venerdì, Marzo 29, 2024
Fashion Law Influencer Marketing

Il potere della condivisione: tra diritto e best practice

Il 4 giugno 2020 si è tenuto il webinar organizzato da Ius in Itinere su “Il potere della condivisione: tra diritto e best practices”[1] con l’Avv. Jacopo Ciani (Università di Torino), l’Avv. Maddalena Valli (Studio legale Legalitax) ed il Dott. Simone Panzeri (Feel Studio). Nel corso del webinar i relatori hanno affrontato il tema della comunicazione commerciale a mezzo social network prima e durante il Covid, delle problematiche giuridiche legate alle campagne solidali (in particolare quella promossa da Chiara Ferragni e Fedez), del paradosso dell’online community e social distancing, del distanziamento sociale imposto dai Governi e dell’utilizzo, sempre più frequente, dei social come forma di aggregazione e molto altro. Di seguito la trascrizione degli interventi[1].

Avv. Jacopo Ciani – Università degli Studi di Torino

L’influencer marketing, in realtà, è un tema radicato nel tempo: i primi risvolti normativi risalgono al 2016 con l’istituzione della Digital Chart. La crisi pandemica del 2020 ha, però, esaltato l’influencer marketing e ha, di conseguenza, spostato l’attenzione verso problematiche giuridiche che il giurista tradizionale non ha mai preso seriamente in considerazione. L’interesse del giurista, difatti, è sempre ricaduto sugli obblighi di trasparenza della comunicazione pubblicitaria; nel caso dell’IM ci troviamo dinanzi ad una pubblicità che per sua natura si presenta come ambigua, che confonde l’interlocutore, infatti, appare come un messaggio assolutamente spontaneo da parte dell’Influencer quando invece si tratta di un messaggio che nasconde un rapporto di committenza.

Durante la crisi sono emerse alcune problematiche giuridiche inattese: in particolare, l’influencer si chiedeva se fosse possibile sfruttare, attraverso i propri canali pubblicitari – tra cui i propri account social -, la paura che caratterizzava l’utente, nel periodo della restrizione casalinga, per addivenire a delle scelte di acquisto che apparivano – quantomeno – ingannevoli. Dunque, in un periodo come quello del Covid, la pubblicità ha subìto un significativo trend negativo, apportando un totale azzeramento della pubblicità di affissione – in quanto non era possibile lasciare la propria abitazione – e contestualmente si è avuto un calo generale della pubblicità che ha riguardato – anche e soprattutto –  i media digitali. Nonostante gli effetti negativi abbiano coinvolto il mondo pubblicitario, si è registrato un incremento dell’utilizzo dei social quasi del 70%. Tuttavia, è chiaro che la pubblicità “casalinga”, ossia quella che consentiva di raggiungere l’utente nelle proprie case, era l’unico mezzo efficace per arrivare all’interlocutore.

Ricapitolando, in questo periodo di crisi, è cambiato il modo di fare pubblicità e si è scelto di ricorrere all’Influencer marketing. Si tratta di una pubblicità  diversa da quella a cui eravamo abituati sino allo scorso anno: si pensi alla pubblicità di alcuni prodotti, come, ad esempio, le pubblicità di basso standing, che sono diventate di assoluta necessità nel momento della pandemia; si pensi, poi, agli strumenti medici o paramedici come le mascherine, i gel igienizzanti, i test diagnostici per il Covid e tutti i prodotti che, in quel momento, di fronte alla chiusura della distribuzione generalizzata, invece, avevano una fetta importante del mercato.

Ci si domanda, dunque, quali siano le questioni giuridiche che il legale esperto nelle questioni digital – in questo caso proprio l’Avv. Ciani – si è trovato ad analizzare in riferimento a questo nuovo modo di fare pubblicità. In via principale, il legale si è sempre occupato degli effetti delle reazioni che le Autorità di Vigilanza, in particolare l’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato e l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, hanno posto in essere al fine di rimediare alla pubblicità ingannevole o aggressiva che sfruttasse il tema del Covid – a titolo meramente esemplificativo si pensi ad alcuni farmaci che, in base a quanto stabilito dai media, aggirano i consumatori illudendoli che quel farmaco sia capace di sconfiggere il coronavirus.

