venerdì, Marzo 29, 2024
Criminal & Compliance

Il reato di abbandono della nave: la contestazione di tale fattispecie nel caso Concordia

Il reato di abbandono della nave.

Al di là di un’antica tradizione marinaresca che prevede che un buon comandante affondi con la propria nave, nel codice della navigazione viene più volte ribadita la necessità che il comandante non abbandoni la nave prima che tutti i passeggeri abbiano lasciato l’imbarcazione e si sia provveduto a salvaguardare il carico. La prima norma che va esaminata è l’art 303 c. nav.: “Il comandante non può ordinare l’abbandono della nave in pericolo se non dopo esperimento senza risultato dei mezzi suggeriti dall’arte nautica per salvarla, sentito il parere degli ufficiali di coperta o, in mancanza, di due almeno fra i più provetti componenti dell’equipaggio.
Il comandante deve abbandonare la nave per ultimo, provvedendo in quanto possibile a salvare le carte e i libri di bordo, e gli oggetti di valore affidati alla sua custodia.”

L’art. 1097 c. nav. recita: “il comandante, che, in caso di abbandono della nave, del galleggiante o dell’aeromobile in pericolo, non scende per ultimo da bordo, è punito con la reclusione fino a due anni. Se dal fatto deriva l’incendio, il naufragio o la sommersione della nave o del galleggiante, ovvero l’incendio, la caduta o la perdita dell’aeromobile, la pena è da due ad otto anni. Se la nave o l’aeromobile è adibito a trasporto di persone, la pena è da tre a dodici anni.”

Le ragioni dell’esistenza di tale articolo sono quasi intuitive: il comandante, responsabile della spedizione, non deve lasciare la nave in pericolo prima che siano scesi tutti i passeggeri per ordinare le operazioni di sbarco delle persone a bordo e del carico. La norma commina una sanzione che può arrivare fino ad un massimo di dodici anni nel caso in cui da ciò sia derivato il naufragio dell’imbarcazione. In relazione a tale norma si è discusso circa la possibilità da parte del comandante, una volta che la nave sia oggettivamente in pericolo, di poterla abbandonare; è lecito ritenere che anche qualora non possa salvare tutto il carico la presenza del capitano a bordo faciliterebbe sicuramente le operazioni di sbarco di merce e passeggeri: a voler concedere al comandante la possibilità di scendere dalla nave, andrebbe sicuramente concessa a tutti i membri dell’equipaggio che, ovviamente, sarebbero tentati dall’abbandonare la nave senza minimamente preoccuparsi del carico[1].

Per la concretizzazione di tale fattispecie la norma prevede la realizzazione di tre requisiti che non hanno bisogno di ulteriori chiarimenti: l’abbandono della nave da parte del comandante, che la nave si trovi in uno stato di pericolo e che l’abbandono sia definitivo[2]. Dal raffronto della norma citata con il successivo art. 1098 c. nav. “Il componente dell’equipaggio, che senza il consenso del comandante abbandona la nave o il galleggiante in pericolo, è punito con la reclusione fino a un anno.
Alla stessa pena soggiace il componente dell’equipaggio dell’aeromobile, che senza il consenso del comandante si lancia col paracadute o altrimenti abbandona l’aeromobile in pericolo.
Se dal fatto deriva l’incendio, il naufragio o la sommersione della nave o del galleggiante ovvero l’incendio, la caduta o la perdita dell’aeromobile, la pena è da due ad otto anni. Se la nave o l’aeromobile è adibito a trasporto di persone, la pena è da tre a dodici anni” s
i evince come il legislatore abbia solo nel secondo caso utilizzato il termine abbandono, mentre nel primo caso abbia chiarito espressamente il divieto di scendere da bordo, anche nel caso in cui possa continuare a coordinare le operazioni di sbarco da terra, salva l’ipotesi in cui ciò non si rende necessario e più proficuo[3].

 

L’abbandono della nave da parte del comandante Schettino nel caso Concordia.

Nel caso Concordia poco si è discusso in relazione alla realizzazione dell’evento tipico: è risultato chiaro, dall’istruttoria dibattimentale, che gli ultimi passeggeri della Costa Concordia abbiano lasciato la nave all’alba del 13 gennaio, mentre invece lo Schettino abbia lasciato l’imbarcazione poco dopo le 24 del 12 (come raccontato in questo articolo). La questione è nata dalle dichiarazioni dello Schettino nella prima telefonata al comandante De Falco, durante la quale dice di essere stato “scaraventato” sulla scialuppa dallo sbandamento della nave; in questo caso verrebbe meno la colpevolezza dell’imputato non avendo agito con “coscienza e volontà”, come previsto dall’art. 42, comma 1 del codice penale. In realtà, è lo stesso Schettino, ad affermare invece in sede dibattimentale che il suo passaggio dalla nave alla scialuppa è stato voluto in quanto egli ha saltato dovendo scegliere tra “buttarsi in mare, saltare sulla scialuppa o morire sulla Concordia”. Bisogna quindi escludere già sulla base di questa affermazione che il passaggio sulla scialuppa sia stato dovuto ad una causa di forza maggiore, ed è, invece, stata una scelta.

Per la configurabilità del delitto bisogna anche chiarire che l’imputato non deve essere necessariamente certo che a bordo vi siano altri soggetti, ma basta che l’imputato si rappresenti la possibilità che vi siano altri soggetti a bordo, cosa che sicuramente si è verificata nel caso in esame. È anche risultato certo, dalla testimonianza del comandante Galli che lo Schettino non aveva più intenzione di ritornare sulla concordia.

Ipotizzabile, per taluni, la configurabilità della scriminante dello stato di necessità di cui all’art. 54 del nostro codice penale. La questione è stata ritenuta facilmente risolvibile dalla Corte,  la specifica disposizione di cui all’art. 54, comma 2, c.p., esclude l’applicabilità della stessa causa di giustificazione nei confronti di chi abbia un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo. Pertanto la situazione di pericolo non può mai essere invocata come causa di giustificazione dal comandante della nave, tenuto per legge al verificarsi di quella situazione di pericolo, a curarsi di tutte le persone a bordo senza mai scendere prima degli altri: se si potesse concedere questa scriminante in casi del genere i reati di cui agli articoli 1097 e 1098 non sarebbero mai suscettibili di applicazione pratica, dato che è proprio nelle situazioni di pericolo che si ha bisogno della presenza di ufficiali a bordo[4].

 

[1]T. Testa, Abbandono della nave e dell’aeromobile (diritto penale della navigazione), in Enc. Giur., 1958

[2]G. Leone, Spunti su alcune figure di reati della navigazione, in Riv. Dir. Nav., 1963

[3]Come riportato dal Trib. Di Grosseto, sentenza n. 115 del 2015

[4]Tribunale di Grosseto, sentenza n. 115 del 2015.

 

fonte immagine: https://www.pri.org/stories/2012-01-14/three-killed-after-cruise-ship-costa-concordia-runs-aground-italy-video

Davide Carannante

Davide Carannante, 23 anni, laureato in giurisprudenza alla Federico II di Napoli con una tesi in diritto penale dal titolo "omissioni e colpe nel diritto penale marittimo".

Lascia un commento