giovedì, Aprile 18, 2024
Diritto e Impresa

Il nuovo volto dell’avvocato-imprenditore nelle STP

A cura di Giuseppina Nappi.

L’avvocato, come tutti i professionisti intellettuali, non è mai imprenditore.

Il legislatore del 1942 ha previsto che chi esercita attività professionale diventa imprenditore nella sola ipotesi in cui “l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma d’impresaex art. 2238 c.c.

In questa ipotesi, pertanto, si è in presenza di un’attività intellettuale e d’impresa e, quindi, troverà applicazione sia la disciplina propria della professione intellettuale, come l’iscrizione all’albo professionale, sia la disciplina propria dell’impresa.

È interessante rilevare come la Relazione del Guardasigilli, n. 917, puntualizza che “il codice fissa il principio che l’esercizio di una professione non costituisce di per sé esercizio di una impresa, neppure quando l’espletamento dell’attività professionale richieda l’impiego di mezzi materiali e dell’opera di qualche ausiliario1.

Dunque è opportuno, allora, leggere la nozione codicistica di imprenditore, ovvero l’art 2082 c.c. per cui “è imprenditore chi esercita professionalmente attività economica organizzata ai fini della produzione o scambio di beni o servizi”. Essa sembra poter ricomprendere, almeno astrattamente, anche l’attività professionale dell’esercente legale. Questo spiega le difficoltà della dottrina prevalente nell’individuare criteri oggettivi nella scelta legislativa che preclude la qualifica di imprenditore al professionista  e lo sottopone, invece, alla particolare disciplina che il codice detta per il contratto d’opera intellettuale (esecuzione personale della prestazione, art. 2232; compenso adeguato “all’importanza dell’opera e al decoro della professione”, art. 2233,2°comma), esonerandolo, nel contempo, dallo statuto dell’imprenditore, con i suoi vantaggi (sottrazione al fallimento) ma anche con i suoi svantaggi (inapplicabilità della disciplina dell’azienda, dei segni distintivi e della concorrenza sleale)2.

Andando più nello specifico, l’elemento della professionalità non sembra possa fondare il discrimine tra le due discipline: professionalità è esercizio abituale e non occasionale di una data attività produttiva3, e costituisce un elemento, se non essenziale come per l’impresa, quantomeno normale anche per le professioni intellettuali.

Anche l’attività professionale, poi, è produttiva di servizi suscettibili di valutazione economica e di regola condotta con metodo economico. La Corte Costituzionale ha addirittura sancito che “gli studi professionali o tecnici perseguono fini di lucro4 (fattore, invece, non essenziale per l’impresa).

Per ciò che concerne, infine, l’elemento organizzativo, questo può anche assumere, talvolta, un rilievo preminente rispetto alla prestazione d’opera intellettuale del professionista (pensiamo allo studio del radiologo)5. È, in particolare, il progresso tecnologico a dettare un aggiornamento dell’attività professionale e imporre un’organizzazione più complessa. La dottrina sottolinea, a proposito, che cresce sempre di più “l’importanza e la frequenza di studi nei quali cooperano numerosi professionisti, in un’organizzazione unica nella quale le varie attività personali trovano la loro coordinazione6.

Dunque la scelta del legislatore, secondo l’opinione prevalente, non essendo suscettibile di una oggettività tangibile, è ancorata ad un privilegio discrezionalmente concesso in virtù del prestigio che da tradizione accompagna le professioni intellettuali.

Il legislatore, negli ultimi anni, sta cambiando orientamento, consentendo l’applicazione al professionista intellettuale di alcuni frammenti della disciplina inizialmente applicabile al solo imprenditore. È quanto avvenuto, ad esempio, per la normativa preposta alla tutela del consumatore, sorta indubbiamente in relazione ai suoi rapporti con l’imprenditore, ma che trova applicazione adesso nei confronti di una figura più ampia che è quella del professionista, definito dall’art 3, lett. c, del codice del consumo di cui al D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, come colui “che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale”7.

Ritornando, nello specifico, alla figura dell’avvocato, è alquanto evidente che siamo ormai lontani dall’immagine manzoniana dell’avvocato rinserrato nel suo studio, dietro la sua scrivania, stracolma di documenti e fascicoli: il complesso modello, diffuso oltreoceano, della law firm, diventa, in Europa e in Italia, una realtà sempre più diffusa.

Pensiamo ai vari studi legali associati di matrice internazionale come, ad esempio, PwC TLS, Dentons, DLA Piper e molti altri, organizzati e gestiti come vere e proprie società di consulenza del settore legale.

