Il Marchio e LVMH: la difesa del lusso nelle sedi legali
A cura di Rachele Martinelli
Nel nostro ordinamento, il D. Lgs. 30/2005, meglio conosciuto come Codice della proprietà intellettuale (CPI), regolamenta la disciplina sul marchio, assieme al Codice civile, alle norme dell’Unione Europea e alle Convenzioni Internazionali.
Il Codice civile all’articolo 2569 definisce il marchio come qualcosa di “idoneo a distinguere prodotti o servizi”.
L’articolo appena citato rubricato “Diritto di esclusività” permette fin da subito di comprendere che il detentore del marchio gode del diritto di esclusiva, ossia l’uso unico da parte del registratore dello stesso.
A ben guardare, condizione essenziale è dunque la registrazione del marchio.
Quest’ultima viene rilasciata dall’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi dopo una procedura piuttosto complessa scandita in tre fasi: deposito della domanda, esame della stessa e osservazioni e opposizioni.
Dalla registrazione derivano, per il titolare, dei diritti meglio specificati all’art. 20 CPI.
La norma riconosce un uso esclusivo del marchio e il potere di vietare a terzi, salvo il proprio consenso, di utilizzare nella attività economica:
- segni identici al marchio;
- segni identici o simili al marchio affini capaci di generare nel consumatore un senso di confusione data dalla somiglianza tra i due;
- segni identici o simili al marchio qualora quest’ultimo abbia nello stato una rinomanza e qualora l’uso del segno consenta di ottenere ingiusto vantaggio dalla rinomanza del marchio registrato.
Tra i poteri del titolare del marchio si ricorda altresì quello di cessione. Ad oggi esso può essere trasferito indipendentemente dalla cessione di azienda o del ramo della stessa, in questo modo, chiaramente, viene garantita la libera circolazione del marchio in maniera più agevole, non essendo lo stesso vincolato imprescindibilmente all’azienda o al ramo di essa. Tuttavia, resta ferma la previsione di cui all’art. 2573 comma II c.c. per cui “quando il marchio è costituito da un segno figurativo, da una denominazione di fantasia o da una ditta derivata, si presume che il diritto all’uso esclusivo di esso sia trasferito insieme con l’azienda”. Sul punto gli esempi di cessioni di marchi italiani sono numerosi, primi fra tutti la Perugina acquistata da Nestlé nel 1988 o Gucci acquistato dal Gruppo Kering.
Non si può non rilevare che una delle principali criticità relativamente alla registrazione dei marchi è la possibilità di presentare una domanda per un segno simile o identico ad un marchio già registrato. Tale condotta infatti comporta un danno reputazionale e di immagine non di poco conto per il titolare del marchio già registrato. Non a caso, l’art. 2043 c.c. impone il risarcimento del danno ingiusto patito e l’art. 125 CPI disciplina il risarcimento del danno e la restituzione dei profitti dell’autore della violazione.
Giova sottolineare che il 2043 c.c. implica il risarcimento tanto del danno emergente quanto del lucro cessante. Sul punto, il primo non pone particolari problemi, si tratterà di risarcire le spese sostenute al danneggiato, tra queste figura anche la riduzione del valore del marchio a seguito alla contraffazione.
Decisamente più ostica è la quantificazione del lucro cessante poiché esso comprende, ad esempio, il mancato guadagno del titolare del marchio a causa delle condotte altrui. In questo senso, il terreno è scivoloso. Il Supremo Collegio ha affermato che il danno non consiste necessariamente in una riduzione delle vendite o in un calo del fatturato rispetto al periodo precedente al danno, potendo manifestarsi anche solo in virtù di una riduzione del potenziale di vendita, senza che si abbia una corrispondente riduzione rispetto agli anni precedenti[1]. Con riferimento a questo tema, giova ricordare che la giurisprudenza di legittimità è conforme nel sostenere che il danno da lucro cessante per violazione dei diritti di proprietà industriale non è configurabile in re ipsa e non dispensa il danneggiato dal relativo onere probatorio[2].
Il caso Louis Vuitton contro Qingian Fu
Ha avuto la meglio Louis Vuitton nel caso “Louis Vuitton Malletier vs Qingian Fu”[3].
Quest’ultimo aveva avanzato una richiesta di registrazione di un marchio che rispecchia il noto Monogram Toile di Louis Vuitton.
La Divisione di opposizione dell’Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) ha respinto la domanda di registrazione poiché il motivo di “a repetition of decorative elements resembling flowers with a letter ‘B’ inside and stars with the letter ‘R’ inside” (ripetizione di elementi decorativi che ricordano fiori con una lettera B all’interno e delle stelle con la R all’interno) nell’abbigliamento e pelletteria dei prodotti di Fu appariva molto simile all’iconico monogram di Louis Vuitton. Una tale somiglianza, pertanto, poteva compromettere la reputazione del colosso di moda francese.
