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Il popolo abbandonato degli Uiguri: il Prosecutor della CPI chiude le indagini contro la Cina

 Introduzione

In data 14 dicembre 2020, l’Office of the Prosecutor (OTP) della Corte Penale Internazionale (CPI) ha dichiarato che non avvierà formalmente le indagini nel caso degli Uiguri. Nella sua relazione[1], l’OTP ha affermato che non vi è alcuna base per procedere in questo momento. La dichiarazione arriva dopo la comunicazione, presentata il 6 luglio 2020, dagli avvocati del Governo in Esilio del Turkistan Orientale (East Turkistan Government in Exile, “ETGE”) e dal Movimento di Risveglio Nazionale del Turkistan Orientale (East Turkistan National Awakening Movement, “ETNAM”), con cui essi avevano richiesto alla Procura di valutare l’apertura di un’indagine nei confronti di alti dirigenti cinesi per i reati di genocidio e crimini contro l’umanità commessi contro gli Uiguri e altri gruppi etnici[2]. In particolare, l’ETGE e l’ETNAM sostenevano che la CPI avrebbe potuto estendere la propria giurisdizione sui crimini de quo dal momento che la condotta criminale, pur essendosi consumata prevalentemente sul suolo cinese, si era verificata, in parte, anche nei territori di Tagikistan e Cambogia, entrambi firmatari dello Statuto di Roma.

Nel dichiarare l’insussistenza di una “reasonable basis” per procedere alle indagini ai sensi dell’art. 15 dello Statuto di Roma, l’OTP ha affermato che la condizione preliminare per l’esercizio della giurisdizione territoriale della CPI non sembra essere soddisfatta rispetto alla maggior parte dei crimini denunciati (tra cui genocidio, crimini contro l’umanità nelle forme di omicidio, detenzione o altre gravi privazioni della libertà, tortura, sterilizzazione forzata e altri atti inumani)[3].

La persecuzione degli Uiguri

Occorre preliminarmente collocare geograficamente la vicenda, poiché sulla natura del territorio coinvolto non vi è uniformità di vedute. Situata nell’estremo nord-ovest della Cina, la regione autonoma uigura dello Xinjiang (XUAR) è un’enorme regione scarsamente popolata che comprende vaste steppe semidesertiche nel nord e grandi bacini desertici circondati da città-oasi storiche nel sud. Circa tre volte la dimensione della Francia, l’area coperta dallo Xinjiang era rinomata nel corso dei secoli per l’antica Via della Seta e il suo fiorente canale di scambi commerciali e culturali tra la Cina e il resto del mondo. Questo passato ha reso lo Xinjiang una delle regioni più etnicamente eterogenee della Cina: più della metà della popolazione della regione, pari a 22 milioni di persone, appartiene a gruppi etnici di origine turca e musulmana, tra cui gli Uiguri (circa 11,3 milioni), i Kazaki (circa 1,6 milioni) e altre popolazioni le cui lingue, culture e modi di vita variano nettamente da quelli degli Han, che sono la maggioranza in Cina[4]. Dagli anni trenta del secolo scorso un movimento di liberazione nazionale ha tentato di ottenere l’indipendenza della regione, sotto il nome di Turkistan Orientale, ma dal punto di vista del diritto internazionale lo Xinjiang è a tutti gli effetti parte del territorio della Repubblica popolare cinese[5].

Tuttavia, decenni di tensioni interetniche hanno portato a cicli di violenza sporadica e repressione da parte delle autorità cinesi. Alla fine del 2019, documenti pubblicati dal New York Times[6], dall’International Consortium of Investigative Journalists e da 17 organizzazioni partner[7] hanno rivelato dettagli sulle condotte criminose commesse dalla Cina nella regione dello Xinjiang. I documenti mostrano come, con l’appello del presidente cinese Xi Jinping, sia nata una campagna per “trasformare il pensiero delle persone nello Xinjiang” e per combattere “il terrorismo, l’infiltrazione e il separatismo” nello Xinjiang, da realizzarsi attraverso la costruzione di centri di detenzione di massa (che hanno iniziato a fare la loro comparsa nel 2014 con il nome di “campi di rieducazione”). L’internamento di massa dei gruppi etnici prevalentemente musulmani nello Xinjiang è aumentato a partire dal marzo 2017 con l’adozione del Regolamento sulla deradicalizzazione. Questa norma considera “estremismo” mostrare, anche in luoghi privati, affiliazioni culturali o religiose come portare barbe “abnormemente” lunghe, indossare il velo, pregare regolarmente, digiunare, evitare di assumere alcolici o possedere libri o articoli sull’Islam o la cultura uigura.

