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Il nuovo istituto della sospensione dalla successione ex art. 463 bis c.c.

L’art. 5 della legge n. 4 del 2018 ha introdotto nel codice civile una nuova norma in tema di indegnità a succedere, rubricata “sospensione dalla successione”, la quale è stata collocata all’interno del capo III del Titolo I del Libro II del codice civile, dedicato proprio all’istituto dell’indegnità.

La nuova norma ha introdotto nel codice l’art. 463 bis c.c., il quale presenta il seguente tenore letterale:

 “Sono sospesi dalla successione il coniuge, anche legalmente separato, nonché la parte dell’unione civile indagati per l’omicidio volontario o tentato nei confronti dell’altro coniuge o dell’altra parte dell’unione civile, fino al decreto di archiviazione o alla sentenza definitiva di proscioglimento. In tal caso si fa luogo alla nomina di un curatore ai sensi dell’articolo 528. In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il responsabile è escluso dalla successione ai sensi dell’articolo 463 del presente codice.

Le disposizioni di cui al primo comma si applicano anche nei casi di persona indagata per l’omicidio volontario o tentato nei confronti di uno o entrambi i genitori, del fratello o della sorella.

Il pubblico ministero, compatibilmente con le esigenze di segretezza delle indagini, comunica senza ritardo alla cancelleria del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione l’avvenuta iscrizione nel registro delle notizie di reato, ai fini della sospensione di cui al presente articolo”.

Orbene, per poter comprendere a pieno la portata e gli effetti dell’istituto della sospensione dalla successione, così come recentemente introdotto, occorre preliminarmente svolgere alcune considerazioni, muovendo proprio dalla nozione di indegnità, disciplinata dal precedente art. 463 c.c.

Quest’ultima, secondo l’opinione della prevalente dottrina[1], costituisce una vera e propria sanzione civile (non anche penale, atteso che – a eccezione del caso previsto dall’art. 463 n. 3 c.c. – essa prescinde da una condanna penale) per il successibile che si sia reso autore di condotte riprovevoli.

Ciononostante, ne resta tuttora discussa la natura giuridica.

Secondo un primo orientamento[2], infatti, l’indegnità costituirebbe una ipotesi di incapacità a succedere, al pari della diseredazione di un soggetto non legittimario, con la conseguenza che nei confronti dell’indegno non si aprirebbe mai la successione legittima (con riferimento alla successione testamentaria il testatore potrebbe, invece, decidere di riabilitare, espressamente o tacitamente, l’indegno). La sentenza che accerta l’indegnità avrebbe, pertanto, natura meramente dichiarativa.

Secondo altro orientamento[3], ritenuto preferibile da autorevole dottrina[4], si tratterebbe, invece, di una ipotesi di rimozione dalla successione, che opererebbe soltanto a seguito della relativa pronuncia giudiziale: quest’ultima avrebbe, dunque, natura costitutiva.

Ciò trova conforto nella lettera dell’articolo 463 c.c., secondo cui l’indegno “è escluso dalla successione” ed inoltre nel principio, di matrice romanistica, secondo cui indignus potest capere sed non potest retinere.

Di conseguenza, fintanto che non sia intervenuta la pronuncia d’indegnità, non vi sarebbe ragione di negare all’indegno il diritto di accettare l’eredità o di acquistare il legato nonché l’esercizio dei poteri conservativi di cui all’articolo 460 c.c., in quanto la sua situazione sarebbe analoga a quella dell’erede istituito sotto condizione risolutiva.

Ciò premesso, si rileva come il legislatore del 2018 sembra aver aderito al primo orientamento, quello, cioè, che ravvisa nell’indegnità una ipotesi di incapacità a succedere tale da impedire, ex ante, il sorgere della delazione nei confronti del soggetto che ne sia colpito.

E, infatti, l’art. 463 bis c.c. chiarisce che, a seguito della sentenza di condanna o di patteggiamento ex art. 444 c.p.p., il responsabile “è escluso dalla successione ai sensi dell’art. 463 c.c.”: sembra, dunque, che non occorra un’apposita pronuncia giudiziale avente a oggetto l’accertamento della qualità di indegno, stante il fatto che la condanna per l’omicidio volontario o tentato, di cui alla nuova norma, comporterebbe di per sé l’automatica esclusione dalla successione dell’autore del reato.

Ma vi è di più.

Qualora si aderisse al secondo orientamento, quello, cioè, secondo cui l’indegnità rappresenti una causa di rimozione dalla successione, si giungerebbe al paradosso per cui, nei confronti di un soggetto indagato per omicidio volontario o tentato nei confronti del coniuge opererebbe la sospensione dalla sua successione, mentre, nei confronti dello stesso soggetto già condannato per il medesimo reato al momento della apertura della successione, opererebbe la delazione in suo favore fintanto che non intervenga la sentenza (costitutiva) di indegnità.

