venerdì, Aprile 19, 2024
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Il Procedimento di V.I.A.: disciplina e giurisprudenza

La sentenza del TAR Lazio e la risposta del Consiglio di Stato

La Valutazione di Impatto Ambientale riveste un ruolo importante in funzione del principio dello Sviluppo Sostenibile. Essa è uno strumento di governo del territorio, analizza ex ante gli impatti ambientali nelle risorse ambientali che le attività di sviluppo possono per applicare il principio  di prevenzione a quelle opere.
Si tratta di un vero e proprio procedimento amministrativo volto ad individuare, descrivere e valutare in modo appropriato, per ciascun caso particolare, gli effetti diretti ed indiretti di un progetto sulle matrici ambientali, nonché sul patrimonio culturale (Articolo 3 Direttiva CE 337/85).
La V.I.A. ha origini comunitarie, ma il legislatore italiano non ha esitato a darne una disciplina: prima con l’art. 6 della legge n. 349 del 1986 e poi con il codice dell’ambiente e le sue modificazioni, fino ad arrivare definitivamente alla disposizione di cui all’articolo 4 del D. Lgs n. 4 del 2008.
Tale valutazione può essere sia di competenza statale che regionale, a seconda del progetto sul quale va effettuata. Nel primo caso, i soggetti tenuti ad effettuarla sono il Ministero dell’ambiente e un’apposita Commissione (Commissione V.I.A.); nel secondo, il soggetto varia in base all’individuazione fatta dalla legge regionale.
Indubbiamente può essere utile fare ricorso a casi giurisprudenziali affinché la disciplina risulti più chiara. Tra l’altro, di recente, il Consiglio di Stato ha chiarito alcuni aspetti oggetto della trattazione.
Ci si riferisce al caso (sentenza n. 2107/2016 TAR Lazio, sede di Roma) che ha visto coinvolti il Comune di Meledugno e la Regione Puglia riguardo la costruzione di un gasdotto (denominato TAP: Trans Atlantic Pipeline). Le parti hanno adìto il T.A.R. Lazio chiedendo l’annullamento degli atti concernenti l’infrastruttura. I soggetti intervenuti sul versante opposto, ossia quelli i cui atti sono stati impugnati, sono il Ministero dell’Ambiente, il Consiglio dei Ministri e ovviamente la Commissione tenuta alla verifica dell’impatto ambientale VIA-VAS.
Le principali questioni esaminabili riguardavano:
a) la asserita illegittimità del provvedimento che aveva valutato positivamente l’impatto ambientale del progetto TAP;
b) la affermata applicabilità al terminale di ricezione del gasdotto della normativa “Seveso” di cui al D. Lgs. N. 334 del 1999;
c) la asserita erroneità della procedura utilizzata in ambito governativo per superare il dissenso espresso della Regione Puglia nell’ambito della procedura di autorizzazione unica previsto dagli articoli 52bis e ss. del D.P.R. n. 327 del 2001;
d) il prospettato vizio nell’allocazione dell’opera.
Sulla base del discorso relativo alla V.I.A., è importante analizzare la risposta del T.A.R. nella parte in cui si pronuncia sulla illegittimità della Valutazione dell’Impatto Ambientale, in quanto parziale e fondata su un progetto incompleto, ma la giurisprudenza che aveva stigmatizzato tali valutazioni “parziali” aveva quale obiettivo quello di evitare l’elusivo funzionamento dell’opera volto a sottolineare la stessa alla procedura di V.I.A. e tale elusiva condotta non era certamente stata perpetrata nel caso di specie, né costituiva obiettivo perseguito dalle amministrazioni procedenti, in quanto:
1) dal decreto impugnato (n. 223 del 2014) si evinceva che il progetto TAP era stato sottoposto ad un’approfondita valutazione dell’impatto ambientale (tra l’altro, conclusasi in senso favorevole dopo un esame riguardante anche una serie di tracciati alternativi);
2) anche il progetto di collegamento tra il gasdotto TAP e la rete nazionale di distribuzione gestita da SNAM era peraltro soggetto alla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale, per cui era esclusa la paventata eventualità che una parte del progetto (comunque necessaria per l’utilizzo del gasdotto TAP) potesse rimanere fuori dal perimetro di Valutazione di Impatto Ambientale.
Il TAR, esclusa la sussistenza del radicale vizio di incompletezza e parzialità con riguardo alla espletata Valutazione di Impatto Ambientale, ha scrutinato e respinto le connesse censure sulla incompatibilità della scelta localizzativa, deducendo che:
– con il provvedimento di V.I.A. viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico amministrativo;
– la scelta del sito dove allocare l’opera era rimessa alla lata discrezionalità dell’amministrazione.
