incapacità di mantenersi del soggetto. Inoltre, nel caso di specie, l’età del figlio, uomo trentenne ormai distante dagli anni in cui si acquista la capacità di agire, induceva la corte di merito a ritenere opportuna la riduzione delle ambizioni personali da parte dello stesso, essendo preminente la ricerca di un modo per mantenersi.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso ritenendo i motivi eccepiti per un verso inammissibili – poiché trattasi di deduzioni volte a sollecitare una rivalutazione del merito non consentita in sede di legittimità-[2] per l’altro, infondati, in ossequio alle ragioni della ricorrente, la quale ravvisava, nella mancanza di un’occupazione lavorativa del figlio pienamente confacente con le sue personali aspirazioni professionali, le ragioni decisive per la determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del figlio.

I giudici di legittimità hanno motivato la decisione di rigetto del ricorso attraverso un richiamo alle norme del diritto positivo e alla giurisprudenza precedente, occupandosi di definire, con l’ordinanza in esame, i confini del diritto al mantenimento della prole maggiorenne e dello speculare obbligo a carico del genitore alla luce del principio di autoresponsabilità, esaminando altresì le conseguenze in tema di onere probatorio[3].

 

Il diritto positivo

Il dovere di mantenimento dei figli gravante sui genitori, nonostante sia oggetto di continue disquisizioni dottrinali, è disposto in fonti differenti. Dapprima, è sancito dall’art.30, comma 1, Cost., a norma del quale “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”, seguito dalle norme del codice civile a tal tema dedicate. Infatti, l’art. 147 c.c. richiama il principio della carta costituzionale circa il dovere di mantenimento dei figli a carico dei genitori, puntualizzando, altresì, che ciò avvenga nel rispetto delle capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni dei figli[4]. Il legislatore, nel corso degli anni, ha sempre recepito l’obbligo di mantenimento dei figli, anteponendo le esigenze di questi alle prerogative dei genitori[5], senza specificare le circostanze in cui  tale obbligo è escluso. Soltanto nel 2013, a seguito di una serie di riforme intraprese negli anni precedenti[6], il legislatore ha dedicato peculiare attenzione allo specifico tema del mantenimento del figlio maggiorenne, introducendo l’art. 337 septies c.c., il quale, al comma 1, sancisce che «il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico». Con tale disposizione, il legislatore definisce gli elementi di necessaria considerazione per la definizione delle circostanze in cui il figlio, non ancora economicamente indipendente, abbia diritto o meno all’assegno di mantenimento a carico del genitore. In primo luogo, condizione necessaria per il riconoscimento dell’assegno di mantenimento è la mancata indipendenza economica del figlio maggiorenne; in assenza di un dato normativo specifico, anche la giurisprudenza maggioritaria ha sostenuto che l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne non cessa con il conseguimento, da parte di quest’ultimo, della maggiore età, ma soltanto dopo il raggiungimento dell’indipendenza economica.[7] Inoltre, l’utilizzo del verbo servile “può” pone l’accento sulla natura discrezionale del giudizio del giudice di merito; un ulteriore ed interessante elemento valutativo riposa nella disposizione che il giudice è tenuto a pronunciarsi solo dopo aver “valutate le circostanze”  e che, solo dopo la raggiunta prova della integrazione delle circostanze che fondano il diritto, il giudice sarà tenuto a disporre l’assegno.[8]

A tal riguardo, la Suprema Corte, per un’adeguata valutazione delle circostanze, ha rievocato alcuni condivisibili principi già affermati in precedenza; è opportuno che il giudice di merito valuti le circostanze da cui deriva l’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni in capo ai genitori caso per caso – anche con riguardo all’assegnazione della casa coniugale per convivenza con i figli maggiorenni[9]. Inoltre, i criteri di relatività devono ispirare il tribunale nella conduzione del relativo accertamento, poiché le posizioni lavorative occupate, nonché il percorso scolastico e universitario del figlio, in relazione all’andamento del mercato del lavoro, influenzano la configurazione dello specifico thema decidendum.[10] Con l’ordinanza in esame, particolare rilievo è stato attribuito, altresì, all’esigenza che la valutazione del caso sia condotta «con rigore proporzionalmente crescente, in rapporto all’età dei beneficiari, in modo da escludere che tale obbligo assistenziale, sul piano giuridico, possa essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura» ( Cass. 22 giugno 2016, n. 12952; Cass. 7 luglio 2004, n. 12477) e che,  oltre tali «ragionevoli limiti», l’assistenza economica protratta ad infinitum «potrebbe finire col risolversi in forme di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani» (Cass. 6 aprile 1993 n.4108, in motivazione, in tema di assegnazione della casa coniugale per convivenza con i figli maggiorenni; concetto ripreso es. da Cass. 22 giugno 2016, n. 12952).[11]