Ad ulteriore conferma dell’adesione alla teoria che ravvisa nell’indegnità una ipotesi di incapacità a succedere depone anche la formulazione del nuovo articolo 537 bis c.p.p., introdotto dalla medesima legge di riforma, secondo cui “Quando pronuncia sentenza di condanna per uno dei fatti previsti dall’articolo 463 del codice civile, il giudice dichiara l’indegnità dell’imputato a succedere”.

Alla luce, dunque, del mutato quadro normativo e in aderenza all’interpretazione qui prospettata, ne discende, altresì, che l’istituto della diseredazione – a lungo ammesso con riferimento all’indegno in ossequio all’orientamento più “permissivo” – non sarebbe più compatibile con la fattispecie dell’indegnità, perlomeno avuto riguardo alle ipotesi indicate nel nuovo art. 463 bis c.c.

Un’ultima considerazione appare, infine, degna di nota.

Avendo il legislatore della riforma previsto che, durante il periodo di sospensione dalla successione, si faccia luogo alla nomina del curatore ai sensi dell’art. 528 c.c., ne deriva che il nuovo art. 463 bis c.c. – in modo del tutto tranchant – sembra aver indirettamente riconosciuto la legittimità della giacenza dell’eredità pro quota, da sempre oggetto di ampi dibattiti in dottrina e in giurisprudenza.

La giurisprudenza del tutto prevalente[5], infatti, negava costantemente l’ammissibilità della giacenza pro quota sulla scorta di un’interpretazione letterale sia dell’art. 528 c.c., il quale fa riferimento al singolo “chiamato”, sia dell’art. 532 c.c., il quale prevede la cessazione della curatela nel momento in cui “l’eredità è stata accettata” (senza richiedere – nell’ipotesi di pluralità di chiamati – che essa sia accettata da tutti). Di conseguenza, colui che abbia accettato l’eredità o che si sia trovato nel possesso dei beni ereditari dovrebbe amministrarli e conservarli anche nell’interesse degli altri chiamati.

La dottrina maggioritaria[6], invece, ha più volte riconosciuto la legittimità del fenomeno della giacenza pro quota, ritenendo che l’art. 528 c.c. si riferisca soltanto all’ipotesi in cui il chiamato all’eredità sia un unico soggetto. Sarebbe, invero, irragionevole riconoscere a uno dei tanti chiamati la facoltà di amministrare le quote degli altri.

In linea con quest’ultima tesi, dunque, nel caso in cui il soggetto sospeso dalla successione dovesse risultare l’unico chiamato, il curatore nominato con decreto del tribunale ai sensi dell’art. 528 c.c. si dovrà occupare dell’amministrazione dei soli beni ereditari che sarebbero destinati al soggetto indagato ai sensi dell’art. 463 bis c.c. Resta, tuttavia, poco chiaro se a tal fine debbano ricorrere tutti i presupposti applicativi dell’istituto dell’eredità giacente, come, ad esempio, il fatto di non trovarsi nel possesso dei beni ereditari, oppure se ciò non sia necessario nell’ipotesi de qua.

[1]L.Ferri, Successioni in generale, artt. 456-511, in Comm. Cod. Civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1980, 166; Cicu, Successioni per causa di morte. Parte Generale, in Tratt. dir. civ. e comm. a cura di Cicue Messineo, Milano, 1961, 52.

[2]Cicu, Successioni per causa di morte. Parte Generale, in Tratt. dir. civ. e comm. a cura di Cicue Messineo, Milano, 1961, 162; L.Ferri, Successioni in generale, artt. 456-511, in Comm. Cod. Civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1980, 162; Bianca, Diritto civile 2, La famiglia. Le successioni, Milano, 1985, 409-410.

[3]N. Coviello, Delle Successioni, Parte generale, Napoli, 1935, 78 ss., Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte, Napoli, 1977, 297, Schlesinger, Successioni (diritto civile), Parte generale, in Noviss. Dig. It.,XVIII, Torino, 1957, 755.

[4]Capozzi, Successioni e Donazioni, Milano, 2015, 179 ss.

[5]Si veda Cass. n. 5133 del 2000; Cass. n. 2611 del 2001; Cass. n. 13264 del 2016; il medesimo principio risulta implicitamente condiviso, in materia civilistica, anche da Cass. n. 6064 del 2017.

[6]Si veda, per tutti, Capozzi, Successioni e Donazioni, Milano, 2015, 148-149.

Andrea Bramante

Notaio in attesa di nomina, collaboratore area diritto civile Contatti: andrea.bramante@iusinitinere.it

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