venerdì, Aprile 19, 2024
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Il patto di famiglia

patto di famiglia

L’Istituto giuridico del patto di famiglia è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla Legge n. 55 del 2006 (“Modifiche al Codice civile in materia di patto di famiglia”) ed è disciplinato dagli artt. 768 bis/768 octies c.c.

Si tratta di un contratto attraverso il quale si realizza un trasferimento inter vivos della titolarità dell’azienda o delle partecipazioni sociali a uno o più discendenti (non necessariamente i figli) che l’imprenditore (il disponente) ritenga più adatto o adatti ad assumere il governo dell’impresa.

L’art. 768 quater, comma 1, c.c., impone che al contratto devono partecipare tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione dell’imprenditore.

In pratica, il patto di famiglia ha lo scopo di conservare l’impresa familiare nonostante il trapasso generazionale e ha ad oggetto l’attribuzione della titolarità dell’azienda e/o partecipazioni sociali (qualificate) in grado di garantire il controllo e la gestione dell’azienda stessa.

Tuttavia, dato che al momento della stipula dell’accordo l’assegnazione della titolarità dell’azienda e/o delle partecipazioni sociali eccede la quota di cui l’imprenditore poteva disporre se in quel momento si fosse aperta la sua successione, si pone a carico del legittimario assegnatario di soddisfare gli altri legittimari non assegnatari (esistenti all’atto della stipula) con un conguaglio in denaro corrispondente al valore della loro quota legittima (art. 768 quater, comma 2, c.c.).

In altre parole, l’opinione prevalente ritiene che col patto di famiglia si realizza la successione anticipata nel patrimonio dell’imprenditore limitatamente all’azienda con contestuale soddisfacimento dei diritti dei legittimari.

Peculiare il fatto che le ragioni del coniuge e degli altri legittimari non assegnatari non sono soddisfatte con beni appartenenti all’asse ereditario (art. 727 c.c.), bensì mediante il pagamento di una somma di denaro posta carico dell’assegnatario con lo scopo di assicurare, in relazione all’azienda e alle partecipazioni sociali, il rapporto di proporzionalità tra le quote dei coeredi (art. 768 quater, comma 2, c.c.).

Questo meccanismo conferisce al patto di famiglia un’accezione tipicamente divisionale che trova conferma ulteriore nell’esonero da collazione di quanto ricevuto dai contraenti (art. 768 quater, comma 4, c.c.). Tale effetto divisionale che viene a realizzarsi presuppone che tutti i legittimari (anche i non assegnatari), al momento della stipula, debbano prestare il proprio consenso affinché si perfezioni il patto di famiglia. Dunque, in dottrina si ritiene che il patto di famiglia sia un contratto plurilaterale dato che anche i legittimari non assegnatari sono partecipanti necessari.

Ma nell’art. 768 sexies, c.c. si parla di legittimari che non hanno partecipato al patto; se quanto detto sopra corrisponde al vero, dobbiamo ritenere che i legittimari non partecipanti siano i legittimari sopravvenuti.

Tuttavia, chi ritiene che il patto di famiglia ha funzione divisionale deve necessariamente ammettere una previa istituzione ex lege in quota dei beneficiari e quindi ricorrere al concetto dell’apertura di una successione anticipata in relazione ai beni oggetto del patto i quali vengono attribuiti, più in generale, tramite degli apporzionamenti.

Le quote del patto sarebbero allora la quota di legittima per i legittimari non assegnatari; la quota di legittima più la quota disponibile per i legittimari assegnatari; la sola quota disponibile se l’assegnatario non è un legittimario.

Tuttavia, se valutiamo seriamente l’idea di una successione anticipata, quando si apre il resto della successione (al momento della morte dell’imprenditore) e si fa luogo a riunione fittizia, i beni oggetto del patto non dovrebbero essere considerati. Così facendo, però, è molto più concreto il rischio di lesioni della quota legittima in pregiudizio, in particolare, dei donatari anteriori.