Orbene,l’art. 337 septies c.p.c. non ha l’obiettivo di “rievocare” un diritto venuto ad estinguersi per effetto del raggiungimento della maggiore età da parte del figlio ma, più semplicemente, quello di escludere che il raggiungimento della maggiore età sia incompatibile con il diritto al mantenimento, tanto che il giudice può disporlo una volta valutate le circostanze del caso concreto – tra le quali deve essere annoverata, naturalmente, anche la situazione concreta dei genitori-.[12]

Infine, è possibile evidenziare che con l’art. 337 septies c.c. la questione in esame si colloca fuori dalla situazione di una crisi coniugale e tale intento è rimarcato  dal comma 1 della norma per cui « tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto».

 

La funzione educativa dell’assegno di mantenimento e la connessione al principio di autoresponsabilità.

Tra le finalità che l’assegno di mantenimento mira ad ottemperare, emerge, sin dall’introduzione del predetto obbligo in capo ai genitori, la preminente funzione educativa riconosciuta all’assegno medesimo. La necessità, già manifestata con la precedente giurisprudenza, di porre ragionevoli limiti all’assistenza per evitare l’insorgere di situazioni parassitarie in capo ai giovani, è strettamente correlata all’istruzione e all’educazione del figlio. Tale diritto-dovere è funzionale alla valutazione del caso per la determinazione dell’assegno di mantenimento; infatti, se da un lato sussistono il diritto all’istruzione e all’educazione del figlio e il corrispondente dovere dei genitori di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli- come sancito dall’art. 147 c.c. -, d’altra parte sussiste il dovere del figlio allo svolgimento diligente e accurato del percorso formativo prescelto. L’ordinanza in esame si focalizza sulla funzione educativa dell’assegno di mantenimento, affermando che l’obbligo gravante in capo ai genitori sia commisurato al tempo occorrente al figlio per il suo inserimento nella società e che, il percorso educativo di questi debba essere necessariamente compatibile con le condizioni economiche della famiglia. Tuttavia, la determinazione dell’assegno di mantenimento si fonda sulla situazione del figlio e, allo stesso tempo, non ha alcun rilievo la situazione economico-patrimoniale del genitore. Tale impostazione consente di dedurre che la funzione educativa del mantenimento acquisisce un ruolo centrale e ed è assimilata al principio di autoresponsabilità, di cui è possibile cogliere un’evidente evoluzione. La giurisprudenza precedente era ispirata da un orientamento unanime per l’analisi dello status del figlio: la capacità di questi di provvedere a sé con adeguata collocazione in seno al corpo sociale, unitamente al conseguimento di una capacità lavorativa derivante dallo svolgimento della professione prescelta, erano sufficienti per la definizione situazione economica del figlio e per l’eventuale cessazione dell’obbligo di mantenimento gravante sul genitore.  Il contesto economico odierno, alla luce dei mutamenti in pejus del mercato del lavoro, ha indotto i giudici di legittimità a rivedere le condizioni preminenti per la verifica del caso e, di converso, a focalizzare l’attenzione non sulla reale capacità del figlio di farsi strada nello specifico ambito professionale prescelto, ma sul suo interesse ad  acquisire indipendenza economica entro una certa età. A tal riguardo, in linea con il mutamento dei tempi, la Suprema Corte si occupa del mantenimento dei figli maggiorenni in conformità a un nuovo modo di intendere il rapporto tra genitori e figli, il cui filo conduttore è il richiamo del figlio al dovere di autoresponsabilità che si contrappone ad un assistenzialismo incondizionato.[13] Il rilievo assegnato al principio di autoresponsabilità dimostra il costante adeguamento del nostro ordinamento giuridico all’evoluzione della società civile, pur corroborando tali principi con l’applicazione razionale e perdurante del principio di solidarietà ex art. 2 Cost.[14] Sebbene la Suprema Corte abbia riconosciuto il diritto del figlio alla ricerca di un lavoro affine al percorso di studi intrapreso,essa intende rilevare l’importanza che il figlio sia spronato dal dovere di ricercare comunque l’autosufficienza economica, nel pieno rispetto del principio di autoresponsabilità, attraverso un atteggiamento volto a «contemperare le aspirazioni di lavoro con il concreto mercato del lavoro».

