venerdì, Aprile 19, 2024
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Il TTIP, l’accordo commerciale tra UE e USA

Un accordo commerciale di cui si conosce ben poco, per  la scarsa informazione, ma degno di attenzione data l’ampia area d’intervento è il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), in italiano il Partenariato Transatlantico  per il commercio e gli investimenti.

Il TTIP è l’accordo commerciale in corso di negoziazione dal 2013 tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America che auspica la creazione di un free trade agreement (FTA), ossia un’area di libero scambio transatlantica. Organizzato in 24 capi, tre sarebbero le principali aree di intervento, ossia: l’accesso al mercato; la cooperazione in campo normativo; le norme[1]. I funzionari di ambedue le parti riconoscono che l’obiettivo primario del TTIP è l’abolizione delle barriere tariffarie e la modifica della legislazione in materia di sicurezza e controllo su merci, servizi ed investimenti. Queste azioni volgerebbero alla creazione di un mercato intercontinentale capace di generare nuovi scambi ed investimenti tra UE e USA, così da favorire a sua volta il livello occupazionale, la competitività dei prezzi e una scelta più ampia per i consumatori. L’eliminazione, però, delle barriere normative che limitano i profitti potenzialmente realizzabili, ha rappresentato un primo ostacolo alle trattative tra le due sponde dell’Atlantico, dato che, rappresentano alcuni degli standard sociali europei maggiormente apprezzati. Si parla in tal caso di normative ambientali, diritti dei lavoratori, norme per la sicurezza ambientale ed alimentare. In aggiunta al programma di deregolamentazione, il TTIP mira a creare nuovi mercati con l’apertura dei servizi pubblici e dei contratti per appalti governativi alla concorrenza di imprese transnazionali, minacciando così di provocare un’eccessiva ondata di privatizzazioni in settori chiave come la sanità e l’istruzione.

Uno degli aspetti più controversi del negoziato è l’introduzione del meccanismo di protezione degli investimenti, l’Investor State Dispute Settlement, ISDS, in quanto verrebbe concesso alle imprese americane ed europee di impugnare le decisioni democratiche prese dai governi sovrani e di chiedere risarcimenti nei casi in cui quelle decisioni abbiano effetti negativi sui propri profitti. Precisamente la clausola ISDS è un meccanismo di composizione della lite tra gli Stati e gli investitori che non tiene conto della legislazione nazionale, contando soltanto il testo del trattato di libero scambio in cui la clausola è contenuta. Inoltre, la risoluzione della controversia non è affidata ad un tribunale ordinario bensì ad un collegio arbitrale scelto e pagato dalle due parti in causa che fanno capo ad un’istituzione internazionale, spesso è l’ICSID ossia, l’International Centre for Settlement of Investment Dispute. Limiti di tali strumenti sono, in primis, il deficit di legittimazione e trasparenza, visto che contenziosi in cui sono in gioco questioni di pubblico interesse vengono decisi da arbitri scelti dalle parti, in udienze a porte chiuse e con documenti inaccessibili. Ancor di più c’è da considerare che queste decisioni sono inappellabili e colme di giurisprudenza incostante visto che le regole da far applicare variano in base agli accordi commerciali e sono ambigue esse stesse. Va, inoltre, sottolineato il rischio economico che deriva dai meccanismi ISDS, poiché le richieste di risarcimento sono milionarie e gli stessi procedimenti arbitrali sono dispendiosi.

Sulla scia di queste constatazioni la proposta europea è stata quella di sostituire l’ISDS con un Tribunale Permanente per l’investimento che ricalca le principali caratteristiche della clausola ISDS ma che non porta il suo nome: si tratta dell’ ICS, l’Investment Court System[2]. Resta intatta la sostanza: la possibilità degli investitori stranieri di citare in giudizio gli Stati per ottenere risarcimenti senza rivolgersi ai tribunali nazionali, quello che cambia è che le controversie fra Stato e investitori verranno decise da tre giudici estratti a sorte all’interno di un gruppo di quindici. Il procedimento sarà pubblico e, si contempla un processo di appello e l’impossibilità di presentare ricorsi infondati e inconsistenti, o più ricorsi su una stessa questione. Tra i governi si è, però, diffusa la convinzione che l’inclusione nel TTIP del meccanismo di risoluzione delle controversie Investitore-Stato non sia né necessario né desiderabile, non di meno l’inclusione dell’ICS. Questo perché all’interno dell’OMC esiste già un tribunale specifico per la risoluzione delle controversie, il Dispute Settlement Body, a cui possono rivolgersi i governi membri. Ed inoltre, perché si tratta di due meccanismi molto simili, che minacciano la democrazia ed il potere regolamentare degli Stati, scavalcando la legislazione nazionale e favorendo le società transnazionali. Nulla ancora è stato deliberato concretamente per questo delicato capo del Partenariato.

