venerdì, Marzo 29, 2024
Criminal & Compliance

Il minore, il diritto penale e la rieducazione

Art. 27, 3° e 4° comma della Costituzione Italiana

«Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»

«Non è ammessa la pena di morte»

 

La Storia del Diritto Penale del Minore [1]: breve introduzione – Illinois Juvenile Court Act (1899)

Il diritto penale del minore è il risultato di una lunga evoluzione legislativa: come sempre avviene nella storia del diritto la ricostruzione giurisprudenziale è figlia d’un lungo processo di maturazione sociale e di coscienza civile che ha riconosciuto, con l’evoluzione ordinamentale, una specificità di trattamento alla condizione minorile in un’ottica di creazione di un sistema differenziato che mira, in primis, alla rieducazione del minore che commette un reato.

È solo alla fine dell’800 che il mondo Anglosassone istituisce i primi organi giudiziari che si occupano dei reati compiuti dai minorenni: la figura del bambino dunque conosce un trattamento differenziato rispetto a quello dell’adulto, soprattutto in ragione dei continui moti culturali figli dell’epoca (da Marx, agli studi di Freud, fino al movimento dei Children’s Sauvers).

Nel 1899 nacque a Chicago la prima Juvenile Court del mondo: in poche parole un organo giudiziario specializzato; un tribunale per i minorenni che mirò, sostanzialmente, alla rieducazione del soggetto mediante una differenziazione di trattamento per i ragazzi al di sotto dei 16 anni.   L’Illinois Juvenile Court Act specificò la funzionalità essenziale della nuova corte: concentrarsi sulla riabilitazione ed il trattamento dei minorenni, piuttosto che sulla punizione degli stessi.  Nacque, così, il primo moderno sistema di diritto penale minorile:  un sistema basato più sull’assistenza del colpevole che sulla punizione del reato compiuto.
Il procedimento era caratterizzato da informalità e velocità: il giudice dotato di notevole discrezionalità aveva come obiettivo principale quello di agire nell’interesse del minore. Si considerarono non necessarie molte delle procedure essenziali del processo a carico dell’adulto (p.es. il diritto ad un avvocato) proprio per consentire la minor influenza possibile sulla psiche e sulla possibilità di rieducazione del minore [2]. L’Illinois Juvenile Court Act, in conclusione, attribuì alla Corte un tipo di giurisdizione “over neglected, dependent, and delinquent children under age 16”; separò le carceri degli adulti da quelle dei minorenni e, inoltre, bandì la il carcere per i ragazzi al di sotto dei 12 anni.

 L’evoluzione in Italia

Il Codice Zanardelli disciplinò — in maniera  embrionalmente capillare in particolar modo agli artt. 53 s.s.— la situazione del minorenne che compie un reato.

All’art. 53 il Codice Zanardelli disciplinò la situazione del minore di 9 anni affermando come non si potesse procedere nei confronti di chi non avesse compiuto l’età indicata nel momento del compimento del fatto. Il secondo comma previde, inoltre, la possibilità di ricorrere ad istituti di correzione e/o di educazione nell’ipotesi in cui il fatto fosse previsto dalla legge come un delitto punito con l’ergastolo, con la reclusione oppure con la detenzione maggiore ad un anno.

L’art. 54 disciplinò la situazione del minore d’età compresa tra i nove ed i quattordici anni affermando la non soggezione alla pena del ragazzo che non-agisce con discernimento; nell’ ipotesi inversa, tuttavia, la pena venne diminuita a quindici anni in caso di ergastolo oppure ad una semplice pena pecuniaria in caso di pena restrittiva della libertà personale.

L’art. 55 dispose come il soggetto d’età compresa tra i quattordici ed i diciotto anni giovasse d’una reclusione massima di diciotto anni in caso di compimento d’un reato per cui fosse prevista la pena dell’ergastolo, prevedendo altresì, nei commi successivi,  delle pene applicabili notevolmente diminuite rispetto a quelle normalmente comminate per il reato compiuto dall’adulto.

Momento fondamentale, dunque, nella determinazione della pena secondo il Codice Zanardelli risultò l’accertamento del discernimento o meno del minore nel momento della commissione del reato, da cui discendeva altresì l’imputabilità o meno dello stesso.

Grande attenzione fu posta, come sottolineato, nei confronti delle case di correzione e degli istituti di educazione: obiettivo principale era sostanzialmente quello di separare istituzionalmente i condannati dai corrigendi prevedendo delle strutture assimilabili a dei moderni riformatori.

Il R.D.L. n 1404 del 1934 istituì il tribunale per i minorenni: in tal modo il sistema giudiziario cambiò notevolmente sotto le spinte degli impulsi internazionali nonché dei movimenti umanitari in un’ottica di sempre maggior specializzazione del giudice minorile, di rieducazione del minorenne e di reinserimento  dello stesso nella vita sociale. Vennero istituzionalizzati, altresì, i centri di rieducazione, annoverandosi sotto tale definizione sia le case di rieducazione vere e proprie, che i riformatori, che le prigioni scuola.