Inoltre, i giudici di legittimità hanno posto, al centro della loro analisi, la rilevanza acquisita «dall’ avanzare dell’età» per garantire ulteriormente la funzione educativa del mantenimento. Orbene, si è tentata di individuare un’età oltre la quale possa dirsi ragionevole che il diritto al mantenimento del figlio «adulto» cessi, richiamando che l’obbligo gravante in capo ai genitori si giustifichi nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione.[15]Pertanto, la funzione educativa del mantenimento è “nozione idonea a circoscrivere la portata dell’obbligo di mantenimento, sia in termini di contenuto, sia di durata, avendo riguardo al tempo occorrente e mediamente necessario per il suo inserimento in società”. A tal riguardo, viene rimarcata l’importanza assunta dalla maggiore età, raggiunta la quale è acquisita la capacità di agire e la facoltà di provvedere al raggiungimento di una capacità reddituale che garantisca indipendenza economica. Tuttavia, non sempre l’acquisto della capacità di agire corrisponde all’acquisto della capacità lavorativa, pertanto, in tal caso, sarà necessario che il figlio, beneficiario dell’assegno, dia prova di aver intrapreso un adeguato percorso di studi.

Inoltre, la rilevanza che la maggiore età assume nel contesto in esame è utile per il discernimento tra la posizione dei figli maggiorenni e quella dei figli minorenni. Infatti, l’ordinanza mira a specificare l’evidente differenza che intercorre tra il mantenimento del figlio minorenne e, d’altra parte, il mantenimento del figlio maggiorenne: se, con riguardo al primo, il diritto all’istruzione, all’educazione e all’assistenza morale è garantito dalla Costituzione nonché dalle norme del codice civile ed è prevista una forma di automatismo nell’assunzione dei corrispondenti doveri da parte dei genitori, lo stesso non può affermarsi nei confronti dei figli maggiorenni. I giudici di legittimità, a tal riguardo, specificano che «ai sensi degli artt. 147 e 315-bis c.c., il dovere di educare a tutte le esigenze della vita e di procurare un’istruzione ai figli, può datarsi dalla nascita alla maggior età del figlio e, del pari, il dovere di mantenere i figli permane sicuramente fino a quella età». Il compimento del diciottesimo anno impone l’applicazione esclusiva dell’art. 337 septies c.c. in tema di mantenimento, ma è opportuno cogliere il messaggio della Suprema Corte di eliminare ogni automatismo poiché la norma rimette la decisione al giudice che sarà tenuto a decidere sull’assegno di mantenimento, fino a quel momento inesistente.

 

L’importanza dei criteri di relatività nella valutazione del caso

La posizione assunta dalla Suprema Corte rappresenta il confine tra due distinte esigenze di forte rilievo, quali la valutazione dell’età del figlio e il dovere di garantire il mantenimento senza specifiche limitazioni temporali, esaminando anche le offerte effettive del mercato del lavoro. Tuttavia, la valutazione di tali circostanze, sulla base del loro “bilanciamento”, non sempre conduce ad una facile identificazione delle situazioni meritevoli di tutela; infatti, porre un limite temporale oltre il quale i figli non avrebbero più diritto al mantenimento da parte dei genitori sarebbe poco aderente all’esigenze di tutela evidenziate dai giudici di legittimità, alla luce della continua evoluzione del mercato del lavoro. D’altra parte, legittimare le richieste di mantenimento sine die significherebbe non assolvere alla funzione educativa propria dell’assegno di mantenimento e, conseguentemente, “offrire il fianco” all’avanzare di un sistema parassitario e ampiamente assistenzialistico.