Inoltre, era stato posto un problema alla applicabilità della normativa “Seveso” alla contestata opera del progetto TAP, in quanto sarebbe stato rispettoso del principio di precauzione procedere in ogni caso anche alla valutazione da essa imposta.
Il Giudice Regionale ha affermato che era da escludersi l’applicabilità della normativa “Seveso”. Ma soprattutto, aveva ritenuto legittima la scelta del sito ove allocare l’opera, in quanto essa rimane alla lata discrezionalità dell’amministrazione e non era ravvisabile nessuno sconfinamento da tale potere discrezionale.
Non soddisfatte della risposta del Giudice, le parti decidono di adìre il Consiglio di Stato.
Esso, venendo all’esame del merito delle doglianze proposte, (con continuo riferimento al discorso inerente alla V.I.A.), ritiene evidente che in ordine logico sia prioritario l’esame delle questioni volte a sostenere l’illegittimità “intrinseca” della positiva valutazione dell’impatto ambientale e dell’opera culminata nel decreto n. 233 dell’11 settembre 2014 reso dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) sulla scorta del parere tecnico.
In proposito, il Collegio afferma che non può disconoscersi che le valutazioni tecniche complesse rese in sede di V.I.A. sono censurabili per macroscopici vizi di irrazionalità in considerazione del fatto che le scelte dell’amministrazione, che devono essere fondati su criteri di misurazione oggettivi e su argomentazioni logiche, non si traducono in un mero e meccanico giudizio tecnico, in quanto la V.I.A., essendo finalizzata alla tutela preventiva dell’interesse pubblico, presenta profili particolarmente elevati di discrezionalità amministrativa, che sottraggono al sindacato giurisdizionale le scelte effettuate dall’amministrazione che non siano manifestamente illogiche e incongrue.
Indipendentemente dall’esito del giudizio, ciò che occorre sottolineare è tale affermazione del Consiglio di Stato per due ordini di ragioni:
1) per costante e condivisa giurisprudenza (si faccia riferimento alla sentenza del CdS, sez. VI del 23 febbraio 2009, n. 1049) non può essere ritenuto illegittimo il giudizio positivo di compatibilità ambientale subordinato all’ottemperanza di prescrizioni o condizioni, poiché una valutazione condizionata di impatto costituisce un giudizio allo stato degli atti integrato dell’indicazione preventiva degli elementi capaci di superare le ragioni del possibile dissenso, in ossequio al principio di economicità dell’azione amministrativa e di collaborazione tra i soggetti del procedimento;
2) per l’importanza del procedimento di V.I.A., sia per quanto riguarda la sua finalità di tutela dell’ambiente, sia in virtù dell’attività discrezionale riconosciuta all’amministrazione.
In particolar modo, si pone in rilievo come le parti, pur avendo effettuato impugnazioni diverse, hanno visto riunirsi i loro appelli. Essi, infatti, si legano mediante il c.d. “principio di precauzione”. Detto principio, di derivazione comunitaria, impone che “quando sussistono incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, possono essere adottate misure di protezione senza dover attendere che siano pienamente dimostrate l’effettiva esistenza e la gravità di tali rischi: il principio di precauzione può giustificare l’adozione, da parte del legislatore dell’Unione, di misure di protezione quand’anche permangano in proposito incertezze scientifiche”. La sintesi dei riuniti appelli porta alla considerazione che il principio di precauzione si lega in materia di tutela della salute ad un supposto deficit di istruttoria e per tal via si giunge ad ipotizzare l’assoluta inaffidabilità dei dati tecnici.
Il Consiglio di Stato osserva che le preoccupazioni in materia di implementazione dei rischi sulla salute umana sono sempre da scrutinare con particolare attenzione. Può apparire suggestivo l’argomento critico fondato sulla equazione che vede amplificarsi dei detti rischi legato all’incremento dell’attività industriale, invasiva dell’ambiente. Sennonché per garantire effettivamente l’attuazione del detto principio non è possibile prescindere dal dato tecnico e, insieme, ci si deve attestare su quest’ultimo, ove lo stesso non si presti ad essere sospettato di inaffidabilità, superficialità, ovvero abnormità/irragionevolezza.
Forse sarebbe meglio proiettarsi in una gestione diversa del territorio che riesca ad essere funzionale sia alle insidie naturali ed inevitabili, che alle esigenze dei privati.

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