giovedì, Marzo 28, 2024
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Il rapporto tra lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazione mafiosa e lo scioglimento per dimissioni

Premessa

Com’è noto, l’art. 143 del D.lgs. 267/2000 disciplina lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per il verificarsi di fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare, oltre alla responsabilità di dirigenti e dipendenti. Tale norma è stata recentemente incisa dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 22 giugno 2018, n. 3828, la quale ha risolto le problematiche relative al coordinamento tra lo scioglimento per infiltrazione mafiosa e lo scioglimento per dimissioni.

1. Il caso in esame

Nel caso posto all’attenzione del Consiglio di Stato, il capolista candidato alla carica di Sindaco (poi risultato vincitore alle elezioni amministrative del 2007) ha agito in giudizio per la condanna di diverse Amministrazioni (la Prefettura di Vibo Valentia, il Ministero dell’interno e la Presidenza del Consiglio dei Ministri) a risarcire il danno subito in conseguenza dello scioglimento degli organi elettivi del Comune a seguito delle risultanze degli accertamenti svolti da una Commissione di accesso, che aveva constatato la presenza di interferenze della criminalità organizzata, riconducibile alla famiglia mafiosa Bonavota, che aveva condizionato il governo del Comune. In particolare, i danni – alla persona, all’immagine e morale – lamentati dal ricorrente erano riconducibili al fatto che al suo nome venisse ricollegata la causa dello scioglimento del Consiglio comunale.

2. La ricostruzione della fattispecie ex art. 143 T.U.E.L.

Il ragionamento del giudice di 2° grado assume come punto di partenza una pronuncia della Corte costituzionale secondo cui il potere di scioglimento ex art. 143 T.U.E.L. “deve essere esercitato in presenza di situazioni di fatto che compromettano la libera determinazione degli organi elettivi, suffragate da risultanze obiettive e con il supporto di adeguata motivazione; tuttavia, la presenza di risultanze obiettive esplicitate nella motivazione, anche ob relationem, del provvedimento di scioglimento non deve coincidere con la rilevanza penale dei fatti, né deve essere influenzata dall’esito degli eventuali procedimenti penali[1].

Riprendendo tale principio, la terza sezione ha affermato che lo scioglimento dell’organo elettivo si connota quale “misura di carattere straordinario per fronteggiare un’emergenza straordinaria”: di conseguenza è giustificata l’adozione da parte dell’Amministrazione di ampi margini nella valutazione degli elementi su collegamenti diretti o indiretti, anche quando il valore indiziario dei dati non è sufficiente per l’avvio dell’azione penale, essendo assi portanti della valutazione di scioglimento, da un lato, l’accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata e, dall’altro, le precarie condizioni di funzionalità dell’ente in conseguenza del condizionamento criminale. Pertanto, rispetto alla pur riscontrata commissione di atti illegittimi da parte dell’Amministrazione, è necessario un quid pluris, consistente in una condotta, attiva od omissiva, condizionata dalla criminalità anche in quanto subita, riscontrata dall’Amministrazione competente con discrezionalità ampia, ma non disancorata da situazioni di fatto suffragate da obiettive risultanze che diano attendibilità alle ipotesi di collusione, così da rendere pregiudizievole, per i legittimi interessi della comunità locale, il permanere alla sua guida degli organi elettivi. Ciò in quanto l’art. 143 T.U.E.L. precisa le caratteristiche di obiettività delle risultanze da identificare, richiedendo che esse siano concrete, e perciò fattuali, univoche, ovvero non di ambivalente interpretazione, rilevanti, in quanto significative di forme di condizionamento.

Infine, l’operazione in cui consiste l’apprezzamento giudiziale delle collusioni e dei condizionamenti non può essere effettuata mediante l’estrapolazione di singoli fatti ed episodi, al fine di contestare l’esistenza di taluni di essi ovvero di sminuire il rilievo di altri in sede di verifica del giudizio conclusivo sull’operato consiliare. Ciò in quanto, in presenza di un fenomeno di criminalità organizzata diffuso nel territorio interessato dalla misura di cui si discute, gli elementi posti a conferma di collusioni, collegamenti e condizionamenti vanno considerati nel loro insieme, poiché solo dal loro esame complessivo può ricavarsi la ragionevolezza della ricostruzione di una situazione identificabile come presupposto per l’adozione della misura stessa.

3. I rapporti tra scioglimento per infiltrazione mafiosa e scioglimento per dimissioni

Il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento, ha ritenuto ammissibile lo scioglimento del Consiglio comunale per le infiltrazioni mafiose anche dopo le intervenute dimissioni dei componenti, soprattutto nel caso – che si è verificato nella fattispecie in esame – in cui le stesse fossero state rassegnate dopo la nomina, da parte del Prefetto, di una Commissione di accesso, incaricata di verificare se ci fosse una influenza malavitosa nella gestione amministrativa del Comune. Diversamente opinando, infatti, le dimissioni costituirebbero un facile escamotage per paralizzare l’indagine prefettizia e consentire nella nuova tornata elettorale agli stessi candidati, sospettati di vicinanza agli ambienti malavitosi, di ripresentarsi, forti della disinformazione della cittadinanza locale.

[1]Corte Costituzionale, 19 marzo 1993, n. 103.

[2] Nella vicenda in questione, le dimissioni erano state rassegnate il 10 novembre 2008, laddove la Commissione in questione era stata nominata all’incirca quattro mesi prima (il 28 luglio 2008).

Andrea Amiranda

Andrea Amiranda è un Avvocato d'impresa specializzato in Risk & Compliance, con esperienza maturata in società strategiche ai sensi della normativa Golden Power. Dal 2020 è Responsabile dell'area Compliance di Ius in itinere. Contatti: andrea.amiranda@iusinitinere.it

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