Al fine di giungere ad una più semplice identificazione delle fattispecie per le quali disporre il mantenimento del figlio da parte dei genitori, la Suprema Corte ha redatto un inventario delle situazioni che escludono il diritto al mantenimento, sostenendo che, l’obbligo di mantenimento dei genitori non possa protrarsi sine die e che esso trovi il suo limite logico e naturale:

  1. allorquando i figli si siano già avviati ad un’effettiva attività lavorativa tale da consentire loro una concreta prospettiva d’indipendenza economica;
  2. quando siano stati messi in condizioni di reperire un lavoro idoneo a procurar loro di che sopperire alle normali esigenze di vita;
  3. quando abbiano ricevuto la possibilità di conseguire un titolo sufficiente ad esercitare un’attività lucrativa, pur se non abbiano inteso approfittarne;
  4. quando abbiano raggiunto un’età tale da far presumere il raggiungimento della capacità di provvedere a se stessi;
  5. infine,vi sono le ipotesi, che inducono alle medesime conclusioni, nella quali il figlio si sia inserito in un diverso nucleo familiare o di vita comune, in tal modo interrompendo il legame e la dipendenza morali e materiali con la famiglia d’origine[16].

Nonostante la Suprema Corte abbia rielaborato la scala gerarchica delle condizioni necessarie affinchè possa essere affermato l’obbligo di mantenimento in capo al genitore, i criteri di relatività richiamati con l’ordinanza in esame continuano ad occupare una posizione decisiva nella valutazione dei singoli casi e a influenzare l’esito del giudizio. A tal riguardo, ad esempio, l’obbligo di mantenimento grava sul genitore del figlio ventenne che ha rifiutato un lavoro precario non pienamente confacente con le sue aspirazioni, per il quale avrebbe dovuto rinunciare al percorso scolastico intrapreso – studente del quinto liceo-[17]; lo stesso diritto al mantenimento spetta alla figlia, avvocato trentenne che, non essendo economicamente autosufficiente, ha dato prova di aver conseguito un certo grado di competenza professionale e tecnica, di aver profuso impegno nella ricerca di un’occupazione lavorativa e di aver tenuto una condotta meritevole di tutela[18] .

È evidente come, nonostante il tema sia stato ampiamente dibattuto nel corso del tempo, il permanere dell’obbligo di mantenimento è subordinato all’utilizzo, nella suddetta analisi, di criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari[19]e ,altresì, è commisurato all’impegno profuso dal figlio nella ricerca di un lavoro finalizzato al conseguimento di indipendenza economica, nell’attesa di un impiego più adatto alle sue inclinazioni.

 

La cessazione del dovere genitoriale di mantenimento del figlio maggiorenne

Nonostante le continue dissertazioni sul tema in esame abbiano convinto i giudici di legittimità a concentrarsi su circostanze valutative differenti, condizionati dai diversi periodi storici e, inoltre, dalle mutevoli esigenze dei figli, il raggiungimento dell’autosufficienza economica da parte del figlio è stato -e continua ad essere- il requisito alla presenza del quale cessa l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne gravante sul genitore. In passato, determinava autosufficienza economica del figlio maggiorenne la percezione di un reddito corrispondente, secondo le condizioni normali e concrete di mercato, all’acquisita professionalità, quale che sia, non potendo rilevare, in senso contrario, il tenore di vita del quale il figlio stesso aveva goduto in costanza di matrimonio o durante la separazione.[20] Tuttavia, è necessario che l’accertamento della raggiunta autosufficienza economica da parte del figlio, tale da determinare la revoca dell’assegno di mantenimento a carico del genitore, sia condotto con riguardo all’età, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa nonché, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta[21].

