venerdì, Marzo 29, 2024
Uncategorized

Il P.E.E.P. secondo il Consiglio di Stato: una ricostruzione sistematica epocale

Il 5 luglio 2018, il Consiglio di Stato si è pronunciato su una materia particolarmente discussa dalla dottrina, ossia l’applicazione della disciplina prevista per i P.E.E.P.[1] e la discrezionalità affidata all’Ente Roma Capitale.
Nel caso di specie, chiuso con sentenza della IV Sez. del Consiglio di Stato, due società cooperative lamentavano una lesione derivante dalla approvazione del nuovo schema di convenzione per la concessione in diritto di superficie, ovvero per la cessione della piena proprietà di terreni ai fini della realizzazione del II P.E.E.P. del Comune di Roma Capitale. Il ricorso veniva accolto dal TAR Lazio[2] e spingeva l’Ente impugnato ad attivarsi nella direzione opposta.
Roma Capitale, pertanto, ha impugnato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato improcedibili i ricorsi introduttivi ed accolto parzialmente i ricorsi per motivi aggiunti formulati nell’ambito di due distinti giudizi promossi da Europa Edilizia s.r.l. e dalle Società Cooperative Edilizie “Il Tricolore s.r.l.” e “Castelporziano 2004 s.r.l.”. Essi vertevano sulla delibera consiliare n. 7/2013 e successiva 60/2014, recanti l’approvazione del nuovo schema di convenzione per la concessione in diritto di superficie, ovvero per la concessione in piena proprietà, di terreni ai fini della manovra di completamento del II P.E.E.P. della città di Roma. In particolare, le ricorrenti sostenevano che vi fossero della limitazioni all’alienazione previste dallo schema, con riferimento ai terreni ceduti in piena proprietà, il quale schema esclude tout court la possibilità di alienare gli alloggi ivi edificati per i primi cinque anni dalla prima cessione e limita l’alienazione, dal quinto sino al ventesimo anno, a favore dei soli soggetti in possesso dei requisiti per l’assegnazione degli alloggi di edilizia popolare, per di più con il necessario rispetto dei vincoli di cui all’art. 18 D.P.R. n 380 del 2001[3].
Il T.A.R. ha preliminarmente respinto le eccezioni di rito proposte da Roma Capitale, relative alla mancanza di notifica ad almeno un contro-interessato ed alla carenza dell’interesse ad agire. Nel merito, ha osservato che i commi 15, 16, 17 e 19 dell’art. 35 della l. 865 del 1971[4] sono stati abrogati dalla legge n. 179 del 1992, il cui art. 20[5] si limita a stabilire un divieto di alienazione per i primi 5 anni, peraltro derogabile su specifica autorizzazione della Regione.
Da ciò, il TAR ha tratto la conclusione della natura pattizia del divieto di alienazione previsto nello schema, sussumibile dal disposto dell’art. 1379 c.c.[6]: il Tribunale ha quindi accolto il ricorso, annullando in parte qua la delibera, giacché ha ritenuto che i “convenienti limiti di tempo” di cui alla disposizione codicistica non possano, nella specie, superare i dieci anni, sulla scorta di quanto disposto dalla legge n. 560 del 1993 per l’edilizia sovvenzionata. Il Tribunale ha, comunque,  “fatto salve le ulteriori determinazioni dell’Amministrazione a riguardo sia in termine di apposizione nel limite temporale alla alienabilità degli immobili che in ordine alla motivazione dell’interesse pubblico relativo”.
Il TAR ha concluso ritenendo che nella specie, si tratterebbe di “cessioni compensative”, per cui le limitazioni convenzionali si applicherebbero anche ai diritti edificatori riconosciuti in luogo della corresponsione dell’indennità di espropriazione.

Un passaggio che potrebbe definirsi “epocale” è stato segnato, dal Consiglio di Stato, con riguardo alla sistemazione logica e cronologica delle disposizioni normative che si sono susseguite negli anni, partendo dall’art. 35 della l. n. 865 del 1971, passando per la l. n. 662 del 1996 e arrivando alla l. n. 10 del 1977 (poi confluito nell’art. 18 del DPR n. 380/2001), che avrebbero previsto un termine minimo di efficacia delle Convenzioni pari a venti anni, il quale “si estende, anche alle limitazioni circa la trasferibilità dei diritti”, che, sarebbero relative “non alla possibilità di vendita” tout court, bensì solo “alla libera vendita degli alloggi” a prezzi di mercato.

