giovedì, Aprile 18, 2024
Criminal & Compliance

Il negazionismo e il suo inquadramento giuridico

Il sondaggio effettuato mediante lo strumento dell’Eurobarometro e pubblicato dalla Commissione Europea in occasione della giornata della memoria del 27 gennaio, ha inquadrato la tematica dell’antisemitismo nel contesto europeo e della percezione che la popolazione stessa ha del fenomeno e del suo passato.

L’indagine, condotta su un campione di oltre 27 mila europei in 28 Stati membri, ha registrato percentuali differenti nelle varie zone del continente, tanto da poter parlare di una diversa percezione che della questione hanno i cittadini europei. In particolare, mentre in Italia la preoccupazione relativa all’antisemitismo risulta essere pari al 50% (ed il 31% degli italiani ritiene che lo stesso sia in aumento), in altri paesi le percentuali salgono ad un livello superiore: si pensi alla Svezia (73%), Germania (61%), Paesi Bassi (55%), Francia (51%) e Danimarca (50%), dove si registra un forte allarmismo rispetto alla crescita del fenomeno.Il negazionismo e il suo inquadramento giuridico

La ragione sottesa ad una simile tendenza risiede nella avvertita e triste consapevolezza circa l’aumento delle manifestazioni antisemitiche dilaganti nella società, riguardanti soprattutto la negazione dell’ Olocausto e la diffusione dell’ antisemitismo online e sui social network. Interessante, inoltre, è notare la percentuale degli europei (del 58 %) che dichiara di non sapere che il negazionismo rappresenta un crimine nei propri paesi. In realtà la questione, come è intuitivo comprendere, non è di facile inquadramento giuridico e si scaglia contro dottrine di pensiero e tutele costituzionali.

E’ opportuno, per poter comprendere a pieno il fenomeno, soffermarsi sul concetto di negazionismo e sull’evoluzione storica e giuridica che lo stesso ha subito.

Il negazionismo nasce come corrente storiografica, sviluppatasi alla fine degli anni ’70 negli Stati Uniti, con la fondazione dell’ Institute for Historical Review, un centro di elaborazione delle strategie negazioniste. Inizialmente tale fenomeno veniva considerato il frutto dell’intento di alcuni studiosi di revisionare fatti storici con l’evolversi del tempo, attraverso l’acquisizione di nuove conoscenze. In realtà, esiste una profonda differenza tra revisione e negazione: mentre la prima consiste nella lecita reinterpretazione degli avvenimenti passati alla luce di nuove dinamiche dei fatti; il negazionismo, dall’altra parte, mira a negare in radice la veridicità storica di alcune vicende, attraverso ricostruzioni ritenute incontestabili.

Il pensiero negazionista inizia a maturarsi nei confronti della Shoah, fino poi ad estendersi ad altri crimini contro l’umanità, ossia ai delicta iuris gentium. La diffusione di tali correnti ha indotto la maggior parte degli Stati europei a prendere posizione in merito, la quale, però, non è stata univoca, e nonostante l’intento comune di attribuire un notevole disvalore penale alle condotte negazioniste, ciascuno di essi ha agito diversamente, sia in punto di collocazione della fattispecie ed individuazione della sua natura giuridica, sia rispetto alla relativa risposta sanzionatoria.

Difatti, mentre in Germania ed in Spagna la fattispecie è inserita nel codice penale, in Francia ed in Belgio essa è prevista in leggi speciali. Ancora, diversa è la condotta punita, che in alcuni casi coincide con la semplice contestazione, in altri con la giustificazione o minimizzazione di fatti storici determinati. Le differenze si riscontrano anche in relazione all’oggetto della condotta punibile, laddove ad esempio, in Germania e Belgio, è limitato alla sola Shoah, in altri ordinamenti, come quello spagnolo, portoghese e svizzero, l’oggetto si estende fino a comprendere i crimini contro l’umanità. Infine, diverso è anche il bene giuridico tutelato, consistente, ad esempio, nella pace pubblica in Germania e nella dignità umana, invece, in Francia.

Sulla scorta di ciò, non è a dirsi un caso che il negazionismo sia stato considerato un “reato a geografia variabile”.