Gli avvenimenti politici dell’ultimo anno hanno contribuito ad alimentare sempre di più il caos intorno al Partenariato. L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea ha distolto l’attenzione dal TTIP creando nuovi ostacoli alle prospettive economiche. La campagna elettorale delle Presidenziali americane e le elezioni interne francesi e tedesche hanno modificato nuovamente gli scenari politici con nuove dichiarazioni e cambiamenti di rotta. I tempi del Transatlantic Trade and Investment Partnership sono dunque lontanissimi, l’accordo è finito nel dimenticatoio e non solo per l’ostilità manifestata da Trump nei confronti dei trattati commerciali transatlantici, ma anche per le resistenze europee. Avviate nel 2013, le trattative si sono arenate dopo il 15° round negoziale dell’ottobre 2016, però, lo stato dei rapporti tra Usa e Europa resta nel solco di una collaborazione competitiva consolidata nel tempo.

Il tentativo di focalizzare l’attenzione sull’armonizzazione e sul mutuo riconoscimento di regolamenti e standard è stato inizialmente considerato positivo, perché in queste aree la liberalizzazione avrebbe potuto apporre benefici, ma le problematiche portate alla luce da enti interessati, come le organizzazioni non governative, le associazioni, i sindacati, le testate giornalistiche, hanno ovviamente alimentato il dissenso popolare ed ostacolato le negoziazioni. I punti più critici del TTIP risultano essere: le ricadute del PIL, le questioni in materia di sicurezza alimentare e sanitaria, la tutela dei prodotti “Made in”, la difesa dei diritti dei lavoratori, la protezione dell’ambiente, la risoluzione delle controversie in materia di investimenti, ed in ultimo l’eccesiva segretezza e poca trasparenza nella conduzione dei negoziati. Punti che hanno messo a dura prova le ragioni dei favorevoli all’accordo. Oggetto di valutazione sono stati, però, anche i possibili vantaggi che deriverebbero da questo accordo commerciale, come: un’occupazione maggiore, l’aumento del reddito annuo di ogni famiglia media europea, l’abolizione delle barriere doganali e tariffarie che consentirebbe ad alcuni settori specifici, come quello automobilistico, metalmeccanico, di aumentare se non addirittura raddoppiare gli scambi commerciali. Il Partenariato Transatlantico si presenta, quindi, come un accordo di portata ampia, esso infatti non è concepito principalmente per ridurre le tariffe sulle importazioni tra i partners commerciali, visto che le tariffe tra l’UE e gli USA sono già a livelli minimi.

Non si ha la concreta possibilità di stabilire gli effetti del TTIP, eventualmente entrasse in vigore, ciò che è certo è che il Trattato potrebbe mutare radicalmente il panorama internazionale stabilendo regole comuni per scambi che ammontano al 30% circa del commercio mondiale dei beni, il 57% degli investimenti diretti esteri in entrata e il 75% di quelli in uscita, nonché un volume di scambi che supera i 700 miliardi di euro l’anno. Il TTIP è un accordo che coinvolge economie (quella europea e quella americana) che da sole rappresentano quasi la metà del PIL mondiale e circa un terzo del traffico commerciale.

 

[1] Direzione generale del Commercio della Commissione europea, Partenariato  transatlantico su commercio e investimenti (TTIP). Verso un accordo commerciale UE USA, “Il TTIP visto da vicino”, Lussemburgo: Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione  europea, 2015.

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[2] Text of the proposal on Investment – TTIP negotiations, Commission draft text TTIP –  investment, “Transatlantic Trade and Investment Partnership. Trade in service, investment and e-commerce”, Chapter II – Investment. (http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2015/september/tradoc_153807.pdf)

Maria Rosaria Salzano

Nata nel 1991 in provincia di Caserta, ha frequentato l'Università Federico II di Napoli, laureandosi nel Febbraio 2018 in Diritto del commercio internazionale con una tesi sul "Partenariato Transatlantico per il commercio e gli investimenti". Dopo circa due mesi in Scozia, nel Regno Unito, per frequentare una scuola di lingua inglese, attualmente è studentessa presso il Dipartimento di Scienze Sociali della Federico II per l'Executive Master in Gestione delle Risorse Umane. Sogna di diventare una giurista d'impresa, non rinunciando però alle sue passioni, come quella di: suonare la chitarra, di scrivere e di viaggiare. Collaboratrice dell'area di diritto internazionale, con particolare interesse per il commercio internazionale.

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