Roma Capitale ha aggiunto che il TAR ha comunque errato nell’andare a reperire un “parametro di ragionevolezza” per la durata delle limitazioni nell’ambito della materia dell’edilizia sovvenzionata.

Inoltre, con le delibere (sopra citate), Roma Capitale avrebbe unilateralmente ridotto ex post il valore commerciale dei diritti edificatori ceduti in compensazione, che pure costituirebbe un “diritto di credito vantato nei confronti dell’Amministrazione”[7]. Nel merito, la Ricorrente ha sostenuto la diversità strutturale e funzionale fra le convenzioni  previste dall’art. 35 della l. n. 865 del 1971, di matrice pubblicistica, e quelle contemplate dal’art. 18 della l. n. 10 del 1977, aventi viceversa “natura ed effetti di natura privatistica”, in quanto “finalizzate a ridurre il contributo concessorio dovuto a fronte una regolamentazione calmierata del prezzo delle abitazioni e del canone di locazione”.i

Le Cooperative hanno sostenuto che:
– in base alla legge vigente “i limiti alla alienazione degli alloggi di che trattasi riguardano unicamente i primi cinque anni dall’assegnazione o dall’acquisto”;
l’Amministrazione potrebbe, “al massimo, introdurre nelle convenzioni … solo divieti temporanei di alienazione , aventi natura meramente pattizia ai sensi dell’art. 1379 c.c.”;
la durata di tali divieti pattizi deve necessariamente essere contenuta entro limiti temporali circoscritti e ragionevoli”;
– “una cosa è il termine di efficacia della Convenzione, altra e ben diversa cosa è, invece, la durata di un limite alla libera alienabilità degli alloggi sul mercato”;
– “le Convenzioni di cui all’art. 35 L. n. 865 del 1971 (fra le quali rientra la delibera A.C. n. 60/2014) e quelle (c.d. “Convenzioni Bucalossi”)[8] oggi previste dal citato art. 18 del T.U.E., si inseriscono nel procedimento di edilizia residenziale pubblica, mentre le altre sono finalizzate alla riduzione dei contributi concessori a fronte dell’applicazione di prezzi di vendita e canoni di locazione calmierati”.

Il ricorso è stato accolto. Il Collegio ha osservato che la sentenza impugnata non fosse affetta da nullità; né ricorresse un’ipotesi di improcedibilità del giudizio.
La delibera consiliare n. 46 del 2017 prevede che, una volta decorso il quinquennio dalla prima assegnazione, i vincoli afferenti al prezzo massimo di cessione “possano essere affrancati mediante adesione alla proceura di cui le deliberazioni 33/15 e 40/16; completata tale procedura, dette porzioni immobiliari potranno essere liberamente commercializzate”.

Il Collegio, altresì, osserva che la materia delle convenzioni urbanistiche propedeutiche alla realizzazione degli alloggi di edilizia popolare ha visto, nel tempo, una seria notevole di modificazioni legislative.
All’uopo, ha svolto una ricostruzione sistematica esemplare ed utile per qualsiasi “addetto ai lavori”.

Dal combinato disposto delle norme risulta che:
– i vincoli all’alienazione contenuti nelle convenzioni ex art. 35 l. n. 865 del 1971 stipulate anteriormente all’entrata in vigore della l. n. 179 del 1992 hanno piena efficacia nel primo quinquennio; nel prosieguo, possono essere rimossi, a titolo oneroso, previa stipula di un,ulteriore convenzione con il Comune, cui spetta peraltro individuare gli elementi di calcolo della misura del corrispettivo che interessato deve versare;
– i vincoli all’alienazione contenuti nelle Convenzioni ex art. 35 l. n. 865 stipulate posteriormente all’entrata in vigore della l. n. 179 del 1992 hanno efficacia limitata solamente al primo quinquennio e, comunque, sono superabili “previa autorizzazione della Regione, quando sussistano gravi, sopravvenuti e documentati motivi”.

Vi è, dunque, una tendenziale riduzione dei vincoli all’alienazione stabiliti dalla previgente normativa. Non si accompagna la previsione della nullità di pattuizioni convenzionali. Vi è un arretramento dei vincoli posti ex lege.

