Il rating di legalità
Il rating di legalità nasce dall’esigenza di far fronte al fenomeno della criminalità che spesso coinvolge il settore dei contratti pubblici.
Al fine di frenare e prevenire l’illegalità in tale ambito, il legislatore con il d.l. n. 1/2012, cd. “decreto liberalizzazioni”, nel conformarsi ai principi comunitari, introduce numerosi presidi volti a garantire il naturale andamento dell’economia e favorire il principio di concorrenza leale.
Dunque, in tale contesto si inserisce il rating, strumento attraverso il quale la pubblica amministrazione instaura un sistema di filtraggio per le imprese al fine di garantire la sicurezza nel mercato tenendo conto, nella fase di aggiudicazione, non solo dei requisiti economici validi e conformi all’oggetto del contratto, ma anche della “reputazione” dell’impresa.
Alla stregua di ciò distinguiamo due tipi di rating: il rating di legalità e il rating di impresa, previsti dal Codice dei contratti pubblici, d.lgs. 50/2016 agli artt. 83, comma 10, 95, comma 13 e 213, comma 7.
In questa sede ci soffermeremo sul rating di legalità, la cui logica per comprenderla bene dovrebbe essere analizzata tenendo conto anche dell’aspetto etico del diritto, oltre che giuridico, ovvero osservando i comportamenti delle persone, e – nel caso di specie – degli operatori economici.
L’obiettivo principale di tale strumento, infatti, sta nel promuovere e introdurre principi di comportamento etico in ambito aziendale, assegnando un giudizio circa il grado di correttezza degli affari delle imprese che ne abbiano fatto richiesta. Pertanto, questo indicatore è volto a selezionare i contraenti privati, i quali oltre ad avere i requisiti oggettivi per contrarre con la pubblica amministrazione, dimostrino di aver assunto comportamenti virtuosi e dediti alla tutela e alla promozione della legalità. Diversamente dagli altri presidi amministrativi, il dato originale sta nel fatto che il rating di legalità costituisce una misura di tipo premiale: infatti, in tal modo il nostro ordinamento premia chi, di sua spontanea volontà, adotta misure positive di contrasto all’illegalità, e contrasta coloro che non si conformano agli standard individuati dalla legge o che assumono comportamenti illegittimi.
È evidente, tuttavia, che il sistema premiale, consistente in una serie di vantaggi e benefici a favore dell’impresa, è un escamotage volto a sollecitare quest’ultima a promuovere la legalità, poiché – è bene sottolineare – che la “correttezza”, la quale in teoria dovrebbe essere un comportamento fisiologico e naturale, allo stesso tempo richiede un dispendio di energie, tempo e risorse che non è ripagata in termini di profitto, in quanto all’interno del mercato l’unica cosa che viene riconosciuta è l’efficienza.
Il fondamento legislativo di tale strumento dunque rinviene nel decreto legge del 24 gennaio 2012, n. 1 recante “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Il decreto, cd. “decreto liberalizzazioni” prevede all’art. 5-ter la disciplina del “rating di legalità delle imprese”, attribuendo un ruolo fondamentale all’AGCM (Autorità garante della concorrenza e del mercato). La disciplina, in particolare, fa riferimento a due ambiti: la concessione di finanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni e l’accesso al credito bancario.
Per quanto riguarda l’AGCM, invece, questa svolge un ruolo predominante, in quanto ha il compito fondamentale di segnalare al Parlamento le modifiche normative necessarie per favorire l’introduzione di principi etici nei comportamenti aziendali e deve riconoscere in capo agli operatori economici di avere i requisiti richiesti ex lege.
Inoltre l’Autorità, in raccordo con i Ministeri della giustizia e dell’interno, ai sensi del Regolamento attuativo n. 24075, adottato stesso dall’Antitrust, all’art. 1, comma 1 del 14 novembre 2012, – oggi sostituito dalla Delibera n.27165 del 15 maggio 2018- elabora ed attribuisce il rating nei confronti dei soggetti che dispongono di tali requisiti:
- operano sul territorio nazionale;
- abbiano raggiunto un fatturato minimo di due milioni di euro nell’ultimo esercizio chiuso nell’anno precedente alla richiesta di rating;
- che, alla data della richiesta di rating, risultino iscritte nel registro delle imprese da almeno due anni;
- che rispettano i requisiti sostanziali richiesti dal Regolamento attuativo.