Condizione alla cui presenza è disposta la revoca dell’assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne è la colpevole inerzia e la scelta volontaria di non trovare un’occupazione lavorativa. A tal riguardo, cessava l’obbligo di mantenimento a carico del genitore in favore del figlio che, dotato di un patrimonio personale, proseguiva gli studi universitari, presso una sede diversa dal luogo di residenza, senza aver ingiustificatamente proseguito alcun correlato titolo di studio o una possibile occupazione remunerativa[22]. Al contrario, nel caso oggetto della presente ordinanza, l’atteggiamento assunto dal figlio, ancorato alla realizzazione delle sue aspirazioni adolescenziali senza alcun interesse per la ricerca di un’occupazione diversa o per il reperimento di strumenti ulteriori per il raggiungimento dei suoi obiettivi, configurano, altresì, colpevole inerzia del figlio tanto da determinare la conferma della sentenza della corte di merito.

Pertanto, in modo sintetico, è possibile affermare che solo la condizione di una peculiare minoranza o debolezza delle capacità personali – pur non sfociate nei presupposti di una misura tipica di protezione degli incapaci-, la prosecuzione degli studi ultraliceali con diligenza, l’essere trascorso un lasso di tempo ragionevolmente breve dalla prosecuzione degli studi e, infine, la mancanza di un qualsiasi lavoro, pur dopo l’effettuazione dei possibili tentativi di ricerca dello stesso possono essere classificate tra le evenienze che comportano il sorgere del diritto al mantenimento in capo al figlio maggiorenne[23].

 

L’onere della prova

La principale novità introdotta dalla Suprema Corte con l’ordinanza in esame risiede nell’inversione dell’onere della prova. In base al precedente orientamento giurisprudenziale,il genitore obbligato era altresì gravato del peso di tale onere, sebbene moderato dalle possibilità di ricorso alle presunzioni.[24] Al contrario, i giudici di legittimità, coerentemente con le esigenze valutative emerse dall’analisi del tema, hanno ritenuto opportuno porre a carico del richiedente l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento.

Affinchè si assista all’accoglimento della domanda, è necessario che il figlio maggiorenne dia prova non solo del mancato raggiungimento di indipendenza economica ma anche di aver conseguito diligentemente una preparazione professionale o tecnica e, conseguentemente, di aver esperito ogni possibile tentativo al fine di rinvenire un’occupazione lavorativa. La Suprema Corte,pertanto, per la prima volta sposa un orientamento differente dai precedenti indirizzi giurisprudenziali affermando che “ non è il convenuto – soggetto passivo del rapporto – onerato della prova della raggiunta effettiva e stabile indipendenza economica del figlio, o della circostanza che questi abbia conseguito un lavoro adeguato alle aspirazioni soggettive”. Inoltre, il principio di vicinanza della prova vigente nel nostro ordinamento è ben più aderente ad un simile orientamento, essendo ormai note le difficoltà del genitore onerato nel provare il mutamento delle condizioni economiche del figlio, non sempre dimostrabili in forma diretta. Per questa ragione, nonché per completezza nell’ esame del tema, l’ordinanza puntualizza, altresì, l’importanza della prove presuntive, sancendo che «le concrete situazioni di vita saranno sovente ragione d’integrazione della prova presuntiva circa l’esistenza del diritto»; a tal proposito,occorre precisare inoltre che, in presenza di una condotta del figlio caratterizzata da intenzionalità o da colpa, quest’ultimo non avrà dimostrato di avere diritto al mantenimento[25].

 

Conclusioni

L’analisi degli aspetti rilevanti in tema di assegno di mantenimento del figlio maggiorenne consente l’elaborazione di accurate riflessioni sull’evoluzione del suddetto tema e, altresì, l’individuazione delle differenti configurazioni di alcune circostanze utili alla valutazione delle singole fattispecie.