La finalità delle modifiche succedutesi nel tempo è con ogni ragionevolezza rappresentata dall’enucleazione di un più ampio margine di libertà operativa per lo strumento convenzionale: l’eliminazione del pesante apparato vincolistico in precedenza stabilito dalla legge, invero, rende l’istituto oggettivamente più agile, duttile e modulabile in base a varie esigenze proprie dei diversi contesti urbani del Paese.
La Convenzione ex art. 35 non può avere durata inferiore ai vent’anni e deve prevedere tra l’altro “la determinazione dei prezzi di cessione degli alloggi e, sulla base del costo delle aree”. Tale Convenzione resta uno strumento di regolazione urbanistica di lunga durata esteso anche alla fissazione, con modalità normativamente predeterminate, dell’iniziale prezzo di cessione.

Il CdS, contrariamente a quanto sostenuto dal TAR, ha affermato che i limiti all’alienazione stabiliti dalla delibera consiliare n. 60 del 2014 e destinati, nelle intenzioni del Comune, ad essere contenuti nelle convenzioni da stipulare con i soggetti assegnatari, rispettano il disposto dell’art. 1379 c.c.

In primo luogo ricorre un evidente interesse di Roma Capitale, quale ente esponenziale della collettività locale, a riservare per un più lungo periodo di tempo gli alloggi di edilizia popolare alle fasce svantaggiate della popolazione, tanto più in considerazione della notoria difficoltà di reperire immobili ad uso abitativo a prezzi accessibili nella Città di Roma.
In secondo luogo, non si è in presenza di un radicale divieto di alienazione, ma di una mera perimetrazione contenutistica della facoltà di disposizione del titolare dell’alloggio, con particolare riferimento al prezzo di cessione ed alle qualità soggettive del compratore.
In terzo luogo, il termine ventennale costituisce un “conveniente limite di tempo”, sia perché è pari al termine di durata minima ex lege della convenzione, sia perché è del tutto logico che tale termine sia superiore a quello decennale previsto dalla l. n. 560 del 1993 per l’ipotesi di dismissione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, fenomeno generale da cui si distingue (proprio per le caratteristiche costruttive economiche, per il bacino di utenza popolare e per le modalità autoritative di acquisizione delle aree) la species dell’edilizia economica e popolare cui è, invece, specificamente rivolto l’art. 35 della l. n. 865 del 1971, che ha interamente riscritto l’art. 10 della l. n. 167 del 1962, recante appunto “Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare”.
Di converso, la specialità dell’edilizia economica e popolare si evince anche in riferimento all’edilizia convenzionata (disciplinata dall’art. 7 della l. n. 10 del 1977, poi confluito nell’art. 17 del d.p.r. n. 380 del 2001), connotata dalla riduzione del contributo di costruzione a fronte dell’impegno del costruttore di applicare prezzi di vendita degli alloggi conformi a convenzioni stipulate con l’Amministrazione comunale: tali limitazioni, proprio in quanto corrispondenti ad una riduzione a monte del costo di costruzione, si applicano solo alla prima cessione da parte del costruttore e non seguono il bene nei successivi trasferimenti.

Le ricorrenti in prime cure lamentano, inoltre, una lesione del proprio diritto soggettivo di credito, in quanto l’indennità di esproprio sarebbe stata sostituita dalla cessione di diritti edificatori per un valore corrispondente: tale valore, tuttavia, sarebbe stato ex post significativamente intaccato dalla delibera n. 60 del 2014.
Sul punto il Collegio osserva che, in luogo della percezione dell’indennità, le ricorrenti in prime cure avevano a suo tempo pattuito con il Comune il riconoscimento di corrispondenti diritti edificatori: l’effettivo surrogato dell’indennità, dunque, è rappresentato da tali diritti in sé, non dal loro prospettico (e fisiologicamente mutevole) valore di mercato.
Con maggiore sforzo motivazionale, il Collegio comunque rileva:
– che la delibera n. 60 non incide in alcun modo sulla spettanza di tali diritti edificatori;
– che non è provato che l’attuale valore di questi diritti sia stato concretamente e sensibilmente ridotto dalle previsioni della delibera;
– che, in ottica civilistica, le aspettative circa il potenziale lucro riveniente dalla futura cessione degli alloggi a prezzi di mercato una volta decorso il primo quinquennio si configurano quale mero motivo, come tale giuridicamente irrilevante (salva l’ipotesi eccezionale di cui all’art. 1345 c.c., nella specie non ricorrente).Oltretutto, la modifica apportata dalla richiamata delibera n. 46 del 2017 consente comunque, a certe condizioni, il recupero della libera commerciabilità degli alloggi, almeno quanto alla fissazione del prezzo.