Il problema di qualificare l’attività professionale come impresa si è posto, in particolare, in riferimento alla possibilità di impiegare lo schema societario come forma di esercizio della professione intellettuale. Per molto tempo tale possibilità è stata esclusa sulla base di un ragionamento logico deduttivo: “l’attività professionale non è impresa; la società è una forma di esercizio dell’impresa, ergo l’attività professionale non può essere svolta in forma di società8.

Tutto ciò è stato reso ancora più complesso dalla legge 1815/39, la quale prevedeva che i professionisti potessero dar vita a degli studi associati recando esclusivamente la dizione di «studio tecnico, legale, commerciale, contabile, amministrativo o tributario», escludendo all’art. 2 che potesse costituirsi in forma di società con “lo scopo di dare, anche gratuitamente, ai propri consociati od ai terzi, prestazioni di assistenza o consulenza in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa, contabile o tributaria”,  per evitare “forme di esercizio professionale che, in illecita concorrenza all’esercizio individuale legalmente controllato, coprono sovente un’attività professionale svolta da persone sfornite dei necessari titoli di abilitazione9.

L’articolo 2 della suddetta legge è stato abrogato nel 1997, e, in attuazione della direttiva comunitaria 98/5/CE, il D.lgs. 96/2001 ha disciplinato, per la prima volta, le società di avvocati, regolate dalle norme del titolo II del decreto e, ove non diversamente disposto, dalle norme che regolano la società in nome collettivo.

L’intera legge 1815/39 è stata definitivamente abrogata con la legge 12 novembre 2011, n. 183, facendo “salvi i diversi modelli societari e associativi già vigenti alla data di entrata in vigore” del provvedimento, con cui è stata “consentita la costituzione di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile”.

La STP (Società tra professionisti) è stata riconosciuta nel nostro ordinamento come società mono o multi disciplinare, regolamentata dal D.M 8 febbraio 2013 n. 34, in attuazione della legge 183/2011. Oggi può, quindi, assumere le seguenti forme:

  • società semplice;
  • società in nome collettivo;
  • società in accomandita semplice;
  • società per azioni;
  • società in accomandita per azioni;
  • società a responsabilità limitata;
  • società cooperativa.

Un esempio pratico può essere la prima S.t.a.p.a (Società tra avvocati per azioni) messa a punto “dall’avvocato del diavolo”. Non l’infallibile Kevin Lomax del capolavoro di Taylor Hackford, ma Giuseppe La Scala, protagonista indiscusso di una vera e propria rivoluzione nel settore legale (essendo stato il primo a trasformare il suo studio in una società per azioni) a dimostrazione del fatto che quella forense può essere, ormai, attività di impresa a tutti gli effetti10.

L’oscurantismo della tradizione, dunque, e dell’antico privilegio, ormai in via di superamento, si contrappone alle esigenze di modernità rendendo il quadro normativo di riferimento pervaso da contraddizioni intrinseche.

Sicché sarebbe auspicabile che il legislatore trovasse un equilibrio tra le peculiarità delle professioni intellettuali, talvolta connesse alla tutela di valori di rilevanza anche costituzionale, come la difesa in giudizio11, e l’esigenza di una normativa sistematica che tenga conto della nuova concezione economica, sociale e giuridica delle professioni.

 

1 CAMPOBASSO, G.F., 2013. Diritto commerciale. 7° ed. Torino: Utet, p.42

2 CAMPOBASSO, G.F., 2013. Diritto commerciale. 7° ed. Torino: Utet, p.43-44

3 CAMPOBASSO, G.F., 2013. Diritto commerciale. 7° ed. Torino: Utet, p.32

4 Corte Cost., 8 luglio 1975, n.189.

5 CAMPOBASSO, G.F., 2013. Diritto commerciale. 7° ed. Torino: Utet, p.43

6 ASCARELLI, T., 1962. Corso di diritto commerciale. Introduzione e teoria dell’impresa. Milano: Giuffrè, p. 162.

7 FERRI, G., 2019. Manuale di diritto commerciale. Milano: Utet, p.23-24

8 MARINELLI, F., e CARROCCIA, F., 2013. Contratto d’opera e prestazione d’opera intellettuale. Napoli: Edizioni scientifiche italiane, p. 155.

9 Relazione del Ministro Guardasigilli Grandi al Codice Civile del 1942.

10 DI MOLFETTA N., Legalcommunity, L’Avvocato dell’anno, 2018.

11 FERRI, G., 2019. Manuale di diritto commerciale. Milano: Utet, p.24.

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