La Suprema Corte interviene con la presente ordinanza ricalcando aspetti dell’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne già condivisi ed evidenziati dalla giurisprudenza precedente. Dapprima, i giudici di legittimità non arginano le condizioni necessarie per il riconoscimento del mantenimento in favore del figlio maggiorenne; infatti, continua ad essere preminente la verifica della raggiunta autosufficienza economica da parte del figlio, alla luce dei differenti criteri di relatività che mitigano il giudizio del giudice e ben garantiscono la sua discrezionalità nella valutazione del caso. L’analisi esaustiva della raggiunta indipendenza economica da parte del figlio è sempre stata condizionata dalla valutazione dell’età raggiunta dallo stesso al momento della domanda. A tal riguardo, la giurisprudenza maggioritaria ha sempre presunto l’acquisto della capacità lavorativa con il raggiungimento della maggiore età, ma, d’altra parte, non ha mai asserito l’automatico acquisto della capacità lavorativa, tale da generare indipendenza economica, al momento del compimento del diciottesimo anno di età. Invero, il perseguimento di un percorso di studi, atto a consentire un perfezionamento delle competenze professionali e tecniche, è molto incisivo nella determinazione del caso di specie e, in tale circostanza, lo strumento centrale rappresentato dall’età del figlio cede il passo ad un aspetto di maggior rilievo, ravvisabile nella condotta assunta dallo stesso. È necessario, infatti, che il figlio, beneficiario dell’assegno, abbia tenuto una buona condotta, dimostrabile attraverso il completamento del suo percorso di studi e, altresì, attraverso l’impegno profuso nella ricerca di un’occupazione lavorativa.

Orbene, la prima novità distinguibile nella suddetta ordinanza, che segna un primo cambio di rotta rispetto al passato, si evidenzia nel differente criterio valutativo adoperato con riguardo alla ricerca di un lavoro da parte del figlio. In passato, la ricerca di un lavoro confacente con le proprie possibilità lavorative e il mancato reperimento di un’occupazione nel proprio ambito di specializzazione riuscivano ad evitare un’errata configurazione del figlio quale “ parassita”, avendo un maggior riguardo al principale diritto del figlio di realizzarsi nel contesto lavorativo prescelto. Il mercato del lavoro attuale impone ai giudici di legittimità di porre un freno alle ambizioni adolescenziali dei giovani attraverso un maggior richiamo ai doveri piuttosto che ai diritti. La Suprema Corte, per la prima volta, non compie una valutazione del caso alla luce dei criteri fondamentali sanciti dal diritto positivo e dalla giurisprudenza ma conduce un esame il cui fulcro centrale risiede nell’aderenza della condotta del figlio al fondamentale principio di autoresponsabilità. Il sistema economico odierno impone ai figli di condurre un’esistenza fondata su detto principio che, di conseguenza, sia tale da indurre i figli maggiorenni a ponderare le proprie ambizioni o a impegnarsi per il perseguimento dei propri obiettivi. La suddetta ordinanza invoglia i giovani a riflettere e a comprendere la vera essenza del principio di autoresponsabilità, pensando alla risoluzione delle prime difficoltà in autonomia, non richiedendo l’intervento dei genitori ma ricercando piuttosto un lavoro in un ambito non pienamente confacente con le proprie aspirazioni. Nel caso oggetto dell’ordinanza, la condotta del figlio non può definirsi “autoresponsabile”, poiché egli era ancorato ai suoi iniziali obiettivi e, inoltre, ignorando le concrete possibilità di raggiungere l’indipendenza economica senza adoperarsi maggiormente – unitamente al fatto che fosse ormai un uomo di trentatré anni-. Inoltre, l’inversione dell’onere della prova a carico del richiedente è un messaggio ancora più evidente dell’esigenza di ridurre il riconoscimento dell’assegno di mantenimento ai soli casi in cui sussistano evenienze concrete.

L’ordinanza in esame è stata emessa in un periodo storico fortemente devastante, che ha avuto -e avrà- conseguenze irrefrenabili sul mercato del lavoro; in un contesto simile, la Suprema Corte incoraggia i figli ad avere più ampia contezza della realtà dei fatti e, in particolare, a tener conto di quanto le egoistiche richieste generata da un mancato raggiungimento degli obiettivi professionali siano poco aderenti ed assolutamente distanti dal mondo del lavoro che, al contrario, impone un atteggiamento responsabile e che non lascia spazio ad ambienti assistenzialistici.

 

 

 

[1] Cit. Cass., 14 agosto 2020, n.17183.