L’intervento della costituzione amplifico notevolmente la tutela del minore mirando ad una sempre maggior funzione rieducativa e risocializzante della pena: in tal modo si personalizzò la misura e il trattamento al fine di garantire una correzione adeguata al singolo caso e alla singola personalità, mirando ad una evoluzione positiva della personalità del soggetto con l’obiettivo di educarlo al rispetto del patto sociale e così garantendogli il reinserimento nella società .

Il D.P.R. 448 del 1988 disciplinò le norme del processo penale a carico di imputati minorenni: in tal senso si costruì il processo penale minorile intorno a principi di autonomia, specialità, minima offensività e rieducazione nell’interesse del minore [3]. Il DPR in questione previde per gli Organi Giudiziari, ad esempio, la possibilità di avvalersi, in ogni stato e grado del procedimento, dei servizi minorili di assistenza istituiti presso gli enti locali: essi, attivandosi al momento dell’arresto del minorenne,  assunsero dunque un ruolo fondamentale nei gradi successivi,  mirando a formulare un progetto educativo nell’interesse del minore. Istituto fondamentale previsto dal decreto presidenziale è quello della messa alla prova per cui il giudice sospende il procedimento al fine di valutarne la personalità e l’evoluzione caratteriale: in tal caso il minore viene affidato ai servizi sociali i quali seguono passo dopo passo l’evoluzione del soggetto nel rispetto delle prescrizioni impartite dal giudice. Decorso il periodo di sospensione il giudice dichiara l’estinzione del reato in caso di esito positivo della prova.

L’ordinamento penitenziario approvato con la legge 354 del 1975 modificò profondamente il regolamento carcerario del 1931 presentandosi però particolarmente ancorato alla disciplina dettata per i soggetti adulti, mal adattandosi dunque al processo minorile. In particolare manifesto della palese inadeguatezza della disciplina può considerarsi l’art. 79, norma palesemente transitoria e frutto dell’inerzia legislativa in materia, per cui: “Le norme della  presente  legge  si  applicano  anche  nei  confronti  dei  minori  degli  anni diciotto sottoposti  a  misure  penali,  fino  a  quando  non  sarà  provveduto  con apposita  legge”. In tal caso è difficile considerare una disciplina del genere quale adeguata in ragione della necessaria diversità di trattamento tra situazione minorile ed adulta.

Istituti e Benefici applicabili ai minori
La Messa alla Prova viene disciplinato dal DPR 448/98:  l’istituto in questione prevede, in ogni stato e grado del procedimento, la possibilità per l’autorità giudiziaria di avvalersi dei servizi minorili di assistenza istituiti presso gli enti locali, i quali assumono ruolo fondamentale nei gradi successivi del procedimento con l’obiettivo  di formulare un progetto educativo del minore stesso. Il giudice sospende il procedimento al fine di valutarne la personalità e l’evoluzione caratteriale: in tal caso il minore viene affidato ai servizi sociali che seguiranno lo stesso passo dopo passo rispettando le prescrizioni impartite dal giudice; decorso il periodo di sospensione il giudice dichiara l’estinzione del reato in caso di esito positivo della prova.

L’art 169 c.p. prevede il Perdono Giudiziale per cui: “Se, per il reato commesso dal minore degli anni diciotto, la legge stabilisce una pena restrittiva della libertà personale non superiore nel massimo a due anni, ovvero una pena pecuniaria non superiore nel massimo a cinque euro, anche se congiunta a detta pena, il giudice può astenersi dal pronunciare il rinvio a giudizio, quando, avuto riguardo alle circostanze indicate nell’articolo 133, presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati.
Qualora si proceda al giudizio, il giudice può, nella sentenza, per gli stessi motivi, astenersi dal pronunciare condanna.
Le disposizioni precedenti non si applicano nei casi preveduti dal numero 1 del primo capoverso dell’articolo 164.
Il perdono giudiziale non può essere conceduto più di una volta”.

Con il Perdono Giudiziale il giudice minorile decide riguardo l’estinzione o meno del reato compiuto dal minorenne a seguito del ricorrere di determinati requisiti riportati nella disposizione: l’istituto ha una funzione emendativa in ragione dell’età del soggetto mirando al suo recupero sociale in un’ottica special-preventiva esprimendo un favor del minorenne.

Di notevole rilevanze è il dispositivo previsto dall’art. 98 c.p. per cui: “È imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità d’intendere e di volere; ma la pena è diminuita.
Quando la pena detentiva inflitta è inferiore a cinque anni, o si tratta di pena pecuniaria, alla condanna non conseguono pene accessorie. Se si tratta di pena più grave, la condanna importa soltanto l’interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore a cinque anni, e, nei casi stabiliti dalla legge, la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale.                     La norma in questione disciplina una presunzione relativa di imputabilità superata da una fattuale dimostrazione della sufficiente capacità di intendere e di volere del minore, dunque dimostrando caso per caso ed in concreto la capacità di comprendere il disvalore sociale del proprio agire.

