martedì, Aprile 16, 2024
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Il modello economico dettato dalla chimera dello ”Stato stazionario”

I modelli economici presentano tra le loro righe, quasi come conclusione che ne avalli la portata autoreferenziale, il concetto di stato stazionario: una sorta di situazione ineluttabile e necessaria verso cui converge un modello nel tempo. Quanto di scientifico e quanto di mistico si cela dietro questa nozione?

Si cercherà di rispondere a questa domanda ripercorrendo la descrizione del concetto di stato stazionario di: David Ricardo (Londra, 18 aprile 1772 – Gatcombe Park, 11 settembre 1823) e Adam Smith (Kirkcaldy, 5 giugno 1723 – Edimburgo, 17 luglio 1790). Entrambi gli autori si occupano di analizzare dettagliatamente (almeno nella loro prospettiva) questa inevitabile situazione nell’ipotesi che la crescita non sia minacciata dal rischio di un ingorgo generale dei mercati[1].

“La crescita e la caduta dei profitti dipendono dalle stesse cause della crescita e della caduta dei salari del lavoro e cioè dall’aumento e dalla diminuzione della ricchezza della società; ma gli effetti che queste cause determinano sono molto diversi per i profitti e per i salari. […] Quando i fondi di molti ricchi mercanti si indirizzano al medesimo ramo di attività, la reciproca concorrenza tende naturalmente ad abbassarne il profitto e quando vi è un analogo aumento di fondi in tutte le diverse attività mercantili esercitate nella stessa società, quella stessa concorrenza deve produrre lo stesso effetto in tutte’’[2]

In queste righe di Adam Smith si scorge un aspetto positivo, quasi rassicurante per l’economista scozzese, dallo stato stazionario cui condurrebbe il modello economico descritto. Una sorta di espansione infinita della produzione emerge da questa testimonianza, che non sembra, però, tener conto della condizioni di vita (non solo socio-economiche) di cittadini e lavoratori. In tale scenario non ci sarebbe spazio per alcuna forma di azione centrale dei governanti, così da far fronte alle esigenze di coloro che si ritroverebbero schiacciati da una tale evoluzione del sistema[3]

Ma è lo stesso Smith, nel procedere della sua argomentazione, a lasciar trasparire un certo pessimismo verso questo convergere ad uno stato stazionario. “In un Paese che avesse raggiunto in pieno quella completezza di ricchezze che la natura del suolo e del clima e la sua posizione rispetto agli altri paesi, gli permettono, e che quindi, pur senza regredire, non potesse progredire oltre, sia i salari che i profitti sarebbero probabilmente molto bassi. In un Paese pienamente popolato in rapporto alla popolazione che il suo territorio può mantenere e che può essere impiegata dai suoi fondi, la concorrenza per l’occupazione sarebbe necessariamente così grande da ridurre i salari del lavoro al minimo indispensabile al mantenimento dei lavoratori, il cui numero, essendo il paese già pienamente popolato, non potrebbe mai crescere. [..] La concorrenza sarebbe quindi massima e, conseguentemente, il profitto ordinario il minimo possibile”[vedi nota 2].

Queste parole lasciano intendere come maturi in Smith, nel corso della trattazione, la consapevolezza della difficoltà di raggiungimento di un utopico stato stazionario. L’ottimismo iniziale lascia il posto al realismo della condizione dei lavoratori, sempre più schiavizzati verso la semplice sussistenza. La disillusione dello stato stazionario svanisce definitivamente quando lo stesso Smith afferma “Ma forse nessun paese è ancora giunto a questo grado di prosperità […]” .

L’inglese Ricardo dipinge nella sua trattazione lo stato stazionario come una sorta di terribile presagio per l’umanità, o almeno per l’aspetto socio-economico che intende per umanità. Questo processo avviene con l’accumulazione del capitale che contribuisce, in qualità di vero e proprio motore della crescita, ad una aumento demografico improvviso, frutto dell’incremento del salariato. Diretta conseguenza è la necessità di aumentare il quantitativo di terre da coltivare, utilizzando anche quelle più lontane rispetto alla posizione delle città oppure di quelle che richiedono maggior lavoro, in termini di uomini e mezzi. Ciò determina un aumento dei prezzi delle sussistenze[4] e, quindi, una diminuzione dei profitti. Lo schema si chiude con due inevitabili conseguenze: il rallentamento del ritmo di accumulazione e l’aumento delle rendite.

Se l’aumento delle rendite può soddisfare la prospettiva di Ricardo, il rallentamento del ritmo di accumulazione determina un’interruzione della crescita economica e della crescita demografica. In quest’ottica lo stato stazionario descritto da Ricardo è un punto temporale di “crescita-zero”[vedi nota 1], raggiunto il quale i parametri socio-economici si riproducono tutti nello stesso modo di periodo in periodo.

Ma su quale base Ricardo afferma ciò? Da un lato non fa che rileggere il suo modello intuitivo alla luce della legge di Malthus. Dall’altro cerca di avallare l’idea per cui l’economia se non inficiata dall’esterno, mediante l’azione dei governanti, possa raggiungere autonomamente una situazione di equilibrio[vedi nota 4]. Eppure i benefici risulterebbero solo per i pochi che vedrebbero crescere le loro rendite. Così come nel caso di Smith, non vi è alcuna preoccupazione di ciò che potrebbe determinare il raggiungimento di uno stato stazionario in termini di condizioni di vita dei cittadini, in particolar modo di quelli meno abbienti, e della situazione media dei salari dei lavoratori.

Dall’analisi degli scritti di Ricardo e Smith, sembra emergere il tentativo di giustificare i modelli economici proposti, parlando di un mistico stato stazionario che non risulta giustificato né da un punto di vista qualitativo, né da uno quantitativo. Nel primo caso è la mancanza di valutazioni circa la condizione dei cittadini e dei lavoratori a determinarne il carattere lacunoso. Quantitativamente, ovvero da un punto di vista scientifico, è proprio l’assenza di un sostrato matematico ai modelli proposti a rendere il concetto di stato stazionario qualcosa di più vicino alla speculazione sofista che al discorso scientifico. In ultima istanza, si presta come un tentativo di giustificare la richiesta di non ingerenza dei governanti nel sistema capitalistico, a spada tratta difeso e giustificato sia da Smith che da Ricardo.

[1] J. Boncouer & H. Thouément, Le idee dell’economia, Edizioni Dedalo.

[2] A. Smith, The wealth of nations: An inquiry into the nature and causes, Global Vision Publishing House, 2017.

[3] T. Piketty, Disuguaglianze, EGEA, spa.

[4] D. Ricardo, Sui principi dell’economia politica e della tassazione, a cura di F. Vianello, Milano, 1976.

Fonte immagine: https://scambiinternazionali.it/scambi-internazionali-cosa-sono/

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