In seguito, la domanda deve essere effettuata telematicamente utilizzando l’apposito Formulario pubblicato sul sito dell’AGCM (www.agcm.it) e seguendo le istruzioni indicate. La domanda, inoltre, deve essere sottoscritta con firma digitale e deve essere inviata all’indirizzo Pec dell’Autorità (protocollo.agcm@pec.agcm.it). In ultimo, ai fini dell’ottenimento del rating non è ritenuta valida altra forma di invio della domanda.
Circa i criteri di attribuzione e i livelli di rating, vi è da aggiungere che tale indicatore va da un minimo di “una stella” ad un massimo di “tre stelle”, attribuite dall’autorità competente in base alle verifiche effettuate insieme con le pubbliche amministrazioni interessate.
L’ottenimento di “una stella”, che equivale al minimo del punteggio, o di massimo “tre stelle”, si ha in base alle dichiarazioni rese dall’impresa.
Quest’ultima, per ricevere “una stella” dovrà dimostrare che l’imprenditore, e gli altri soggetti interessati, non sono destinatari di misure di prevenzione e/o cautelari, sentenze/decreti penali di condanna, sentenze di patteggiamento per reati tributari ex d.lgs. 74/2000 e per reati ex d.lgs. n. 231/2001. Per i reati di mafia, oltre a non avere subito condanne, non deve essere stata iniziata l’azione penale ai sensi dell’art. 405 c.p.p.. Inoltre, l’impresa stessa non deve essere destinataria di sentenze di condanna né di misure cautelari per gli illeciti amministrativi dipendenti dai reati ex d.lgs. n. 231/2001.
Nei due anni precedenti alla richiesta di rating, l’impresa non dovrà essere stata condannata per illeciti antitrust gravi, per mancato rispetto delle norme a tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, per violazioni degli obblighi retributivi, contributivi, assicurativi e fiscali nei confronti dei propri dipendenti e collaboratori. Non dovrà avere subito accertamenti di un maggior reddito imponibile rispetto a quello dichiarato, né avere ricevuto provvedimenti di revoca di finanziamenti pubblici per i quali non abbia assolto gli obblighi di restituzione.
In ultimo, nel caso di pagamenti e transazioni finanziarie di ammontare superiore alla soglia di mille euro, l’impresa dovrà dichiarare di averli effettuati esclusivamente con strumenti di pagamento tracciabili.
Per passare, invece, a “tre stelle ” il regolamento prevede 6 ulteriori requisiti che devono essere rispettati; nel caso in cui invece se ne garantiscono solo 3 il punteggio ottenuto sarà di “due stelle”.
Dunque le imprese dovranno:
- rispettare i contenuti del Protocollo di legalità sottoscritto dal Ministero dell’Interno e da Confindustria, e a livello locale dalle Prefetture e dalle associazioni di categoria;
- utilizzare sistemi di tracciabilità dei pagamenti anche per importi inferiori rispetto a quelli fissati dalla legge;
- adottare una struttura organizzativa che effettui il controllo di conformità delle attività aziendali a disposizioni normative applicabili all’impresa o un modello organizzativo ai sensi del d.lgs. 231/2001;
- adottare processi per garantire forme di Corporate Social Responsability;
- essere iscritte in uno degli elenchi di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa;
- avere aderito a codici etici di autoregolamentazione adottati dalle associazioni di categoria.
Inoltre, sarà tenuto conto anche della denuncia all’autorità giudiziaria o alle forze di polizia, di reati previsti dal Regolamento commessi a danno dell’imprenditore o dei propri familiari e collaboratori, qualora alla denuncia sia seguito l’esercizio dell’azione penale.
Per quanto riguarda la durata questa è di due anni dal rilascio ed è rinnovabile su richiesta. In caso di perdita di uno dei requisiti base, nel caso di “una stella” l’Autorità può anche disporre la revoca del rating.
Se vengono meno i requisiti grazie ai quali l’impresa ha ottenuto un rating di “due o tre stelle”, l’autorità riduce in misura corrispondente il numero di stelle.
Laureata in Giurisprudenza presso l’Università di Napoli Federico II, con il massimo dei voti.
Ha conseguito un Master di II livello in Management and policies of Public Administration presso l’Università Luiss Guido Carli.
Ad oggi è dottoranda di ricerca in diritto e impresa, presso la Luiss.