L’EUIPO ha accolto l’opposizione di LV e nella propria decisione dello scorso 4 ottobre ha sottolineato la necessità di proteggere i marchi da tutti quei tentativi di terzi volti a sfruttare la notorietà degli stessi.
Solo per completezza ricostruttiva giova precisare che la vicenda ha avuto inizio a febbraio 2023, nel momento in cui Qingian Fu ha depositato la domanda di registrazione del marchio sopra descritto presso l’EUIPO per utilizzarlo su prodotti di abbigliamento, calzature e pelletteria. Tutto ciò ha, ovviamente, provocato l’attivazione di Louis Vuitton che ha presentato un’opposizione il successivo giugno 2023.
Il colosso del gruppo LVMH ha sostenuto che il marchio di Fu, in caso di registrazione, “would take unfair advantage of, or be detrimental to, the distinctive character or the repute of [its previously-registered] mark” (avrebbe tratto indebito vantaggio o sarebbe stato dannoso per il carattere distintivo o la reputazione del marchio [precedentemente registrato]).
Il monogram rappresenta per Louis Vuitton un motivo iconico risalente al 1896 ed è proprio questo motivo che rende il brand una delle maison di lusso più riconoscibili del mondo. Nella propria richiesta di opposizione LV, infatti, ha ricordato le numerose campagne pubblicitarie di alta moda con il marchio e il suo utilizzo in numerosi eventi sportivi quali la Coppa del Mondo FIFA, l’Australian Open, il Grand Premio di Monaco di Formula 1 e, non per ultimo, le scorse Olimpiadi.
A valle di quanto rappresentato, la vittoria di Louis Vuitton non stupisce, il Toile Monogram ha acquisito una reputazione non di poco conto, tale per cui viene riconosciuto dalla maggior parte del pubblico interessato ai prodotti di moda.
La Divisione ha affermato che la reputazione deve essere rapportata alla quota di mercato detenuta dal marchio, all’intensità, all’estensione geografica e la durata del proprio uso e l’entità dell’investimento impiegato dall’impresa per promuoverlo.
Non deve stupire quindi che sia stata riconosciuta al marchio la reputazione richiesta dall’Unione Europea.
Con riferimento all’apprezzamento in territori specifici, non ci sarebbe neppure ragione di ricordarlo, Louis Vuitton ha una notevole fama in tutta europea, in primis in Italia e Francia, due marcati chiave del territorio UE.
Sotto altro e diverso profilo, considerando che i prodotti maggiormente realizzati da LV sono: borse, portafogli, valigie, abbigliamento, calzature e cappelleria, è evidente che Fu trarrebbe un ingiusto vantaggio dalla reputazione di Louis Vuitton dal momento che commercia le stesse categorie di capi.
Ancora, riflettendo sull’associazione mentale tra i due motivi, secondo la Divisione, ben il consumatore avrebbe potuto associare il marchio di Fu a Louis Vuitton, determinando un danno reputazionale del secondo.
Nonostante i due marchi non apparissero identici, agli occhi della Divisione, erano comunque idonei a causare quel senso di confusione nel consumatore, anche considerando che i motivi sarebbero stati utilizzati su prodotti piuttosto simili quali borse o abbigliamento.
Infine, con riferimento al rischio di vantaggio ingiusto, l’altra faccia della stessa medaglia dell’associazione mentale, non vi sono dubbi che il marchio contestato avrebbe permesso a Fu di ottenere un profitto commerciale ingiustificato associando i propri beni al mondo del lusso.
Che dire? Benché scontata questa è una decisione positiva per il brand del gruppo LVMH che sicuramente punta molto sull’andamento delle vendite della maison francese, anche alla luce della pubblicazione dei dati del terzo trimestre che hanno fatto emergere un calo delle vendite del 2% del gruppo a causa della depressione del mercato cinese. La debolezza ha riguardato soprattutto Dior con un calo del 5% delle vendite. Louis Vuitton dunque? Ancora il cavallo vincente di LVMH!
[1] Cass. civ., sez. I, Sentenza, 10/06/2014, n. 13025
[2] Cass. civ., sez. I, Sentenza, 13/9/2021, n. 44635; Cass. civ., Sez. I, Sentenza, 21/6/2016, n. 12812; Cass. civ., Sez. I, Sentenza, 08/9/2015, n. 17791; Cass. civ., Sez. I, Sentenza, 16/1/2013, n. 1000; Cass. civ., Sez. I, 18/12/2003, n. 19430
[3] Opposition No. B 3 198 676 (EUIPO)