venerdì, Aprile 19, 2024
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Il Nagorno-Karabakh: lo Stato fantasma alle porte d’Europa

Il Nagorno-Karabakh, noto anche come Repubblica di Artsakh, è uno Stato di fatto, a riconoscimento internazionale limitato, autoproclamatosi indipendente dall’Azerbaijan. Questo piccolo Stato si estende su di un modesto territorio montuoso, privo di sbocco sul mare compreso tra lo stesso Azerbaigian e l’Armenia.

Orbene, per comprendere al meglio la questione che in tale sede si vuole analizzare, ossia quella relativa alla legittimità delle pretese indipendentiste della Repubblica di Artsakh dal punto di vista del diritto internazionale, pare necessario, soprattutto in virtù del modesto rilievo mediatico suscitato dalla questione, procedere ad una seppur breve ricostruzione storica e geopolitica delle vicende che hanno interessato e continuano tutt’ora ad interessare l’area in oggetto.

La regione entra a far parte dell’impero russo alla fine del XIX secolo, successivamente alla Rivoluzione d’Ottobre viene conteso tra le Repubblica d’Armenia e di Azerbaijan, viene poi conquistato dai bolscevichi nel 1923 ed annesso all’Azerbaijan per volere di Stalin, nonostante l’etnia armena costituisse quasi il 98% degli abitanti della regione. Da quel momento seguirà le vicende della neonata Unione Sovietica sino al 1988, laddove, il Parlamento locale chiederà formalmente l’annessione all’Armenia, scatenando le tensioni con il governo azero che tutt’oggi permangono. Difatti, il crollo del blocco sovietico fornì l’occasione al governo karabakho per rivendicare le vecchie pretese nazionaliste e per cercare di arrestare la forzosa “azerizzazione” della regione operata da Baku.
Nel 1991 infatti, a seguito della fuoriuscita dell’Azerbaijan dall’URSS, utilizzando la legislazione sovietica dell’epoca, il soviet locale dichiarò la nascita della nuova Repubblica, cui seguì un referendum ed elezioni seguite tuttavia dalla reazione militare azera, che nel gennaio dell’anno successivo accese le ostilità, con conseguenze drammatiche per la popolazione locale.
Il bilancio del conflitto fu pesantissimo, tra i 20 e i 30 mila morti e circa un milione di profughi dalle tre aree: la popolazione azera, circa il 25% prima del conflitto, scappò dal Karabakh e dall’Armenia, mentre gli abitanti di etnia armena fuggirono dall’Azerbaigian. Il cessate il fuoco arrivò solo il 12 maggio 1994. L’accordo, raggiunto con la mediazione della Russia, riconobbe la vittoria militare degli armeni a cui rimase il controllo del Karabakh e di altre regioni dell’Azerbaigian. Il trattato di pace però non fu mai siglato.

Al fine di favorire la risoluzione pacifica delle controversie interessanti la regione, la Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa (CSCE), istituì nel 1992 il “Gruppo di Minsk”, una struttura di lavoro a cui spetta il delicato compito di mediare tra le parti in causa affinché si possa realizzare un accordo di pace duraturo. Nonostante a tutt’oggi il Gruppo non sia riuscito nel suo intento, la Comunità Internazionale è pressoché unanime nel ritenere che questa possa essere l’unica struttura idonea al raggiungimento dello scopo prefisso. Di avviso diverso, invece, sono le parti in causa, storicamente critiche nei confronti del Gruppo; a tal fine, infatti, l’Azerbaijan lamenta la sussistenza di un troppo marcato favoreggiamento armeno, mentre l’Armenia dal canto suo critica l’assenza di un rappresentante della Repubblica del Nagorno-Karabakh. A conferma delle perplessità sull’idoneità del gruppo di composizione della crisi a gestire la vicenda, nel 2016 il conflitto si è fortemente inasprito dando vita a quella che viene definita come la “Seconda guerra del Nagorno-Karabakh”, terminata con centinaia di morti in entrambi gli schieramenti.

Delineata così la questione da un punto di vista storico, l’inquadramento delle pretese indipendentiste dello Stato de facto in oggetto deve essere esaminato alla luce di una pluralità di fattori; pare evidente infatti, come sia da un punto di vista socio-culturale, che geopolitico, la regione possa considerarsi armena a tutti gli effetti. Sotto tale profilo dovrebbe emergere la valutazione del principio di autodeterminazione dei popoli, inserito nel nocciolo duro del diritto internazionale ed idoneo senz’altro a giustificare la ricerca dell’autonomia da parte del governo karabakho.