L’Agcm è intervenuta sulla questione della pubblicità ingannevole a mezzo social per la prima volta il 27 febbraio 2019, nel famoso caso AEFFE- ALITALIA. Al fine di redimere la controversia in atto, l’Agcm ha emesso un provvedimento cautelare, ovvero l’inibitoria – prevista dall’articolo 27 comma 3 del Codice del consumo – con la quale è stato posto il veto di proporre talune pratiche commerciali considerate scorrette inaudita altera parte, da cui ne è derivata la tendenza di oscurare il sito web sul quale è stata svolta la pubblicità, dando, contestualmente, all’inserzionista la possibilità di svolgere delle azioni difensive. A seconda dell’azione difensiva dell’inserzionista, l’Autorità decide o di confermare la condanna o di accettare gli impegni assunti dal professionista – impegni che naturalmente nella maggior parte delle ipotesi andavano nella direzione di una mera conferma volontaria del provvedimento adottato dall’Autorità – che, anche in questo caso, si è avvalsa del Nucleo Antitrust della Guardia di Finanza al fine di oscurare i siti web che contenevano le pubblicità ingannevoli.

Nel 2016 l’introduzione della Digital Chart, da parte dell’Istituto di Autodisciplina pubblicitaria, diventata successivamente Regolamento grazie anche al rinvio che l’articolo 7 della Digital Chart – che contiene l’obbligo di trasparenza – fa al regolamento stesso. In origine, la Digital Chart non aveva natura vincolante ma grazie al suddetto richiamo l’ha acquisita  l’ha acquisita tramite il richiamo del codice.

E’ scienza comune che l’obbligo di trasparenza della comunicazione pubblicitaria è, appunto, un obbligo di fatto trasversale del Corpus normativo; il decreto Romani sui servizi media audiovisivi ne parla sia in generale che con riferimento al product placement; il codice del consumo anche, per cui non c’è stata una necessità da parte del legislatore di mettere mano alla normativa per ottenere la possibilità di sanzionare la pubblicità occulta o ingannevole. E’ stata, invece, molto importante l’evoluzione della reazione da parte delle autorità di controllo e del Giurì di entrambe le autorità che si sono rivolte in primo luogo all’inserzionista, individuato come soggetto più importante da sensibilizzare rispetto alla problematica. Questo perché l’inserzionista, tramite il potere di vincolare contrattualmente l’influencer o l’agenzia responsabile della gestione del processo del Management,  aveva la possibilità di utilizzare lo strumento contrattuale per, a sua volta, porre degli obblighi normativi sull’influencer stesso: si pensi alla presenza di clausole risolutive espresse, alla presenza di clausole penali che in caso di mancata veicolazione della natura pubblicitaria del post o del video provocavano l’inadempimento contrattuale da parte dell’Influencer e di chiamare una responsabilità davanti all’autorità giudiziaria. Le autorità hanno, dunque compreso, l’importanza immediata di puntare sull’inserzionista. Questa necessità era obbligata poichè mentre l’inserzionista naturalmente era vincolato in forza dell’obbligo associativo all’istituto di autodisciplina pubblicitaria, così non è stato a lungo per l’influencer per il quale si è dovuto attendere un secondo step, ossia l’avvicinamento delle autorità alla sensibilizzazione degli influencers per ottenere l’adesione degli stessi al codice di autodisciplina, grazie all’esempio di Chiara Ferragni che è stata la prima per l’appunto ad aderire alla Digital Chart.

