Il prezzo di indossare un’opera d’arte: gli Uffizi fanno causa a Jean Paul Gaultier
È recente la notizia[1] che le Gallerie degli Uffizi, il famoso museo statale di Firenze, hanno avviato un’azione legale contro la casa di moda francese Jean Paul Gaultier[2] per uso inappropriato del quadro “Nascita di Venere” che si trova nelle proprie sale. La tela, datata 1485, venne dipinta da Sandro Botticelli (Firenze 1445-1510) e raffigura l’approdo sull’isola di Cipro della dea dell’amore e della bellezza, nata dalla spuma del mare e sospinta dai venti[3].
Nell’aprile del 2022 sugli account social della maison sono apparsi dei post in cui veniva annunciata l’uscita della nuova collezione ready-to-wear “Le Musée”, definita come un tributo all’arte per celebrare le bellezze di ogni tempo[4]. La collezione comprende pantaloni, gonne, abiti e maglie raffiguranti diverse opere d’arte, tra le quali la “Creazione di Adamo”, affresco di Michelangelo Buonarroti facente parte della Cappella Sistina, nei Musei Vaticani a Roma, “Le tre Grazie”, dipinto di Pieter Paul Rubens conservato nel Museo del Prado di Madrid e, infine, proprio la “Nascita di Venere” di Botticelli. Le rappresentazioni delle opere citate sono l’elemento caratterizzante e inconfondibile della collezione, incentrata totalmente sul raffigurare quadri e affreschi ad una grandezza tale da coprire l’intero capo di abbigliamento.
Ad oggi, è noto che soltanto il museo di Firenze ha reagito, inviando alla maison francese una lettera di diffida intimandole di ritirare dal mercato i capi con l’immagine della Venere o, in alternativa, di mettersi in contatto con il museo per stipulare un accordo commerciale sull’uso di tale immagine. Dato che la lettera è stata ignorata, le Gallerie hanno deciso di agire in giudizio per ottenere non solo il ritiro degli abiti ma anche il risarcimento del danno.
L’azione giudiziaria è basata su quanto previsto dagli articoli 107[5] e 108[6] del decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004, il cosiddetto Codice dei beni culturali e del paesaggio, che disciplinano l’uso delle immagini di beni culturali di proprietà pubblica italiana, al fine di rendere economicamente vantaggioso qualsiasi utilizzo dell’immagine di un’opera d’arte il cui proprietario è lo Stato italiano. Nello specifico, l’autorità che ha in consegna i beni pubblici può concedere il diritto di riprodurli, stabilendo il canone dovuto tenendo presente i mezzi e le modalità delle riproduzioni, il tipo e il tempo d’uso, nonchè la destinazione finale e gli eventuali benefici economici per il concessionario. In assenza di un apposito accordo, l’utilizzo è illegittimo e può giustificare non solo l’obbligo di porvi fine, ma anche il diritto di ottenere un risarcimento del danno. È opportuno chiarire che non è vietato in assoluto utilizzare le immagini riprodotte di opere d’arte conservate nei musei statali, ma è necessario trovare preventivamente un’intesa con il museo stesso che preveda il versamento di una certa somma di denaro.
La disciplina ora esposta non deve stupire, se si pensa che è perfino la Carta costituzionale che, al secondo comma dell’articolo 9[7], riconosce alla Repubblica il compito di tutelare il patrimonio storico e artistico della Nazione. La norma è fondamentale non solo perché l’Italia è un paese ricco di opere d’arte, ma anche perché queste sono un vero e proprio patrimonio economico. Infatti, costituiscono un importante incentivo per il mercato del turismo interno e internazionale: i musei staccano i biglietti d’ingresso a turisti paganti affinché questi possano anche solamente osservare, spesso senza poter fotografare, i quadri, gli arazzi o le sculture presenti al loro interno. Tutelare l’immagine e l’uso che di essa se ne fa è quindi fondamentale per poter garantire il sostentamento del museo o del luogo in cui si trova.
È proprio in attuazione di questa previsione costituzionale, stando al contenuto del primo articolo del Codice dei beni culturali[8], che è stato emanato il d. lgs. 42/2004. Il codice è diviso in tre parti: la prima prevede delle disposizioni comuni sia ai beni culturali che a quelli paesaggistici, la seconda parte è dedicata esclusivamente alla regolamentazione dei primi, mentre la terza parte si occupa solo dei secondi. Per quanto riguarda i beni culturali, l’art. 2, comma secondo, li definisce come le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà, mentre l’art. 3 chiarisce che la tutela consiste nell’individuazione dei beni costituenti patrimonio culturale e nella garanzia di protezione e conservazione per fini di pubblica fruizione, operando anche attraverso provvedimenti volti a conformare e regolare diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale[9]. Il decreto contiene inoltre apposite previsioni in ordine alla protezione e conservazione dei beni culturali, alla loro circolazione, alla loro fruizione e utilizzo quali beni sostanzialmente economici; la fonte normativa, quindi, tra gli altri, ha lo scopo di stabilire le modalità di utilizzo pubblico ma anche privato delle immagini di beni di proprietà statale, in modo che ciò sia consono alla natura artistica dell’opera e che sia anche economicamente vantaggiosa per lo Stato.