Diverso è l’art. 97 c.p. per cui: “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni”. In tal caso si parla di presunzione assoluta di non imputabilità del minore di anni 14 rapportando la capacità di intendere e di volere ad uno sviluppo fisico psichico che teoricamente si raggiunge un’età successiva: in tal caso non è possibile fornire la prova della sufficiente maturità psichica del minore potendosi applicare tuttavia le necessarie ed eventuali misure di sicurezza nei suoi confronti.

L’art. 176 c.p. disciplina il beneficio della Liberazione condizionale per cui: “Il condannato a pena detentiva che, durante il tempo di esecuzione della pena, abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento, può essere ammesso alla liberazione condizionale, se ha scontato almeno trenta mesi e comunque almeno metà della pena inflittagli, qualora il rimanente della pena non superi i cinque anni.
Se si tratta di recidivo, nei casi preveduti dai capoversi dell’articolo 99, il condannato, per essere ammesso alla liberazione condizionale, deve avere scontato almeno quattro anni di pena e non meno di tre quarti della pena inflittagli.
Il condannato all’ergastolo può essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno ventisei anni di pena.
La concessione della liberazione condizionale è subordinata all’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato [c.p. 185], salvo che il condannato dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempierle”.

L’istituto della riabilitazione speciale (la riabilitazione ex art. 178 c.p. trova applicazione solo agli imputato maggiorenni) viene disciplinato dall’art. 24 R.D.L. 1404/1934 così come modificato dall’art. 4 del R.D.L. 1802 del 1938: essa può essere richiesta dalla parte o concessa d’ufficio ed ha l’obiettivo di estinguere le pene accessorie e gli altri effetti penali della condanna al ricorrere di determinate condizioni. Requisiti necessari per la concessione sono: che i fatti commessi siano stati compiuti dall’imputato quando ancora era minorenne; concedibile fino a 25 anni; non subordinazione all’adempimento delle obbligazioni utili nascenti dal reato. [5]

Considerazioni Finali

L’analisi proposta si pone essenzialmente un interrogativo: il carcere minorile, nonché le pene inflitte al minore, riescono a risolvere le problematiche del minore?
La risposta è essenzialmente negativa, almeno nella maggior parte dei casi: molto spesso la struttura carceraria aggrava addirittura le problematiche che hanno portato all’esecuzione del reato, in un’ottica di maggior emarginazione e di differenziazione nei confronti della società. La pena detentiva in quanto tale facilità non tanto il reinserimento del soggetto, quanto piuttosto favorisce la segregazione ed il contatto con la delinquenza, accentuando il rapporto conflittuale tra ragazzo e mondo esterno: il minore viene etichettato come deviato e delinquente, trovando, senza adeguato reinserimento istituzionale, degli ostacoli insormontabili al di là delle mura carcerarie [6]

Si ricordi come uno dei principi fondamentali del Codice di Procedura Minorile sia la residualità della detenzione: tale misura è da utilizzare solo nel caso in cui le misure alternative siano fallite, costituendo la summa maxima   del procedimento di emarginazione del soggetto. È da auspicarsi una valorizzazione d’un superamento della risposta carceraria, formulando altresì degli interventi modellati sulle caratteristiche del singolo auspicando, a supporto della giurisprudenza, altresì una rivisitazione del sistema scolastico obbligatorio e della possibilità reale di occupazione e professionalizzazione del minore al di fuori del sistema punitivo.

 

«Gli eventi traumatici nei primi anni di infanzia non vengono persi, ma piuttosto conservati per tutta la vita, come le impronte di un bambino nel cemento fresco. Il tempo non cura le ferite che avvengono in quei primi anni: le nasconde solamente. Le ferite non vengono perse, diventano parte del corpo»

«Non è ammessa la pena di morte»

 

 

 

 

[1] Sul punto si veda: Chiara Rugi, La nascita e l’evoluzione della giustizia minorile in ADIR, 2000.

[2] Sul punto si legga il Juvenile Crime, Juvenile Justice – Autori Vari (2001)

[3] LinaCaraceni, Processo penale minorile, Giuffrè, Milano,2007

[4] Sul punto Il carattere rieducativo della pena: il procedimento penale minorile in Tra i Leoni Giornale dell’Università Bocconi

[5] Cfr. Ordinamento penitenziario minorile: disposizioni particolari, su La Legge è Uguale per Tutti. it

[6] Sul punto Il Carcere minorile risolve le problematiche e le difficoltà del minore? di Giorgio Battistacci

Fonte immagine: pixabay. com

Antonio Esposito

Dottore in Giurisprudenza, laureato presso la Federico II di Napoli: si occupa prevalentemente di Diritto Penale e Confessionale. Sviluppa la propria tesi di laurea intorno all'affascinante rapporto tra fattore religioso e legislazione penale (Italiana ed Internazionale), focalizzandosi su argomenti di notevole attualità quali il multiculturalismo, il reato culturalmente motivato e le "cultural defense".

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