Già prima il Giurì, nel 2018, si era pronunciato sul caso Fedez Peugeot in cui il primo, recandosi agli Internazionali di tennis di Roma aveva fatto un video in cui venivano rappresentate auto della suddetta azienda automobilistica e con una pubblicità abbastanza ambigua aveva sottolineato i prezzi delle vetture, ma era francamente difficile, dal messaggio veicolato da Fedez, comprendere se si trattasse di un rapporto di committenza o meno. Il problema nel caso sottoposto alla nostra attenzione, era che il Giurì aveva dovuto abdicare alla propria giurisdizione nei confronti dell’agenzia responsabile della gestione dell’Influencer. Infatti, a titolo diretto il Giurì ha riconosciuto che l’inserzionista aveva omesso il controllo sulla comunicazione effettuata dall’influencer; a titolo indiretto poi di responsabilità oggettiva il Giurì applicato le norme dell’ordinamento statuale che prevedono la responsabilità oggettiva appunto per il fatto dell’ausiliario, quindi Fedez è stato considerato un ausiliario di inserzionista quest’ultimo direttamente responsabile per il fatto commesso dall’influencer. Il caso in essere aveva risolto, quindi, il problema dell’imputazione dell’inserzionista, dandogli la possibilità di coinvolgerlo direttamente tramite la sottoscrizione dell’accordo soggettivo il quale è fondamentale in futuro consentirà di poter condannare direttamente l’influencer in caso di adempimento. Di recente, negli Stati Uniti d’America è stata condannata con una sanzione pecuniaria sostanziosa Kendall Jenner con 90.000 dollari di sanzione – circa €82000 o €82000 – per non aver comunicato la natura pubblicitaria di un post in cui sponsorizzava un festival a cui avrebbe dovuto suonare la sorella Kim Kardashian. Anche la risposta delle autorità è stata importante per il mondo dell’Influencer marketing, concentratasi prima sull’inserzionista e poi sull’influencer, però rimane una zona grigia ove non è chiaro se si viene a creare il rapporto di committenza ed è anche molto difficile, nonostante i poteri ispettivi dell’autorità garante, procurarsi la prova contrattuale del rapporto di committenza tra inserzionista e influencer.

Ultimo segnale positivo e anche primo caso giudiziario davanti ad un tribunale ordinario – nello specifico il Tribunale di Milano – ha risolto una vertenza contrattuale tra Elisabetta Canalis e il marchio Inibai: un contratto che prevedeva tra le varie opzioni anche la pubblicazione di 12 post: durante il loro rapporto contrattuale, le parti non sono andate più d’accordo e il  marchio ha chiesto la risoluzione del contratto quando mancavano ormai solo tre mesi alla chiusura del contratto. Il tribunale ha ritenuto illegittima la risoluzione contrattuale in quanto mancava il requisito della gravità dell’inadempimento: sappiamo che secondo la norma dell’articolo 55 del codice civile la risoluzione può essere dichiarata solo in caso di un inadempimento di grave importanza. In questo caso mancavano solo sei post e l’autorità ha ritenuto non c’erano gli estremi per dichiarare l’inadempimento e che il contratto si è sciolto per mutuo dissenso cioè per la comune volontà delle parti di chiuderlo e ha dovuto liquidare i compensi spettanti ad Elisabetta Canalis per questi sei post non pubblicati ma neanche pagati dal marchio: è interessante la liquidazione del danno che è stata di €12.000 per 6 post quindi circa €2.000 a post a fronte di un contratto del valore di circa €120.000.