Per gli esposti motivi, pertanto il Consiglio di Stato ha accolto l’appello di Roma Capitale in quanto i ricorsi svolti in prime cure dalle società Europa Edilizia s.r.l., Cooperativa Edilizia Il Tricolore s.r.l. e Cooperativa Edilizia Castelporziano 2004 s.r.l. erano infondati: lo schema di convenzione da ultimo approvato con la delibera consiliare n. 60 del 2014, infatti, reca previsioni di carattere obbligatorio pienamente conformi a legge.

[1] Cfr. MAZZELLA G. La Convenzione PEEP: analisi sistematica dell’articolo 35, in www.iusinitinere.it.

[2] Sent. TAR Lazio, sez. II-bis n. 1686 del 4 febbraio 2016.

[3] Art. 18 DPR n. 380 del 2001 :
1. Ai fini del rilascio del permesso di costruire relativo agli interventi di edilizia abitativa di cui all’articolo 17, comma 1, la regione approva una convenzione-tipo, con la quale sono stabiliti i criteri nonché i parametri, definiti con meccanismi tabellari per classi di comuni, ai quali debbono uniformarsi le convenzioni comunali nonché gli atti di obbligo in ordine essenzialmente a:

  1. a) l’indicazione delle caratteristiche tipologiche e costruttive degli alloggi;
  2. b) la determinazione dei prezzi di cessione degli alloggi, sulla base del costo delle aree, così come definito dal comma successivo, della costruzione e delle opere di urbanizzazione, nonché delle spese generali, comprese quelle per la progettazione e degli oneri di preammortamento e di finanziamento;
  3. c) la determinazione dei canoni di locazione in percentuale del valore desunto dai prezzi fissati per la cessione degli alloggi;
  4. d) la durata di validità della convenzione non superiore a 30 e non inferiore a 20 anni.
  5. La regione stabilisce criteri e parametri per la determinazione del costo delle aree, in misura tale che la sua incidenza non superi il 20 per cento del costo di costruzione come definito ai sensi dell’articolo 16.
  6. Il titolare del permesso può chiedere che il costo delle aree, ai fini della convenzione, sia determinato in misura pari al valore definito in occasione di trasferimenti di proprietà avvenuti nel quinquennio anteriore alla data della convenzione.
  7. I prezzi di cessione ed i canoni di locazione determinati nelle convenzioni ai sensi del primo comma sono suscettibili di periodiche variazioni, con frequenza non inferiore al biennio, in relazione agli indici ufficiali ISTAT dei costi di costruzione intervenuti dopo la stipula delle convenzioni medesime.
  8. Ogni pattuizione stipulata in violazione dei prezzi di cessione e dei canoni di locazione è nulla per la parte eccedente.”

[4] i quali stabilivano il divieto di alienazione assoluto per gli alloggi di edilizia popolare per i primi dieci anni e limitavano, per i successivi dieci anni, l’alienazione a favore dei soli soggetti nelle condizioni di ottenere un alloggio popolare, oltretutto prescrivendo che il prezzo fosse stabilito dal U.T.E.

[5] Articolo 20 della legge n. 179 del 1992:
” Autorizzazione alla vendita e alla locazione da parte dell’assegnatario o dell’acquirente di alloggi

  1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, gli alloggi di edilizia agevolata possono essere alienati o locati, nei primi cinque anni decorrenti dall’assegnazione o dall’acquisto e previa autorizzazione della regione, quando sussistano gravi, sopravvenuti e documentati motivi. Decorso tale termine, gli alloggi stessi possono essere alienati o locati.

2 In tutti i casi di subentro il contributo è mantenuto a condizione che il subentrante sia in possesso dei requisiti soggettivi vigenti al momento del subentro stesso.”

[6] Art. 1379 c.c.:
Il divieto di alienare stabilito per contratto ha effetto solo tra le parti, e non è valido se non è contenuto entro convenienti limiti di tempo e se non risponde a un apprezzabile interesse di una delle parti.”

[7] Cfr. in particolare Sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 16 settembre 2015, n. 18135.

[8]Si veda MAZZELLA G. La convenzione Bucalossi: edilizia e non urbanistica, in www.iusinitinere.it.

Lascia un commento