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Il rapporto tra accesso ordinario, civico e generalizzato

Il Tar Toscana, con la sentenza del 20.12.2019, n. 1748, ha esaminato le tre diverse forme di accesso agli atti (accesso documentale, civico e generalizzato) previste e disciplinate dal nostro ordinamento, evidenziando come ciascuna di esse sia applicabile a diverse e specifiche fattispecie. Il medesimo Tribunale Amministrativo Regionale ha sostenuto che non possa ammettersi un mutamento del titolo giuridico dell’accesso nel corso di una controversia qualora il rapporto tra il richiedente e l’Amministrazione si sia formato su una specifica richiesta di accesso, connotata nei suoi presupposti giuridici e fattuali.

In particolare, il Collegio è intervenuto su una questione nella quale l’impresa ricorrente, dopo che l’Amministrazione aveva respinto l’istanza di accesso agli atti, presentata ai sensi della legge n. 241/1990, ha impugnato il medesimo diniego, chiedendo all’organo giudicante che il proprio diritto di accesso venisse accertato sia ai sensi della legge n. 241/1990, ma anche ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 195/2005 (che attribuisce il diritto ad accedere ad atti aventi rilevanza ambientale a chiunque ne faccia richiesta senza necessità di motivare il relativo interesse) e dell’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013, a titolo di accesso civico generalizzato.

L’Amministrazione ha replicato alle censure mosse dalla ricorrente, sostenendo che non sarebbe possibile in sede processuale la riqualificazione della domanda di accesso originariamente presentata dalla richiedente, stante il diniego apposto dall’Amministrazione.

Il Tar, dovendo decidere circa la legittimità o meno della riqualificazione della predetta domanda di accesso, ha ripercorso i più importanti approdi giurisprudenziali[1], procedendo alla disamina delle diverse forme di accesso richiamate dalla ricorrente e individuandone le principali differenze[2].

L’accesso documentale, disciplinato dagli artt. 22 e ss. della legge n. 241/1990, consente ai soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, attuale e concreto[3], corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata di accedere ai documenti amministrativi detenuti dalle pubbliche amministrazioni. L’art. 24 della predetta legge indica i documenti non suscettibili di essere conosciuti dai privati cittadini, al fine di impedire forme di accesso generalizzato all’operato delle pubbliche amministrazioni.

A tale forma di accesso, il legislatore, con il d.lgs. n. 33/2013 (Decreto trasparenza) ha affiancato una nuova tipologia di accesso, il c.d. accesso civico che riconosce a “chiunque” di accedere a documenti, informazioni e dati di cui sia stata omessa la pubblicazione da parte della pubblica amministrazione, su cui grava un obbligo di pubblicazione documentale (art. 5, comma 1, d.lgs. n. 33/2013). L’inclusione di questa nuova forma di accesso trova fondamento nel consolidamento del principio di trasparenza, inteso quale principio cardine e fondamentale dell’organizzazione amministrativa, garantendo ai cittadini l’accessibilità totale dei documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni e promuovendo la partecipazione degli stessi all’attività amministrativa[4].

A seguito delle modifiche apportate con il d.lgs. n. 97/2016, l’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013, ha introdotto l’acceso civico generalizzato che concede a “chiunque” di accedere, senza alcuna limitazione e senza necessità di motivazione, a dati, informazioni e documenti ancorché non assoggettati all’obbligo di pubblicazione da parte dall’Amministrazione. Tale nuova forma di accesso generalizzato non si sostituisce all’accesso civico, il quale rimane circoscritto ai soli atti, documenti e informazioni oggetto di obblighi di pubblicazione e costituisce un rimedio alla mancata osservanza degli obblighi di pubblicazione imposti dalla legge, sovrapponendo al dovere di pubblicazione, il diritto del privato di accedere ai documenti, dati e informazioni interessati dall’inadempienza. In particolare, le due forme di accesso si accomunano per quanto attiene la legittimazione soggettiva, riconoscendo a “chiunque” di accedere ai documenti amministrativi, indipendentemente dalla titolarità di una situazione giuridica soggettiva connessa, diversamente dal sopra menzionato accesso documentale.