Avv. Maddalena Valli – Studio Legale Legalitax

Il potere della condivisione è sicuramente enorme ma è stato altrettanto importante, in questo periodo, il controllo da parte delle Autorità sul mondo digital e nella comunicazione digitale. Questo non soltanto rispetto a delle pubblicità che potevano effettivamente essere fuorvianti e pericolose per i consumatori – si pensi ai farmaci che fintamente potevano convincere di aver trovato un rimedio al Covid-19. L’attenzione, però, si è posta rispetto a campagne come quella dei Ferragnez che si ponevano obiettivi lodevoli ed importanti, ossia la raccolta fondi per la costituzione ex novo di sale di terapia intensiva degli ospedali, a sostegno, quindi, di tutta l’attività sanitaria per combattere il Covid. Anche in questo caso, il potere della condivisione è stato evidente ed enorme, sono stati raccolti oltre 4 milioni di euro in pochi giorni, ivi si evince l’importanza dell’influenza del mondo digital da parte di alcuni soggetti operatori come Chiara Ferragni e suo marito Fedez. Dall’altra parte, però, l’Autorità Garante ha voluto verificare tale situazione ed è intervenuta con uno dei provvedimenti cautelari, ex art. 27 co. 3 Codice del Consumo, volto all’analisi circa le modalità e l’utilizzo della piattaforma GoFoundMe.com, la piattaforma utilizzata per raccogliere fondi durante la pandemia. Nonostante venisse indicato che la donazione fosse gratuita e che non vi fossero vantaggi da parte di terzi soggetti rispetto alla donazione che veniva effettuata, le impostazioni della piattaforma prevedevano una modalità preimpostata di default – che poteva essere anche eliminata  andando a fare un intervento sulla piattaforma – riguardo alla provvigione di commissioni che rimaneva alla piattaforma a seguito delle donazioni. Tale metodologia è stata ritenuta non corretta dall’Autorità Garante, la quale ha ritenuto che potesse ingenerare della confusione nei confronti dei consumatori rispetto alla modalità di svolgimento. Per tali ragioni si è chiesto un intervento immediato affinchè venissero rettificate le modalità di acquisizione della piattaforma e, in particolare, si è intervenuti sull’opzione, preimpostata, del 10% della donazione.

Questo caso ci deve far riflettere su due aspetti importanti.

Qualsiasi operazione, non solo di marketing sul prodotto, deve essere valutata attentamente sotto tutti gli aspetti connessi alle modalità di comunicazione e alle conseguenze reputazionali: nel caso di specie, la problematica, affine alle modalità della piattaforma e alle modalità operative poco chiare, è ricaduta sugli influencers e sulla loro immagine. Il potere della condivisione, quindi, comporta dei rischi anche per i soggetti che vi operano. Ogni qualvolta si accede ad un social network è indispensabile valutare una serie di normative, complesse, non coordinate tra di loro. Nel caso della donazione è necessario sottolineare l’esistenza di un articolo del codice civile il quale prevede che quando una donazione non sia di modico valore è necessario un atto pubblico a pena di nullità, se non fosse stata utilizzata la piattaforma come quella di GoFoundMe, ma fosse stato utilizzato un metodo diverso di donazione attraverso un brand, allora la donazione avrebbe dovuto tenere modalità conformi alla normativa civilistica. Altro caso di fondamentale importanza è il provvedimento dell’ Agcm avverso la pubblicità Barilla, in relazione al prodotto Pan di Stelle, seppur slegata dal periodo Covid. L’approfondimento di tale fattispecie è indispensabile al fine di comprendere quali cautele bisogna prendere in considerazione quando si tende ad ingaggiare un’agenzia o direttamente un influencer rispetto alla necessità che vengano indicizzate, nel modo corretto, le comunicazioni commerciali che abbiano un fine pubblicitario.Il caso di specie si riferisce al lancio del prodotto Pan di Stelle, ad opera di micro influencers, non correttamente indicizzato. In questo caso, non si è arrivati ad una sanzione vera e propria, ma l’Autorità Garante ha accolto gli impegni proposti da Barilla e influncers che avevano dichiarato di voler assumere al fine di rettificare il proprio operato. Tali impegni sarebbero alla base di una politica di gestione interna di una comunicazione digital che tutte le agenzie devono prendere in considerazione. Dovrebbero, pertanto, essere redatte delle linee guida condivise con organi apicali legali delle aziende che analizzano ed indicano in modo corretto le modalità di comunicazioni verso il pubblico. Devono essere contrattualizzati, con delle clausure specifiche, i rapporti con gli influencer, prevedendo anche  l’ipotesi sanzionatoria nel caso di mancato rispetto, da parte dell’influencer, della indicizzazione della pubblicità. Tali clausole devono essere prese in considerazione anche nei confronti dell’agenzia, ossia quando il rapporto di commmittenza è nei confronti della web agency: tali clausole devono essere assunte dall’agenzia nei contratti dell’influencer, ma è necessario che nel contratto, stipulato con il titolare del brand, l’agenzia si assuma l’impegno di monitorare l’operato dell’influencer, stabilendo ex ante le conseguenze di tipo sanzionatorio. Durante il Covid, dove il potere della condivisione era all’ennesima potenza, è estremamente aumentato il potere dell’influencer. A margine di questa riflessione, ci si pone un ulteriore interrogativo circa i post che non sono propriamente commissionati, ovvero quei post dove c’è un ritorno da parte degli influencer, non necessariamente in termini economici o di regalo o fornitura, ma di immagine, quando, in realtà, il post non è scevro da qualsiasi condizionamento: l’influencer così facendo attira l’attenzione del brand per una ricondivisione da parte di quest’ultimo e avere visibilità. Ma in queste circostanze, dinanzi ad un contenuto pubblicitario celato dietro un’apparente spontaneità, in assenza di rapporto contrattuale tra titolare o agenzia la condivisione di questo comporta o meno una problematica in termine di pubblicità occulta? La risposta potrebbe essere affermativa. Bisognerebbe valutare tali casi e, seppure in assenza di rapporto di committenza, la condivisione potrebbe celare un messaggio occulto, i titolari del brand dovrebbero assumere delle direttive tenendo conto di questo aspetto.

