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Il provvedimento di VIA come atto di alta amministrazione subordinabile a condizioni e/o prescrizioni

Sommario: 1. Un generale inquadramento della valutazione d’impatto ambientale (VIA). – 2. I questione: la discrezionalità amministrativa in materia di VIA. – 3. II questione: la legittimità della VIA sottoposta a condizioni e/o prescrizioni.

  1. Un generale inquadramento della valutazione d’impatto ambientale (VIA).

Ai sensi dell’articolo 4, comma 3, del Codice dell’ambiente (d.lgs. 152/2006), la valutazione d’impatto ambientale – di seguito VIA – è un’articolata e complessa procedura avente la finalità di vagliare, in via preventiva, che l’attività antropica per la realizzazione di piani, programmi e progetti relativi a determinate opere “sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile, e quindi nel rispetto della capacità rigenerativa degli ecosistemi e delle risorse, della salvaguardia della biodiversità e di un’equa distribuzione dei vantaggi connessi all’attività economica[1].

Nella relazione della Commissione Europea del 27 luglio 2009 sull’applicazione e l’efficacia della direttiva n. 85/337/CEE, che ha introdotto la VIA all’interno dell’ordinamento comunitario, si legge che essa rappresenta uno “strumento fondamentale per l’integrazione ambientale, che copre un’ampia gamma di progetti allo scopo di renderli sostenibili dal punto di vista ambientale“.

Dalle nozioni espresse tanto dal legislatore nazionale che da quello europeo, si evince che la VIA è lo strumento che consente di contemperare il dispiego dell’attività produttiva umana, tutelata a livello costituzionale all’art. 41 Cost., e le esigenze di tutela dell’ambiente, con particolare riferimento al principio di sviluppo sostenibile[2].

Su queste premesse, il presente scritto ha lo scopo di esaminare due questioni fondamentali: l’ampiezza della discrezionalità amministrativa nella formazione di un provvedimento di VIA e la legittimità del medesimo, qualora venga sottoposto a specifiche condizioni.

Una preziosa chiave di lettura per affrontare tali argomenti è fornita dalla  recentissima pronuncia della quarta sezione del Consiglio di Stato, n. 7917 del 11/12/2020.

  1. I questione: la discrezionalità amministrativa in materia di VIA.

Secondo l’interpretazione dei Giudici di Palazzo Spada, l’Amministrazione che emana un provvedimento di VIA gode di un margine di discrezionalità particolarmente ampio: essa infatti, non limitandosi a riscontrare passivamente i possibili impatti ambientali dell’opus considerato, deve effettuare un’attiva ponderazione di istanze potenzialmente confliggenti. In altre parole, l’Amministrazione è tenuta ad effettuare un complessivo bilanciamento tra gli interessi sottesi alla libera iniziativa economica del privato perseguiti mediante la realizzazione dell’opera e le contrapposte esigenze di preservazione – o meglio non eccessiva e sproporzionata incisione – del contesto ambientale lato sensu inteso.

Per questa ragione, infatti, l’art. 24 del Codice dell’Ambiente estende a chiunque vi abbia interesse[3], in relazione ad un procedimento di VIA, gli ordinari confini previsti dagli articoli 7 e ss. della legge 241/90 in tema di partecipazione procedimentale, senza che sia necessario comprovare, da parte del soggetto che aspira alla medesima, che “dal provvedimento possa derivare un pregiudizio”.

Da ciò ne deriva il carattere speciale dello statuto procedimentale della VIA:  lo scrutinio discrezionale[4] circa il quomodo dell’incisione dell’assetto ambientale recata dal progetto di posa in opera di un determinato opus si svolge in maniera corale, con la finalità di assumere una decisione che andrà ad interessare tutta platea di attori (economici, sociali, collettivi, istituzionali) presenti sul territorio, in maniera quanto più possibile democratica, partecipata e condivisa.

Non trattandosi, dunque, di un atto recante un mero accertamento tecnico, ma esprimente – attraverso forme procedimentali speciali – una potestà amministrativa sostanziale stricto sensu intesa, il sindacato giurisdizionale sul provvedimento di VIA risulta essere di tipo debole, ossia limitato alla soglia dell’illogicità, della contraddittorietà e dell’irragionevolezza. Il Giudice infatti non può entrare nel merito delle scelte riservate ex lege all’Amministrazione[5].

Sulla base di queste considerazioni, il provvedimento di VIA può essere annoverato – a parere di chi scrive – tra gli atti c.d. di alta amministrazione, operando un raccordo tra la funzione d’indirizzo politico e quella amministrativa[6] in tema di corretto uso del territorio, attraverso la cura ed il bilanciamento dei contrapposti interessi pubblici (urbanistici, naturalistici, paesaggistici, di sviluppo socio-economico) e privati[7].