Difatti, a riprova di ciò, bisogna considerare che, durante gli anni in cui il territorio è stato amministrato dal soviet azero, è stata perpetrata una vera e propria operazione di pulizia etnica, volta all’allontanamento della stragrande maggioranza armena, in favore di un progressivo ripopolamento della regione da parte della popolazione di lingua armena, in modo tale da eliminare ab origine qualsivoglia futura rivendicazione di annessione all’Armenia. Difatti, furono chiuse tutte le chiese armene ed i sacerdoti incarcerati o costretti allo stato laicale. L’esito di tutto ciò fu che gli armeni, dal 94% che erano nel 1920, all’inizio degli anni ’80 si erano ridotti al 75%.

Pur volendo sorvolare su queste seppur rilevanti tematiche, bisogna sottolineare che l’Azerbaijan ha praticamente perso il controllo del territorio sin dall’ormai lontano 1988, pertanto, venuto meno anche il requisito del controllo territoriale vi sarebbero ulteriori ragioni tese a rendere ancora più labile il collegamento tra il territorio conteso e la sovranità dello Stato azero. Come già detto in precedenza, volendo accantonare per un istante le necessarie cautele negoziali di origine politica, dal punto di vista del diritto internazionale la questione pare molto più semplice: difatti in ragione della natura cogente del principio di autodeterminazione dei popoli, sembra evidente come ad un territorio in tutto e per tutto armeno, sia da un punto di vista storia-geografico che socio-culturale, debba essere lasciata la libertà corroborata al principio testè richiamato.

Il nodo centrale della questione verte proprio su tale tematica. Difatti, proprio per sfuggire alle pretese scaturenti dall’invocazione del principio di autodeterminazione dei popoli, l’Azerbaijan ha, da sempre, definito la questione in termini di controversia bilaterale con l’Armenia, in modo tale da puntare l’indice alle pretese espansionistiche di Yerevan e negando quindi qualsivoglia diritto di rappresentanza al Nagorno-Karabakh. L’Armenia invece, più coerentemente, rigetta tale impostazione ed afferma che è necessario addivenire a trattative dirette fra Azerbaijan e Karabakh; inoltre per il governo armeno è accettabile qualsiasi soluzione che lo sia anche per il Karabakh.

Alla luce di quanto detto, e pur sottolineando che la questione dell’indipendenza del Karabakh si inserisce all’interno di un già complesso sistema di equilibri nel territorio, i quali vedono coinvolti anche stati terzi rispetto a quelli direttamente in trincea, pare evidente come il Gruppo di Minsk non sia in grado ad adempiere allo scopo per il quale a suo tempo fu preposto, ossia addivenire alla stipula di un trattato di pace nelle regione. Per tale motivo, evitando di sperare in un fantasioso intervento del Consiglio di Sicurezza, la responsabilità internazionale ricadrebbe anche in questo caso sulla Comunità Internazionale nel suo insieme, obbligata ad attivarsi al fine di salvaguardare la legalità internazionale violata, consentendo al Nagorno-Karabakh il sacrosanto diritto di autodeterminarsi.

[1] La situazione nel Nagorno-Karabakh, disponibile qui: http://www.homolaicus.com/storia/contemporanea/armenia/nagorno-karabakh.htm
[2] Salvatore Viglione, Jus cogens: il nocciolo duro del diritto internazionale, marzo 2018, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/jus-cogens-il-nocciolo-duro-del-diritto-internazionale-8787
[3] Salvatore Viglione, Uso della forza: rivalutazione del ruolo dell’unilateralismo alla luce delle disposizioni del Progetto di Codificazione della Responsabilità degli Stati nel 2001, marzo 2017, disponibile qui https://www.iusinitinere.it/uso-della-forza-rivalutazione-del-ruolo-dellunilateralismo-alla-luce-delle-disposizioni-del-progetto-codificazione-della-responsabilita-degli-stati-nel-2001-1654

Dott. Salvatore Viglione

Nato a napoli nel 1991, vive a Melito di Napoli. Ha conseguito la laurea in giurisprudenza presso la Federico II di Napoli nel luglio 2016 con tesi in diritto internazionale. Attualmente oltre a frequentare la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali, svolge il tirocinio forense presso lo Studio Legale Mancini, specializzato in diritto penale. Ha collaborato con diverse testate editoriali, principalmente con articoli di cronaca locale e politica. Ama il calcio, anche dilettantistico e la scrittura.

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