Dott. Panzeri – Feel Studio (Venicemesh)

Gli influencers da un lato e, specularmente, le agenzie e le aziende dall’altro, hanno gestito la nuova realtà imposta dal lockdown. Brands e influencers si siano dovuti adattare alle nuove esigenze ed ai nuovi stili comunicativi imposti dalla pandemia. I primi giorni in cui i governi mondiali hanno dichiarato lo stato di quarantena, le agenzie si sono ritrovate a dover richiamare dalle varie Fashion weeks gli influencers. In seguito, è stato necessario reiventarsi. Il problema, che gli operatori digitali si sono trovati a dover fronteggiare, è stato il social distancing. Tale misura restrittiva da un lato, ha comportato un distanziamento fisico ma, dall’altro, si sia risolto in un riavvicinamento e in un nuovo paradigma di utilizzo dei social media come strumenti comunicativi. Questo nuovo modo di utilizzare i canali comunicativi digitali, in realtà, è stato possibile grazie all’apertura che, già da qualche anno, i brands e gli utenti, avevano predisposto: il marchio e il brand, per tutto il XXI secolo, non sono solo simboli aziendali ma si sono invece qualificati come simboli di uno status personale, bandiere sotto cui si costituisce una clientela che, logicamente, si trasforma in comunità. L’effetto della pandemia è stato quello accelerare e radicare un simile processo determinando altresì la necessità per gli influencers di reinventarsi alla luce della nuova quotidianità imposta dallo stato di quarantena.

Gli influencers, così, sono stati capaci di adeguarsi ai nuovi ritmi e ai nuovi luoghi che tutti siamo stati costretti a vivere negli ultimi mesi, mostrandosi, in un certo modo, più reali e più semplici e mostrandoci una realtà meno patinata e più umana. Un simile panorama si tradotto e si tradurrà in nuove occasioni, in nuovi format e in nuovi modelli comunicativi come già è avvenuto, in questi mesi, con la diretta, fino a ieri ignorata da tutti, che durante il periodo di distanziamento sociale ha invece spopolato. Gli influences si sono mostrati non più come vip, ma come persone allarmate ed inibite dal virus e dalle sue conseguenze e, pertanto, non di rado diversi personaggi noti e diversi brands si sono mostrati vicini a cause sociali e meno mondane dando il via a progetti di charity ed altre iniziative di utilità sociale. Se quanto appena esposto è stata la realtà che hanno dovuto affrontare i brands e gli influencers, dall’altro lato anche le agenzie di comunicazione si sono ritrovate a fare i conti con la pandemia. In particolare, queste, per prime, sono state chiamate a dover consigliare i brands sulle strategie di marketing e comunicative da adottare durante il lock-down. Data la straordinarietà delle circostanze, i suggerimenti, piuttosto che risolversi in puntuali direttive, si sono limitati al consiglio di non fermare la pubblicizzazione onde evitare ripercussioni sul lungo periodo. Oggi, in questa seconda fase di convivenza con il virus, rimangono aperti alcuni quesiti per il settore della moda. Tra questi, quello che solleva maggiori dubbi, riguarda gli eventi: è necessario per le agenzie e gli uffici stampa trovare un surrogato degli eventi fisici tra le nuove piattaforme e le nuove realtà digitali disponibili.