  1. II questione: la legittimità della VIA sottoposta a condizioni e/o prescrizioni.

Secondo la pronuncia in commento, non è in generale illegittimo un provvedimento di VIA che dichiari la compatibilità ambientale di un opus, subordinandolo al rispetto di specifiche prescrizioni e condizioni, che andranno verificate ex post, al momento del rilascio dei titoli autorizzativi necessari per la sua concreta entrata in funzione[8]. In tal caso, precisa il Collegio, è necessario che siffatte prescrizioni siano sufficientemente dettagliate, nonché riferite a specifici profili di potenziale criticità ambientale dell’opera, al fine di scongiurare una sostanziale pretermissione del giudizio alla base di una valutazione d’impatto ambientale.

Se dovesse infatti verificarsi una simile evenienza – osserva la sezione – l’illegittimità dell’azione amministrativa non risiederebbe nella presenza di prescrizioni in sé considerate all’interno del provvedimento di VIA, bensì nell’effettiva assenza di una concreta ed attuale valutazione dell’impatto ambientale dell’opus, che coincide con un sostanziale rifiuto dell’esercizio del potere, pur nella formale spendita del medesimo.

Sulla base di siffatta premessa, giova ricordare, infatti, che la situazione soggettiva della potestà, che è in capo all’Amministrazione nell’esercizio dei propri poteri discrezionali, si compone di due differenti elementi: il potere, inteso come la sua attitudine a modificare unilateralmente ed autoritativamente la sfera giuridica degli amministrati, ed il dovere, nella duplice accezione del dovere dell’esercizio[9] e del dovere della sua finalizzazione teleologica, nel senso che esso deve essere volto al sostanziale conseguimento degli scopi stabiliti dalla legge; si configura in questi termini la figura del c.d. potere-dovere dell’Amministrazione.


[1] Cfr., sul punto, A. Crosetti, R. Ferrara, F. Fracchia, N. Olivetti Rason, Introduzione al diritto dell’ambiente, ediz. 2018, p. 259, ove siffatta nozione finalistica si ritiene attribuibile anche alla valutazione ambientale strategica (VAS).

[2] Esso è enunciato all’articolo 3-quater, comma 1, codice dell’ambiente, secondo cui ogni attività giuridicamente vincolante ai sensi del presente Codice deve conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile, al fine di garantire che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non possa compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future.

[3] A tal proposito, l’art. 24-bis d.lgs. 152/2006 prevede che l’autorità competente possa disporre la consultazione del pubblico nelle forme dell’inchiesta pubblica, con oneri a carico del proponente ed entro il termine di novanta giorni.

[4] Esso può invero riferirsi, nei medesimi termini suddetti, anche all’an – c.d. opzione zero: infatti l’art. 22 del codice dell’ambiente, al comma 3, lett. d), prevede che lo studio d’impatto ambientale debba prendere in ragionevole considerazione anche l’alternativa zero, ossia la non realizzazione dell’opus; cfr, a questo riguardo, anche Tar Veneto, 8 marzo 2012, n. 333.

[5] Si considerino, sul punto, Cons. St., sez. VI, 30 gennaio 2004, n. 316 e id., sez. II, 7 settembre 2020, n. 5380.

[6] In questi termini M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo, ediz. 2019, p. 200.

[7] Così Cons. St., sez. V, 11 luglio 2006, n. 3059.

[8] Cfr., ex multis, Cons. St., sez. IV, 13 febbraio 2020, n. 1169, punto 15.

[9] Si consideri che il principio generale della doverosità dell’esercizio del potere amministrativo presenta due distinte componenti, ossia l’obbligo di procedere e l’obbligo di provvedere: in base al primo, l’Amministrazione è tenuta ad aprire il procedimento, su istanza di parte (come nel caso della VIA) o d’ufficio, e a porre in essere le attività previste nella sequenza procedimentale; sulla base del secondo, si pone in capo all’Amministrazione il dovere di portarlo a conclusione attraverso l’emanazione di un provvedimento espresso (nel caso qui in esame, il provvedimento di VIA), come si legge in M. Clarich, op. cit., p. 243.

Pierluigi Mascaro

Mi sono laureato in Giurisprudenza presso l'Università LUISS Guido Carli di Roma lo scorso 23 aprile, discutendo una tesi in Diritto delle autonomie territoriali dal titolo "L'apporto delle Regioni alla formazione del Diritto dell'Unione Europea" - Relatore Prof. Antonio D'Atena. Durante il percorso di studi universitari, ho frequentato il profilo amministrativistico, approfondendo le discipline giuridiche afferenti a questa area del diritto. Mi sono sempre particolarmente interessato al mondo della scrittura, in ambiti differenti e, per quel che riguarda, nello specifico, quello giuridico, mi cimento nella redazione di commenti e note a sentenza del giudice ordinario, amministrativo, della Suprema Corte, del Consiglio di Stato e della Corte costituzionale. A partire dal mese di giugno scorso, ho il piacere e l'onore di collaborare per l'area Diritto Amministrativo della rivista giuridica "Ius in Itinere". Attualmente collaboro, a titolo di cultore della materia, con la Cattedra di Diritto dell'Ambiente presso il Dipartimento di Giurisprudenza della LUISS Guido Carli. Dal prossimo gennaio, inizierò il mio percorso nell'ambito del Master di II livello in Diritto Amministrativo presso l'Università LUISS di Roma.

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