[2] Cfr. Cass. n. 23336/2020 con cui i giudici di legittimità rigettano il ricorso avverso un provvedimento con il quale i ricorrenti eccepiscono la violazione del principio di proporzionalità nella determinazione dell’assegno di mantenimento della figlia maggiorenne, ritenendo tale deduzione volta a sollecitare una rivalutazione del merito non consentita in sede di legittimità. (www.osservatoriofamiglia.it)

[3] Scientifica Redazione, Mantenimento del figlio maggiorenne: dal “diritto ad ogni possibile diritto” al principio di auto responsabilità, www.ilfamiliarista.it, 10 novembre 2020

[4] Cfr. art. 147 c.c. “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315 bis”. In tema di obbligo dei genitori al mantenimento della prole, cfr. artt. 148, 315-bis, 316-bis, 337-ter.

[5] Vedi l’art. 30 Cost. che subordina l’obbligo di mantenimento dei figli alla circostanza che essi siano nati o meno fuori dal matrimonio.

[6] “Il dovere di mantenimento dei figli ha assunto connotati nuovi sin dalla riforma di cui alla l. 8 febbraio 2006, n.54, che con l’art. 155- quinquies c.c. ha dettato una disposizione ad hoc «in favore dei figli maggiorenni». La norma, abrogata dall’art. 106 d.lgs. 28 dicembre 2013, n.154, è stata trasposta nell’art. 337-septies c.c. da esso introdotto”. Così Cass., 14 agosto 2020, n.17183.

[7] DE SANTIS A.,Sull’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non (per sempre) economicamente autosufficienti, Giur.merito,fasc.4,2008,pag.1194b.

[8] Cit. Cass., 14 agosto 2020, n.17183

[9] Cass. 6 aprile 1993 n.4108.

[10] Cass. 26 gennaio 2011, n. 1830.

[11] Cit. Cass., 14 agosto 2020, n.17183.

[12] GiLARDI G. Ancora su figli maggiorenni e diritto al mantenimento, www.giustiziainsieme.it, ISSN: 2036-5993.

[13] Scientifica Redazione, op.cit.

[14] Cit. Cass., 14 agosto 2020, n.17183.

[15] Trib.Milano, 29 marzo 2016. Nel caso concreto, tale età è stata individuata in trentaquattro anni, in concomitanza al raggiungimento di un’adeguata formazione professionale in forza della quale il figlio ben avrebbe potuto adoperarsi per trovare un’occupazione lavorativa.

[16] Cass. 7 luglio 2004, n. 12477.

[17] Cass. 1 dicembre 2004, n.22500, sez. I.

[18] FIORENDI M. Mantenimento dei figli maggiorenni non ancora autosufficienti, nota a Cass.17 luglio 2019, n.19135, sez. I, www.ilfamiliarista.it, 29 novembre 2019.

[19] Cass. civ., n. 12952/2016. “Nella specie, si consideri, l’età del maggiorenne era 35 anni, età in cui nella normalità dei casi il percorso formativo e di studi è ampiamente concluso e la persona è da tempo inserita nella società, per cui secondo una costante interpretazione giurisprudenziale, la condizione di persistente mancanza di autosufficienza economico reddituale, in assenza di ragioni individuali specifiche costituisce un indicatore forte d’inerzia colpevole” GALLUZZO S., Mantenimento revocato al figlio maggiorenne che non si è attivato per cercare un’occupazione, Nota a: Cassazione civile, 25 settembre 2017, n.22314, sez. VI, www.ilfamiliarista.it, fasc., 29 dicembre 2017.

[20] Cass. I, n. 496/1996.

[21] Cass.I. n. 12952/2016.

[22] Cass, I, n. 27377/2013.

[23] Cit. Cass., 14 agosto 2020, n.17183.

[24] Cfr tra le tante: Cass.civ. sez. VI, 15 luglio 2020, n. 21752, Cass. civ. sez VI, 5 marzo 2018, n. 5088. Così Scientifica Redazione, op.cit.

[25] Ad esempio: uno stile di vita volutamente inconcludente e sregolato indica una condotta caratterizzata da intenzionalità mentre l’inconcludente ricerca di un lavoro protratta all’infinito e senza presa di coscienza sulle proprie reali competenza è un esempio di condotta caratterizzata da colpa. Così Cass. 14 agosto 2020 n. 17183.

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