mercoledì, Aprile 17, 2024
Criminal & Compliance

Il reato di Epidemia: artt. 438 ss. c.p.

Il reato di epidemia ex artt. 438 ss c.p. e il recente caso verificatosi nel Comune di San Felice del Benaco.

L’art. 438 c.p. rubricato “Epidemia” apre il Capo II del titolo sesto “Dei delitti contro l’incolumità pubblica”.Il Capo II è dedicato a quei delitti di comune pericolo mediante frode, o per meglio dire, quei delitti che comportano un pericolo per la salute definibile pubblico, cioè che interessa la collettività.

La norma configura un reato di tipo comune, la sua genericità si desume dall’espressione “chiunque cagiona un’epidemia” collocata in apertura del dato normativo; si faccia bene attenzione però ad escludere dal regime punitivo quei soggetti affetti da una determinata malattia contagiosa che però non cagionino una diffusione di germi patogeni. La giurisprudenza è stata accorta nel precisare che un soggetto infetto che si inserisca tra la folla, privo della volontà di contaminare con germi patogeni la collettività, non sarà assolutamente punibile.

Sulla natura giuridica della norma in esame, però la dottrina non sembra essere uniforme; c’è una parte di questa che propende a classificarlo come delitto di pericolo, costituendo l’epidemia essa stessa un pericolo per la collettività; altra parte invece ritiene che sia qualificabile come reato di danno, in quanto il contagio è solo l’effetto di un danno, e di conseguenza di un reato, già verificatosi.Secondo una pronuncia del Tribunale di Trento, risalente al 2004[1],ai fini della configurabilità del reato di epidemia non è sufficiente un evento c.d. superindividuale, generico e completamente astratto, ossia avulso dalla verifica di casi concreti casualmente ricollegabili alla condotta del soggetto agente, in quanto ciò porterebbe a confondere il concetto di evento con quello di pericolo.

Il bene giuridico tutelato, sottinteso nel dato normativo, è certamente il diritto inviolabile, costituzionalmente garantito all’art. 32 Cost., della salute; intendendosi per salute il benessere psico-fisico dell’individuo o, come nel caso di specie, della collettività.

Anche se la forma del delitto è in realtà libera, quindi potrà essere sia di tipo commissivo sia di tipo omissivo, la materialità di questo si realizza quando vi è manifestazione in certo numero di persone di una malattia che sia eziologicamente collegabile ai germi patogeni collegati ad un evento di pericolo, che consiste nella possibilità di un ulteriore propagazione di quella medesima malattia ad altri individui.

È bene anche focalizzarsi sul profilo soggettivo il quale è caratterizzato dal dolo generico, ossia dalla volontà di diffondere quei germi patogeni consapevolmente; oltre al dolo però se si fa una lettura combinata degli artt. 438 c.p. e 452 c.p. si nota come quest’ultimo invece si concentri sulla colpa caratterizzante il reato di epidemia ex art. 43 c.p..

Il regime sanzionatorio previsto dall’art. 438 c.p. è particolarmente rigido, al primo comma punisce con l’ergastolo chiunque cagioni l’epidemia, mente il comma 2 prima del 1944 prevedeva la pena di morte qualora dall’epidemia derivasse la morte di più persone; pena poi sostituita con l’ergastolo. Ricordiamo che oggi la pena capitale non è più parte del regime sanzionatorio previsto dal nostro ordinamento. La diffusione di un’epidemia possiamo asserire che non attiene unicamente a germi patogeni presenti in sostanze alimentari, ma anche in medicinali o più semplicemente in quelle che sono le acque come previsto dagli artt. 439 e 440 c.p. e su cui si focalizza l’attenzione di chi scrive.

L’art. 439 c.p. prevede l’avvelenamento di acque o di sostanze alimentari; le acque a cui fa riferimento la norma, secondo costante orientamento giurisprudenziale, sono quelle destinate all’alimentazione umana, che abbiano o meno i caratteri biochimici della potabilità secondo la legge e la scienza; motivo per cui la punibilità sarà prevista anche qualora il contagio avvenga ad acque che non sono batteriologicamente pure dal punto di vista delle leggi sanitarie ma comunque idonee e potenzialmente destinabili all’uso alimentare[2].

Oltre all’art. 439 c.p. anche il 440 c.p. ha ad oggetto la contaminazione e più precisamente l’adulterazione o corruzione di acque o sostanze destinate all’alimentazione. Tale reato, secondo i giudici di legittimità[3], è di pericolo concreto e pertanto anche se per la sua sussistenza non è necessario che si verifichi un evento dannoso, sarà comunque necessaria al contrario l’esistenza dell’elemento della pericolosità pubblica, il quale dovrà essere accertato concretamente di volta in volta dal giudice attraverso l’individuazione della sostanza somministrata. Le condotte di avvelenamento e di corrompimento delle acque che sono regolate dagli artt. 439 e 440 c.p. sono come su detto a forma libera per cui potranno realizzarsi anche mediante attività non occulte o fraudolente, né espressamente vietate dalla legge[4].

L’art. 452 c.p. infine prevede il regime sanzionatorio dei delitti contro la salute pubblica, commessi però non con dolo generico ma con colpa ex art. 43 c.p. per i quali in origine, e fino all’introduzione dell’art. 1 del d.lgs 10 agosto 1944 n. 224, si prevedeva la punibilità con la pena di morte, poi sostituita con l’ergastolo; inoltre la norma prevede che nei casi in cui gli artt. 438 e 439 c.p. prevedono l’ergastolo, la reclusione da uno a cinque anni e per il caso in cui l’art. 439 prevede la reclusione non inferiore a quindici anni, la reclusione da 6 mesi a tre anni.