Inoltre, in un rapporto del 2018, Human Rights Watch[8] ha presentato nuove prove sull’esistenza di un programma di detenzione arbitraria di massa del governo cinese, nonché sulla tortura, i maltrattamenti e i controlli di massa sempre più diffusi sulla vita quotidiana che le minoranze dello Xinjiang subiscono. In tutta la regione, la popolazione musulmana turca è soggetta a indottrinamento politico forzato, punizioni collettive, restrizioni di movimento e alle comunicazioni, limitazioni nell’esercizio della propria religione e sorveglianza di massa, tutti comportamenti che integrano gravi violazioni del diritto internazionale in materia di diritti umani.

Per tali motivi, nella comunicazione presentata nell’agosto del 2020, l’ETGE e dall’ETNAM accusano le autorità cinesi di aver violato gli artt. 6 e 7 dello Statuto di Roma, che codificano il crimine di genocidio e i crimini contro l’umanità[9]. Le prove presentate mostrano come migliaia di Uiguri siano stati illegalmente trasferiti nello Xinjiang dal Tagikistan e dalla Cambogia. Al loro ritorno in Cina sono stati vittime di crimini insieme a molti altri Uiguri già detenuti, tra cui omicidio, detenzione illegale, tortura, controllo delle nascite, sterilizzazione forzata e matrimoni forzati. La comunicazione presentata all’OTP denuncia questi atti come parte di una campagna concertata e diffusa da parte del governo cinese per radunare decine di migliaia di Uiguri all’estero per costringerli a tornare nello Xinjiang[10]. I resoconti dei crimini forniti nella comunicazione sono dettagliati e sconcertanti: includono descrizioni di brutali torture attraverso l’elettrocuzione, umiliazioni come essere costretti a mangiare carne di maiale e bere alcol, l’adozione obbligatoria di contraccettivi per le donne uigure in età fertile, e si stima che 500.000 bambini uiguri siano stati separati dalle loro famiglie e inviati in “campi-orfanotrofio” da dove sono giunti rapporti credibili di tentativi di suicidio da parte dei bambini.

Conclusioni dell’OTP

La comunicazione presentata dall’ETGE e dall’ETNAM alla CPI, con la richiesta di apertura delle indagini da parte dell’OTP, si fondava sulla precedente statuizione del tribunale internazionale nel caso dei Rohingya[11]. In particolare, con una pronuncia del 6 settembre 2018, la Pre-Trial Chamber I aveva riconosciuto la giurisdizione della Corte sui crimini commessi nei confronti della popolazione Rohingya da parte delle autorità del Myanmar, (nonostante questo non sia firmatario dello Statuto di Roma) sul presupposto che una parte dell’azione si fosse svolta nel territorio del Bangladesh (invece firmatario dello Statuto). I giudici hanno sostenuto che è sufficiente che un solo elemento dell’actus reus si sia verificato in uno Stato membro per determinare l’instaurazione della giurisdizione della Corte. Una ricostruzione del genere è, tra l’altro, particolarmente rilevante alla luce del carattere transfrontaliero del crimine di deportazione, il quale deve necessariamente coinvolgere il territorio di due Stati. La questione è tutt’altro che semplice, poiché desta non poche perplessità il fatto che la giurisdizione della Corte si possa innescare per il semplice “attraversamento di un confine”, indipendentemente “dal luogo in cui si commise la parte più consistente del reato[12].

Nel caso degli Uiguri, la comunicazione dell’ETGE e dell’ETNAM evidenziava come una parte della condotta criminale, commessa da alti dirigenti cinesi, si fosse verificata in Tagikistan e in Cambogia e ciò fosse sufficiente, anche alla luce del precedente sopracitato, ad estendere la giurisdizione della Corte Penale Internazionale.

Nel Report on Preliminary Examination Activities, datato 14 dicembre 2020, l’OTP, però, ha affermato che la condizione preliminare per l’esercizio della giurisdizione territoriale della CPI non sembra essere soddisfatta rispetto alla maggior parte dei crimini presunti (tra cui genocidio e crimini contro l’umanità), dal momento che l’actus reus di ciascuno di questi sembra essere stato commesso esclusivamente da cittadini cinesi all’interno del territorio della Repubblica popolare cinese (che non è Parte dello Statuto). Nel valutare i crimini perpetrati in Cambogia e in Tagikistan, l’OTP ha osservato che “sebbene i trasferimenti di persone dalla Cambogia e dal Tagikistan verso la Cina sembrino destare preoccupazioni per quanto riguarda la loro conformità con il diritto nazionale e internazionale, compresi il diritto internazionale dei diritti umani e il diritto internazionale dei rifugiati, non sembra che tale condotta equivalga al crimine contro l’umanità di deportazione ai sensi dell’articolo 7(1)(d) dello Statuto[13].