Inoltre, l’accesso civico generalizzato, così come descritto, incontra quali unici limiti, da una parte, il rispetto della tutela degli interessi pubblici e/o privati indicati all’art. 5 bis, commi 1 e 2, e dall’altra, il rispetto delle norme che prevedono specifiche esclusioni (art. 5 bis, comma 3).

Le novità in tema di accesso, introdotte con il Decreto trasparenza, non hanno portato al superamento della forma dell’accesso documentale, che continua a sussistere, parallelamente all’accesso civico, operando su presupposti diversi. Difatti, l’accesso documentale consente al privato richiedente di accedere con profondità ai dati per i quali è presentata l’istanza di accesso, mentre nell’accesso civico (semplice e generalizzato), il controllo del richiedente sugli atti, sui dati e suoi documenti amministrativi è meno profondo ma decisamente più esteso[5].

Il Collegio, sulla base delle predette considerazioni, ha evidenziato che le tre forme di accesso agli atti sono applicabili a diverse e specifiche fattispecie, essendo ciascuna forma distintamente regolata da presupposti specifici e autonomi.

Ciò ha indotto il Tar a ritenere che nel nostro ordinamento non esiste un unico e generale diritto del privato ad accedere agli atti amministrativi che possa farsi valere a titolo diverso. Esistono invece specifiche situazioni nei rapporti di pubblico all’interno delle quali, al venire in essere di determinati presupposti (diversi in ognuna di esse), il privato assume titolo ad accedere alla documentazione amministrativa, con limiti e modalità diversificate nelle varie ipotesi.

Il privato richiedente è quindi investito dell’onere di individuare quale sia la sua situazione da tutelare, scegliendo la tipologia di accesso da azionare, eventualmente in forma cumulativa.

Ciò presuppone che una volta effettuata tale scelta, il rapporto tra il richiedente e l’Amministrazione si forma non sulla base di un generico diritto del primo di accedere alla documentazione amministrativa, ma su una richiesta di accesso specifica, connotata nei suoi presupposti giuridici e fattuali.

Il Collegio, dovendo decidere circa la legittimità o meno della riqualificazione della domanda di accesso presentata dal privato richiedente all’Amministrazione interessata, ha quindi sostenuto che non può ammettersi un mutamento del titolo giuridico dell’accesso in corso di controversia laddove il richiedente abbia espressamente optato per un determinato modello di accesso.

Difatti, nel caso di specie, il Tar ha rigorosamente affermato che la richiesta della società ricorrente, effettuata ai sensi della legge n. 241/1990, non può essere riesaminata dall’Amministrazione alla luce del d.lgs. n. 33/2013, il quale regola le due diverse forme di accesso civico semplice e generalizzato.

Le medesime considerazioni valgono anche per la richiesta della ricorrente di qualificazione dell’istanza di accesso alla stregua di una domanda di informazioni ambientali, ai sensi del d.lgs. n. 195/2005, in virtù del fatto che questa costituisce un sottosistema normativo che disciplina una diversa e specifica fattispecie di accesso ed operante esclusivamente nel proprio circoscritto ambito.

[1] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503.

[2] Linee Guida Anac, recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 7 del 10 gennaio 2017.

[3] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 11 giugno 2012, n. 3398.

[4] Foà Sergio, “La nuova trasparenza amministrativa”, in Diritto Amministrativo, 2017, fasc. 1, pp. 65-99.

[5] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n. 5515/2016; Tar Lazio, Sez. II bis, n. 7326/2018.

Cristina Chinnici

Cristina si laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, con una tesi in diritto amministrativo dal titolo “I criteri di aggiudicazione degli appalti pubblici e il Green Public Procurement”, con la votazione di 110/110 e lode. Ha svolto la pratica forense presso l’Avvocatura Generale dello Stato, il tirocinio presso la Terza Sezione del Consiglio di Stato e uno Stage presso l’Autorità Nazionale Anticorruzione, occupandosi principalmente di misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell'ambito della prevenzione della corruzione. Attualmente è iscritta al Master Anticorruzione presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e ha conseguito il titolo di Avvocato 

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