IL CASO:

Nel 2009, nel Comune di San Felice del Benaco in provincia di Brescia si era verificato un caso di infezione di gastroenterite che aveva colpito la popolazione, all’incirca 1500 persone. La Cassazione si era a lungo interpellata sulla giusta responsabilità della società incaricata della gestione dell’acquedotto civico e con una recente pronuncia del 2017[5]ha mutato il titolo di reato in adulterazione colposa di sostanze alimentari, di cui agli artt. 440 co. 1 e 452 co. 2. c.p.

In un primo momento il reato di cui si è macchiata la società, dai giudici di primo e secondo grado era stato classificato ex art. 438 c.p. e art. 452 c.p. c.d. epidemia colposa, dichiarando in esso assorbitol’ulteriore reato di commercio colposo di sostanze alimentari nocive (ex artt. 444 e 452, co. 2, c.p.). Tale classificazione avveniva proprio perché la società imputata, aveva omesso le dovute misure di manutenzione dell’acquedotto, nonché quelle necessarie nel processo di trattamento e potabilizzazione delle acque, a cui era seguita la proliferazione dei microrganismi patogeni[6], pertanto se fossero state effettuate delle manutenzioni idonee, il fatto non si sarebbe verificato.

Dopo le condanne con imputazione ex art. 438 c.p. però, la difesa della società proponeva ricorso in Cassazione lamentando l’erronea qualificazione giuridica del fatto. La ratio dell’azione legale risiedeva appunta nel fatto che l’art. 438 c.p. configura un reato a forma vincolata ed al quale non sarà applicabile l’art. 40 co 2 c.p., infatti la responsabilità omissiva oggetto di quest’ultima norma, è incompatibile con la natura giuridica del reato ex art. 438 c.p. il quale non è generico ma tassativo circa i requisiti modali.

La Cassazione quindi giunge ad un risultato nel 2017 che è la combinazione degli artt. 439 e 440 c.p. con l’art. 452 c.p.. Secondo i giudici di legittimità l’art. 439 c.p. contiene un intrinseco coefficiente di offensività infatti, quindi il concreto pericolo per la salute pubblica deve ritenersi implicitamente ricompreso nella stessa tipologia di condotta.; per i giudici invece l’art. 440 c.p. ha una minore pregnanza lesiva, per cui le due norme sarebbero legate da un rapporto di sussidiarietà “l’avvelenamento si caratterizza per l’immissione di sostanze contaminanti di natura e in quantità tale che la loro assunzione, pur non avendo necessariamente potenzialità letale, produce in via ordinaria effetti tossici di notevole allarme sanitario, mentre l’adulterazione di acque determina un rischio sanitario di entità minore”[7], “il distinguo tra le due norme incriminatrici deve quindi essere ravvisato nella maggiore o minore gravità dell’offesa”.

Per cui in conclusione, la Cassazione ha riqualificato il delitto commesso dalla società imputata, condannandola ex art. 40 co 2 c.p., 440 co 1 c.p. e 452 co 2. La ragione risiede appunto nel fatto che la condotta della società era di tipo omissivo e non commissivo, come quella configurata dall’art. 438 c.p., e rientra per giunta nella fattispecie dell’art. 440 co 1 anche in quanto la concentrazione degli elementi patogeni veicolati nell’acqua non era elevata per cui anche se questa era stata causa di gastroenterite di una pluralità di persone, la malattia stessa non era particolarmente nociva per la salute valutati i tempi di guarigione dei soggetti infettati.

[1]Trib. Trento, 16 luglio 2004

[2]Cass. Penale, 8 marzo 1984, n. 6651

[3]Cass. Penale, 11 novembre 2014 n. 53747

[4]Cass. Penale, 8 maggio 2014, n. 22618

[5]Cass. Penale, Sez. IV, sent. 12 dicembre 2018, n. 9133

[6]Diritto Penale Contemporaneo, Sandro Felicioni, 20 giugno 2018

[7]Cass. Penale, Sez. IV, sent. 12 dicembre 2018, n. 9133

Valeria D'Alessio

Valeria D'Alessio è nata a Sorrento nel 1993. Sin da bambina, ha sognato di intraprendere la carriera forense e ha speso e spende tutt'oggi il suo tempo per coronare il suo sogno. Nel 2012 ha conseguito il diploma al liceo classico statale Publio Virgilio Marone di Meta di Sorrento. Quando non è intenta allo studio dedica il suo tempo ad attività sportive, al lavoro in un'agenzia di incoming tour francese e in viaggi alla scoperta del nostro pianeta. È molto appassionata alla diversità dei popoli, alle differenti culture e stili di vita che li caratterizzano e alla straordinaria bellezza dell'arte. Con il tempo ha imparato discretamente l'inglese e si dedica tutt'oggi allo studio del francese e dello spagnolo. Nel 2017 si è laureata alla facoltà di Giurisprudenza della Federico II di Napoli, e, per l'interesse dimostrato verso la materia del diritto penale, è stata tesista del professor Vincenzo Maiello. Si è occupeta nel corso dell'anno di elaborare una tesi in merito alle funzioni della pena in generale ed in particolar modo dell'escuzione penale differenziata con occhio critico rispetto alla materia dell'ergastolo ostativo. Nel giugno del 2019 si è specializzata presso la SSPL Guglielmo Marconi di Roma, dopo aver svolto la pratica forense - come praticante avvocato abilitato - presso due noti studi legali della penisola Sorrentina al fine di approfondire le sue conoscenze relative al diritto civile ed al diritto amministrativo, si è abilitata all'esercizio della professione Forense nell'Ottobre del 2020. Crede fortemente nel funzionamento della giustizia e nell'evoluzione positiva del diritto in ogni sua forma.

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