Contemporaneamente all’introduzione del reato de quo negli ordinamenti interni, anche la giurisprudenza comunitaria ha preso posizione in merito. La prima pronuncia si è avuta nel 2013, relativa al caso Perinçek [1], con la quale la Corte EDU ha rilevato una violazione dell’art. 10 (libertà di pensiero), sostenendo che la norma incriminatrice svizzera che punisce chi pubblicamente nega, minimizza o giustifica un genocidio o altri crimini contro l’umanità interferisse con i diritti del singolo ed il Governo convenuto non avesse provato la sussistenza di un “besoin social impérieux” da tutelare. Il caso in questione riguardava, appunto, la condotta di “negazione” del genocidio commesso dall’Impero ottomano ai danni del popolo armeno a partire dal 1915.  La Corte Europea è tornata a pronunciarsi sulla stessa questione nel caso M’ Bala M’ Bala[2], nel 2015, dichiarando l’irricevibilità del ricorso per la pretesa violazione degli artt. 7 e 10 CEDU presentato contro la sentenza del Tribunal de Grande Istance di Parigi che condannava l’attore comico ad una pena pecuniaria per aver commesso ingiuria pubblica aggravata dalla componente razzista avverso figure di origine ebraica.

La necessità di una regolamentazione del fenomeno ha portato all’adozione della Decisione Quadro 2008/ 913/ GAI da parte del Consiglio Europeo[3],  con la quale ha sollecitato gli Stati membri a punire le condotte in esame, ed in particolare “l’apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana sia dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, quali definiti sia agli artt. 6, 7 e 8 dello Statuto della Corte Penale Internazionale; sia dei crimini definiti dall’ art. 6 dello Statuto del Tribunale Militare Internazionale, allegato all’ Accordo di Londra dell’ 8 agosto 1945 ”.  Si osservi, però, che la decisione prevede la punizione del negazionismo solo al verificarsi di condotte istigatorie. Inoltre, agli Stati è lasciato libero spazio rispetto al “quomodo”, potendo gli stessi scegliere di individuare ed eventualmente limitare l’alveo delle condotte incriminate. Difatti, l’art. 1 comma 2 della Decisione Quadro prevede una “clausola di pericolo”, la quale stabilisce che gli Stati membri possono decidere di rendere punibili soltanto i comportamenti atti a turbare l’ordine pubblico o che sono minacciosi, offensivi o ingiuriosi.

La discrezionalità concessa dalla Decisione Quadro nel circoscrivere le condotte punibili è stata fatta propria dal legislatore italiano,  il quale, nell’attuarla, ha emanato la legge 115/ 2016, con la quale ha qualificato il negazionismo non come fatto autonomo di reato ma come circostanza aggravante (un unicum nel panorama europeo).  La legge ha inserito l’art. 3 bis all’interno della legge 654/ 1975, con il quale si incrimina il negazionismo come aggravante dei delitti di propaganda razzista, di istigazione o incitamento di atti di discriminazione commessi per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, puniti ai sensi dell’art. 3 della legge suindicata.

L’ultima modifica all’aggravante del negazionismo si è avuta nel 2017, con la quale il legislatore italiano ha inserito nel corpo della norma, tra le condotte incriminate, anche la locuzione “minimizzazione in modo grave o sull’apologia”. 

Già nel 2007, con il disegno di legge Mastella, si era tentato di riconoscere rilevanza penale al negazionismo nel nostro ordinamento. Il disegno di legge, decaduto con il sopravvenire della fine della legislatura, prevedeva la punibilità del fenomeno come fattispecie autonoma di reato. Nonostante fosse condivisibile la ratio alla base della disciplina, dall’altro lato emergevano istanze contrapposte che invocavano la tutela della libera manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.). Il disegno di legge, però, a differenza della successiva legge del 2016, prevedeva un ampio ambito di applicazione della norma, sanzionando la condotta di “negazione” delle verità storiche, senza però richiedere la sussistenza dei requisiti della pubblicità o propaganda, della istigazione o dell’incitamento. La descrizione della fattispecie in questi termini suscitò le critiche di chi respingeva l’idea di un diritto penale “simbolico”, in cui l’ affermazione di verità storiche fosse affidata alle aule giudiziarie. La disciplina del negazionismo ad opera della legge 115/ 2016 non ha temperato le posizioni critiche di una parte della dottrina che auspica ad una più precisa formulazione legislativa del fenomeno, al fine di poter essere più facilmente riconosciuta e quindi, applicata.

[1] Corte Europea dei diritti dell’uomo, Affaire Perinçek C. Suisse, 17 dicembre 2013. http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-139276

[2] Corte Europea dei diritti dell’uomo, Dieudonné M’bala M’bala contre la France, 20 ottobre 2015. http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-158752

[3] Decisione Quadro 2008/913/Gai Del Consiglio, 28 novembre 2008, sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale.

 

 

 

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