L’art. 458 c.c. sul divieto dei patti successori è stato modificato dalla L. 55/2006 proprio in corrispondenza dell’introduzione del patto di famiglia e stabilisce che fatto salvo quanto disposto sul patto di famiglia è nullo il patto successorio istitutivo e che inoltre sono nulli i patti successori dispositivi. Allora, a questo punto, la domanda ci sorge spontanea: il patto di famiglia mette in discussione il divieto dei patti successori presente nel nostro ordinamento?

A una prima lettura dell’art. 458 c.c., sembrerebbe che il patto di famiglia sia una deroga al divieto dei patti successori istitutivi (il patto che replicherebbe in sostanza il contenuto del testamento); in realtà, a un esame più approfondito, possiamo rispondere negativamente.

Nel nostro ordinamento, infatti, l’unico atto lecito mortis causa è il testamento, con il quale si dispone dei propri beni (del residuo) per il tempo in cui si sarà cessato di vivere e tale attribuzione patrimoniale diviene attuale solo se all’apertura della successione i beni disposti sono ancora presenti nel patrimonio del de cuius e se il beneficiario sopravvive al testatore. Ebbene, vero è che con il patto di famiglia si attribuiscono partecipazione societarie di controllo (o la titolarità dell’azienda) al momento della morte ma tali attribuzioni non sono operanti mortis causa, vale a dire non trovano la causa nella morte del disponente, ma sono attribuzioni inter vivos e perciò attuali già nel momento in cui il contratto è stipulato anche se è differito il termine iniziale di efficacia e in virtù di questo il beneficiario diventa titolare, fin da subito, di un’aspettativa giuridicamente tutelata in modo che il beneficiante non può più disporne.

L’art. 768 quater, comma 4, c.c., dispone che quanto ricevuto dai contraenti il patto di famiglia (i discendenti legittimari) non è soggetto a collazione né a riduzione. I legittimari, dunque, rinunciando al diritto di agire in riduzione, rinunciano a un diritto che potrà derivare a un soggetto da una successione altrui. Tale disposizione sembrerebbe violare non solo il divieto generale dei patti successori dispositivi, quei patti cioè con cui taluno dispone dei diritti che potranno derivargli da uno successione altrui, ma anche l’art. 557, comma 2, c.c. che non consente di rinunciare preventivamente al diritto di esperire l’azione di riduzione.

La dottrina prevalente ritiene, al contrario, che con la stipula del patto di famiglia non si dispone del proprio diritto all’azione di riduzione, perché tale rinuncia all’azione non sarebbe un effetto voluto dai partecipanti al patto, ma è loro imposta direttamente dal legislatore che ha previsto – a livello normativo – tale effetto del patto e dunque è legale, di talché mancherebbe la possibilità stessa di una disposizione dei diritti di legittima.

Ebbene, affermando l’estraneità del patto di famiglia ai patti successori – non essendo il patto di famiglia una terza fonte di vocazione ereditaria in aggiunta alla legge e al testamento – ne consegue che la rinuncia di uno o più legittimari non assegnatari all’apporzionamento, non consentirebbe l’operatività della successione per rappresentazione, né i discendenti del rinunciante potrebbero essere considerati alla stregua di legittimari sopravvenuti ai sensi dell’art. 768 sexies c.c.

Dott.ssa Vincenza D'Angelo

Vincenza ha conseguito a pieni voti la Laurea magistrale in Giurisprudenza nel 2016 presso l'Università degli Studi "Roma Tre", discutendo una Tesi in Diritto delle Successioni dal titolo "Liberalità indirette e tutela  dei legittimari". Ha svolto la pratica forense e collaborato proficuamente negli studi legali nell'ambito del diritto civile, occupandosi prevalentemente di contenzioso. Nel 2021 ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della Professione forense. Contatti: vincenzadangelo@yahoo.it

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