Si tornerà alla realtà e alla normalità pre-covid? Sicuramente, seppur non in tempi brevi, sarà nuovamente possibile organizzare e partecipare ad incontri ed eventi fisici ma, la realtà di domani, sarà una realtà ancor più impregnata e ancor più orientata verso quella digital trasformation di cui si tanto parlato nell’ultimo decennio.

[1] Sul canale YouTube di Ius in itinere è possibile assistere alla versione integrale dell’incontro, disponibile qui:

[2] Trascrizione a cura di Maria Elena Orlandini, Marlene Raco e Rebecca Ricifari.

Per ulteriori approfondimenti in tema di digital marketing si leggano:

Marlene Raco, La Digital Chart: una prima regolamentazione dell’influencer marketing, Ius In Itinere, disponibile su https://www.iusinitinere.it/la-digital-chart-una-prima-regolamentazione-dellinfluencer-marketing-27135

Sara Barco, Il contratto di influencer marketing: profili civilistici tra brand e influencer, Ius In Itinere, disponibile su https://www.iusinitinere.it/il-contratto-di-influencer-marketing-profili-civilisti-del-rapporto-tra-brand-ed-influencer-27972

Maria Elena Orlandini

Avvocato, finalista della II edizione della 4cLegal Academy, responsabile dell'area Fashion Law e vice responsabile dell'area di Diritto Penale di Ius in itinere. Maria Elena Orlandini nasce a Napoli il 2 Luglio 1993. Grazie all’esperienza di suo padre, fin da piccola si appassiona a tutto ciò che riguarda il diritto penale, così, conseguita la maturità scientifica, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza presso l'Università degli Studi del Sannio. Si laurea con 110 e lode il 20 Marzo 2018 con una tesi dal titolo "Mass Media e criminalità" seguita dai Proff. Carlo Longobardo e Prof. Felice Casucci, in cui approfondisce il modus attraverso il quale i social media e la tv siano in grado di mutare la percezione del crimine nella società. Nel 2019 ha conseguito con il massimo dei voti il Master di II livello in Giurista Internazionale d'Impresa presso l'Università degli Studi di Padova - sede di Treviso, specializzandosi in diritto penale dell'economia, con una tesi dal titolo "Il reato di bancarotta e le misure premiali previste dal nuovo Codice della Crisi di Impresa", sotto la supervisione del Prof. Rocco Alagna. Nel giugno 2020 ha superato il corso di diritto penale dell'economia tenuto dal Prof. Adelmo Manna, professore ordinario presso l'Università degli Studi di Foggia, già componente della commissione che ha varato il d.lgs. 231/2001. All'età di 27 anni consegue l'abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte d'Appello di Venezia. Dal 2019 segue plurimi progetti legati al Fashion Law e alla proprietà intellettuale, prediligendone gli aspetti digital in tema di Influencer Marketing. Nel 2020 viene selezionata tra i cinque giovani talenti del mercato legale e partecipa alla seconda edizione della 4cLegal Academy, legal talent organizzato dalla 4cLegal, visibile sul canale BFC di Forbes Italia, su Sky. Nel 2022 si iscrive al corso di aggiornamento professionale in Fashion Law organizzato dall'Università degli Studi di Firenze. Passione, curiosità, empatia, capacità di visione e self control costituiscono i suoi punti di forza. Collabora per le aree di Diritto Penale e Fashion Law & Influencer marketing di Ius in itinere. email: mariaelena.orlandini@iusinitinere.it

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