In questo senso si è espresso di recente anche il Tribunale di Firenze, ricordando come “l’utilizzo dell’immagine di un bene culturale da parte di una azienda deve essere ritenuto idoneo a svilire l’immagine del bene facendolo scadere ad elemento distintivo delle qualità dell’impresa che, attraverso il suo uso, promuove la propria immagine, con uso indiscutibilmente commerciale, che potrebbe altresì indurre terzi a ritenere lecito o tollerato siffatto libero utilizzo”, e aggiungendo anche come il danno all’immagine dell’opera pubblica sia un danno anche immateriale al bene culturale per il suo valore collettivo[10]. In altre parole, ogni uso che di un’opera d’arte viene effettuato deve essere rispettoso della natura culturale dell’opera stessa, qualunque essa sia, e non ne può minare l’importanza anche sociale che riveste.
È plausibile che Jean Paul Gaultier, usando senza alcun preventivo accordo con le Gallerie degli Uffizi le riproduzioni della Venere di Botticelli, abbia violato la disciplina del Codice dei beni culturali, traendo indubbio profitto, trattandosi di capi d’abbigliamento in vendita, dall’uso delle suddette immagini; inoltre, è discutibile se l’apposizione delle immagini di opere così rilevanti per il retaggio culturale italiano in capi di abbigliamento sia conforme alla natura del quadro. Sarà interessante capire come si porrà la casa di moda francese di fronte all’azione legale del museo: se, cioè, procederà con un accordo riparativo o se riterrà di difendersi in giudizio e, in quest’ultimo caso, ancora di maggior rilievo sarà approfondire quale posizione assumerà il tribunale adito.
[1] Sul punto si legga: https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/2022/10/10/gli-uffizi-contro-gaultier-per-abiti-con-la-venere-di-botticelli_adcf4d5e-50be-4313-b2f8-e0eafd05ac2e.html
[2] Il sito dell’azienda è raggiungibile al seguente link: https://www.jeanpaulgaultier.com/ww/en
[3] Maggiori informazioni in merito al dipinto sono contenute al seguente link: https://www.uffizi.it/opere/nascita-di-venere
[4] Il post su instagram al seguente link: https://www.instagram.com/p/CcFf-3Iowr9/
[5] Articolo 107
“1. Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono consentire la riproduzione nonché l’uso strumentale e precario dei beni culturali che abbiano in consegna, fatte salve le disposizioni di cui al comma 2 e quelle in materia di diritto d’autore.
2. E’ di regola vietata la riproduzione di beni culturali che consista nel trarre calchi, per contatto, dagli originali di sculture e di opere a rilievo in genere, di qualunque materiale tali beni siano fatti. Tale riproduzione è consentita solo in via eccezionale e nel rispetto delle modalità stabilite con apposito decreto ministeriale. Sono invece consentiti, previa autorizzazione del soprintendente, i calchi da copie degli originali già esistenti nonché quelli ottenuti con tecniche che escludano il contatto diretto con l’originale.”
[6] Articolo 108
“1. I canoni di concessione ed i corrispettivi connessi alle riproduzioni di beni culturali sono determinati dall’autorità che ha in consegna i beni tenendo anche conto:
a) del carattere delle attività cui si riferiscono le concessioni d’uso;
b) dei mezzi e delle modalità di esecuzione delle riproduzioni;
c) del tipo e del tempo di utilizzazione degli spazi e dei beni;
d) dell’uso e della destinazione delle riproduzioni, nonché dei benefici economici che ne derivano al richiedente.
2. I canoni e i corrispettivi sono corrisposti, di regola, in via anticipata.
3. Nessun canone è dovuto per le riproduzioni richieste o eseguite da privati per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione, purché attuate senza scopo di lucro. I richiedenti sono comunque tenuti al rimborso delle spese sostenute dall’amministrazione concedente.
3-bis. Sono in ogni caso libere le seguenti attività, svolte senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale:
1) la riproduzione di beni culturali diversi dai beni archivistici sottoposti a restrizioni di consultabilità ai sensi del capo III del presente titolo, attuata nel rispetto delle disposizioni che tutelano il diritto di autore e con modalità che non comportino alcun contatto fisico con il bene, né l’esposizione dello stesso a sorgenti luminose, né, all’interno degli istituti della cultura, l’uso di stativi o treppiedi;
2) la divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legittimamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte a scopo di lucro.
4. Nei casi in cui dall’attività in concessione possa derivare un pregiudizio ai beni culturali, l’autorità che ha in consegna i beni determina l’importo della cauzione, costituita anche mediante fideiussione bancaria o assicurativa. Per gli stessi motivi, la cauzione è dovuta anche nei casi di esenzione dal pagamento dei canoni e corrispettivi.
5. La cauzione è restituita quando sia stato accertato che i beni in concessione non hanno subito danni e le spese sostenute sono state rimborsate.
6. Gli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per l’uso e la riproduzione dei beni sono fissati con provvedimento dell’amministrazione concedente.”
[7] Testo normativo reperibile al seguente link: https://www.gazzettaufficiale.it/dettaglio/codici/costituzione
[8] Testo normativo reperibile al seguente link: https://www.gazzettaufficiale.it/dettaglio/codici/beniCulturali
[9] Testi normativi reperibili al seguente link: https://www.gazzettaufficiale.it/dettaglio/codici/beniCulturali
[10] Tribunale di Firenze, ordinanza, 11/04/2022
fonte immagine: uffizi.it
Si legga anche: Patalano, I nuovi reati presupposto inseriti nel d.lgs. n. 231/2001 nell’ambito dei delitti contro il patrimonio culturale, Ius in itinere
Avvocato del Foro di Treviso, collaboratrice dell’area di Fashion Law.
Linda Bano si laurea presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Padova con tesi in diritto costituzionale “Il fondamento costituzionale della repressione delle idee (neo)fasciste” e si diploma presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali all’Università degli Studi di Milano, durante la quale svolge un tirocinio presso la Procura Generale presso la Corte d’Appello di Milano.