In una concisa riflessione sul crimine di deportazione, l’OTP sottolinea che non tutti i comportamenti che implicano l’allontanamento forzato di persone da un luogo costituiscono necessariamente il crimine di trasferimento forzato. Fondandosi sulla giurisprudenza del Tribunale Penale per l’Ex-Iugoslavia, l’OTP ricorda in particolare che la rimozione forzata di persone dalle loro case e il successivo trasferimento in un centro di detenzione non costituisce il crimine di trasferimento forzato poiché “esse sono state arrestate allo scopo di essere trattenute e non di essere trasferite[14]La condotta criminosa si perfeziona infatti solo quando ad essere violato sia lo specifico interesse giuridico tutelato: il diritto degli individui di vivere nello Stato in cui sono legalmente residenti.

L’OTP ha concluso che, nella situazione attuale, sulla base delle informazioni disponibili, non sembra che la condotta dei funzionari cinesi coinvolti nel rimpatrio forzato integri il reato di deportazione. Infatti, anche se il comportamento di tali funzionari può essere stato prodromico alla successiva – presunta – commissione di crimini sul territorio cinese, sulla quale la Corte non ha giurisdizione, la condotta verificatasi nel territorio degli Stati parti non sembrerebbe sufficiente a integrare di per sé nemmeno un elemento del crimine, tale da giustificare l’instaurazione della giurisdizione della Corte.

Infine, l’Ufficio della Procura ha confermato di aver ricevuto una richiesta di riesame ai sensi dell’articolo 15, § 6, dello Statuto [15] sulla base di nuovi fatti o prove, e che questa deve ancora essere presa in considerazione. Bisognerà pertanto attendere gli sviluppi successivi e una eventuale pronuncia della Corte stessa.

Ad opinione di chi scrive, la posizione della CPI, infatti, si presenta quantomeno ambigua. Nel caso del Bangladesh e del Myanmar, i giudici avevano dedicato parte della loro analisi all’affermazione della personalità internazionale oggettiva della Corte stessa, la quale prescinderebbe dalla soggettività riconosciutale effettivamente dagli Stati membri. La CPI aveva posto alla base di questa presa di posizione il potere che le sarebbe riconosciuto di perseguire i gravi crimini internazionali, in cooperazione con tutti gli Stati, apparentemente al di là di ogni previsione di diritto internazionale dei trattati, e in particolare del principio della inefficacia dei trattati rispetto ai terzi (pacta tertiis nec nocent nec prosunt)[16]. Ci si augura, pertanto, una futura chiarificazione da parte della Corte Penale Internazionale riguardo alla natura qualitativa e quantitativa degli elementi minimi che debbono realizzarsi perché la giurisdizione della Corte s’instauri nel territorio di Stati non firmatari dello Statuto, alla luce delle conseguenze che quest’instaurazione può portare sulla percezione del potere autoritativo della Corte stessa all’interno della comunità internazionale.

 

[1] Report on Preliminary Examination Activities, Office of the Prosecutor, International Criminal Court, 14 dicembre 2020, paras 70-76.

[2] Comunicato stampa, ETGE, 6 luglio 2020 (https://east-turkistan.net/press-release-uyghur-genocide-and-crimes-against-humanity-credible-evidence-submitted-to-icc-for-the-first-time-asking-for-investigation-of-chinese-officials/).

[3] Report on Preliminary Examination Activities, Office of the Prosecutor, International Criminal Court, 14 dicembre 2020, para. 73.

[4] Amnesty International, briefing, “China: Where are they? – Time for answers about mass detentions in the Xinjiang Uighur Autonomous Region”, 2018 ).

[5] La situazione nello Xinjiang è intrinsecamente legata alle politiche economiche della nuova Belt & Road Initiative. Il problema affonda le sue radici nel crollo dell’Unione Sovietica. Per un approfondimento vedi G. Sciorati, “Cina: la questione uigura nello Xinjiang”, ottobre 2020, disponibile qui: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/cina-la-questione-uigura-nello-xinjiang-23987.

[6] A. Ramzy e C. Buckley, “‘Absolutely No Mercy’: Leaked Files Expose How China Organized Mass Detentions of Muslims”, in The New York Times, novembre 2019 (https://www.nytimes.com/interactive/2019/11/16/world/asia/china-xinjiang-documents.html).

[7] B. Allen-Ebrahimian, “Exposed: China’s Operating Manuals for Mass Internment and Arrest by Algorithm”, in International Consortium of Investigative Journalists, novembre 2019 (https://www.icij.org/investigations/china-cables/exposed-chinas-operating-manuals-for-mass-internment-and-arrest-by-algorithm/).

[8] Human Rights Watch, rapporto, “‘Eradicating Ideological Viruses’: China’s Campaign of Repression Against Xinjiang’s Muslim, 2018 (https://www.hrw.org/node/322139).

[9] Art. 6, Statuto di Roma: “Ai fini del presente Statuto, per crimine di genocidio s’intende uno dei seguenti atti commessi nell’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, e precisamente: a) uccidere membri del gruppo; b) cagionare gravi lesioni all’integrità fisica o psichica di persone appartenenti al gruppo; c) sottoporre deliberatamente persone appartenenti al gruppo a condizioni di vita tali da comportare la distruzione fisica, totale o parziale, del gruppo stesso; d) imporre misure volte ad impedire le nascite in seno al gruppo; e) trasferire con la forza bambini appartenenti al gruppo ad un gruppo diverso”.

Art. 7, Statuto di Roma: “Ai fini del presente Statuto, per crimine contro l’umanità s’intende uno degli atti di seguito elencati, se commesso nell’ambito di un esteso o sistematico attacco contro popolazioni civili, e con la consapevolezza dell’attacco: a) omicidio; b) sterminio; c) riduzione in schiavitù; d) deportazione o trasferimento forzato della popolazione; e) imprigionamento o altre gravi forme di privazione della libertà personale in violazione di norme fondamentali di diritto internazionale; f) tortura; g) stupro, schiavitù sessuale, prostituzione forzata, gravidanza forzata, sterilizzazione forzata e altre forme di violenza sessuale di analoga gravità; h) persecuzione contro un gruppo o una collettività dotati di propria identità, […]; i) sparizione forzata delle persone; j) apartheid; k) altri atti inumani di analogo carattere diretti a provocare intenzionalmente grandi sofferenze o gravi danni all’integrità fisica o alla salute fisica o mentale”.

[10] Dati confermati da Amnesty International, in un rapporto del febbraio 2020, “Nowhere feels safe” (https://www.amnesty.org/en/latest/research/2020/02/china-uyghurs-abroad-living-in-fear/).

[11] I Rohingya sono un gruppo etnico di religione islamica del Myanmar vittima di una devastante operazione di pulizia etnica che ha causato l’esodo di oltre 740.000 persone in Bangladesh.

[12] E. Oberto, “La deportazione del popolo Rohingya e la competenza della Corte Penale Internazionale”, ottobre 2018, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/la-deportazione-del-popolo-rohingya-e-la-competenza-della-corte-penale-internazionale-12932.

[13] Report on Preliminary Examination Activities, Office of the Prosecutor, International Criminal Court, 14 dicembre 2020, para. 74.

[14] Tribunale Penale per l’Ex-Iugoslavia, Prosecutor v. Naletilić et al., Trial Judgment, IT-98-34-T, 31 marzo 2003, paras. 535-537.

[15] Art. 15(6), Statuto di Roma: “Se dopo la valutazione preliminare di cui ai paragrafi 1 e 2, il Procuratore conclude che le informazioni fornite non giustificano l’inizio delle indagini, ne informa coloro che le hanno fornite. Ciò non preclude al Procuratore la possibilità la facoltà di prendere in esame, alla luce di fatti o elementi di prova nuovi, ulteriori informazioni a lui eventualmente sottoposte relative alla stessa situazione”.

[16] Art. 34, Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.

Fonte immagine: www.internazionale.it

Giorgia Pane

Giorgia Pane, 24 anni. Laureata cum laude presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Napoli "Federico II", con tesi in Diritto internazionale ("Genocidio e Convenzione europea dei diritti dell'uomo"). Attualmente svolge pratica forense in ambito penale. Impegnata nel campo dei diritti umani, è l'attuale Responsabile del Gruppo Napoli di Amnesty International.

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