martedì, Ottobre 15, 2024
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Il regime del carcere duro: articolo 41 bis o.p.

La Corte di Cassazione torna nuovamente in soccorso per risolvere le presunte ombre di incostituzionalità che aleggiano sull’articolo 41 bis dell’Ordinamento penitenziario[1].

Il dispositivo normativo che disciplina le Situazioni di emergenza (di cui all’articolo 41 bis o.p.) è stato spesso oggetto di critica a causa della eccessiva vaghezza della norma che attribuirebbe al giudice un’ampia discrezionalità nell’attività interpretativa della norma de quo.

Nel caso di specie la Corte, investita della questione, ha risolto i dubbi circa la possibilità per il detenuto sottoposto al regime detentivo di cui all’articolo 41 bis, di poter disporre oltre che delle ore di socialità, di ulteriori ore all’aria aperta, secondo la ricostruzione effettuata dal Magistrato di sorveglianza competente.

La Corte di legittimità avallando l’interpretazione del giudice e richiamando a conferma della propria decisione l’articolo 10[2] e 12[3] dell’ordinamento penitenziario, ha asserito che le ore da poter trascorrere all’aria aperta e le ore destinate alla socialità, mirano a finalità differenti.

Difatti, se le ore all’aria aperta rispondono ad esigenze squisitamente di benessere psico-fisico del detenuto, che trovandosi in regime ristretto come quello di cui all’articolo 41 bis o.p. , necessita di ore da poter passare al di fuori della cella; diversamente,  le ore destinate alla socialità mirano al soddisfacimento dello scopo della pena, quale appunto la rieducazione.

Inoltre, la Corte ha premura di precisare che per “socialità” si deve intendere le ore da trascorrere in compagnia o in luoghi comuni, che si differenziano rispetto alle ore di attività di istruzione e/o di lavoro.

Le ore di “libertà” di cui il ristretto può beneficiare potranno essere ridotte unicamente in presenza di circostanze di emergenza o di pericolo, così come previsto dall’articolo 10 dell’ ordinamento penitenziario, situazione di fatto non verificatasi nel caso di specie.

Motivo per cui la Corte ritiene corretta l’interpretazione del Magistrato di sorveglianza affermando che ulteriori limitazioni potrebbero aversi :  “in attuazione di una normativa interpretata in senso ingiustificatamente restrittivo”. [4]

L’attività ermeneutica operata dalla Corte di Cassazione che propende per una visione dell’articolo 41 bis sicuramente più estensiva, ritrova conferma in un’ulteriore e recente sentenza[5].

Nel caso in esame ci si domandava se fosse compatibile con il regime del c.d. “carcere duro”, la possibilità per il detenuto di poter colloquiare, nei restanti ed ultimi dieci minuti, con il figlio di età inferiore ai dieci anni senza la presenza del vetro divisorio.

Il Ministero della Giustizia aveva impugnato per violazione di legge, il provvedimento con cui il Magistrato di sorveglianza aveva riconosciuto l’accesso a tale beneficio,  rilevando inoltre che una siffatta opportunità rendeva vane la lotta contro i reati delle organizzazione criminali, poiché facilitava il passaggio di possibili oggetti e/o informazioni.

Come  osservato dal Magistrato competente, permettere al ristretto di poter colloquiare con il figlio senza la presenza del vetro divisorio, in un tempo tra l’altro limitato, risulta compatibile con la disposizione normativa dell’articolo 28 o.p.  che disciplina i “rapporti con la famiglia” prevedendo che:

“Particolare cura é dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie”.

Inoltre tale concessione non  agevola lo scambio di informazioni o oggetti che possono risultare favorevoli per le associazioni, tenuto conto della integrale registrazione video e audio a cui sono sottoposti i colloqui dei detenuti al regime ristretto di cui all’articolo 41 bis ed adottando tutte le misure di sicurezza che risultino utili.

In Conclusione la Corte, richiamando i diversi precedenti giurisprudenziali, ove si era già affermata l’ammissibilità e la compatibilità di tale “beneficio”  con le esigenze rieducative del “carcere duro”, conferma l’interpretazione del Magistrato di sorveglianza.

L’articolo 41 bis, nonostante i continui interventi[6] della Corte Costituzionale che confermano la legittimità della norma, continua ad essere oggetto di forti critiche da parte della dottrina.

Ma cosa prevede la norma di cui all’articolo 41 bis o.p.?

Prima di procedere alla descrizioni analitica dell’articolo de quo, giova ricordare la storia della nascita del  41 bis.

Invero, l’esigenza di istituire un particolare regime detentivo  trae linfa dalla inadeguatezze delle carceri a seguito della strage di Capaci, che dimostrò  come i detenuti dalle celle riuscissero ad impartire ordine all’esterno, conservando, di fatto la propria egemonia.

La risposta legislativa si ebbe con il d.l. n. 306 del 1992, convertito in Legge  il 7.8.1992, n. 356, prevedendo per i soggetti facenti parte delle organizzazioni criminali sia il divieto di usufruire  dei numerosi benefici previsti dall’ordinamento penitenziario ed altresì individuando una serie di restrizioni alquanto severe.

Precisamente i detenuti al regime speciale di detenzione sono ristretti in particolari istituti a loro riservati, collocati in zone del carcere logisticamente separate dal resto dell’istituito, con isolamento diurno e notturno. (articolo 41 bis comma 2 quater)

Per quanto attiene i colloqui, questi sono riservati unicamente ai familiari e conviventi e ridotti al numero di uno al mese, sottoposti a controllo auditivo e di registrazione.

Ugualmente è prevista un’unica telefonata al mese di una durata massima di 10 minuti[7].

Le ore di permanenza all’esterno della cella non possono essere superiore a due e non può svolgersi in gruppi superiori a quattro persone.

E’ sempre l’articolo 41 bis che attraverso un rinvio all’articolo 4 bis individua quali siano i reati per i quali è applicabile il regime detentivo del carcere duro.

Tra questi rientrano i soggetti condannati per terrorismo, per i delitti di cui all’articolo 416 bis, per prostituzione minorile, delitto di sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’associazione mafiosa ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni mafiose,  delitto di violenza sessuale di gruppo, etc.

È facilmente desumibile che le condizioni previste dall’articolo 41 bis siano estremamente limitative e severe per il detenuto e così come ribadito dalla Corte che propendere per un’interpretazione restrittiva dell’articolo in esame già caratterizzato da corpose limitazioni, non risponde al fine ultimo a cui tende la pena, ovvero la risocializzazione e rieducazione: che non può essere del tutto pretermessa neppure di fronte ai detenuti connotati da allarmante pericolosità sociale, come appunto quelli sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41 bis Ord.

 

FONTI.

[1] Per la visione dell’articolo si veda qui:  www.altalex.com

[2] Articolo 10 O.p. Permanenza all’aperto.

“Ai soggetti che non prestano lavoro all’aperto è consentito di permanere almeno per due ore al giorno

all’aria aperta. Tale periodo di tempo può essere ridotto a non meno di un’ora al giorno soltanto per

motivi eccezionali.

La permanenza all’aria aperta è effettuata in gruppi a meno che non ricorrano i casi indicati

nell’articolo 33 e nei numeri 4) e 5) dell’articolo 39 ed è dedicata, se possibile, ad esercizi fisici.”

[3] Articolo 12 O.p.  Attrezzature per attività di lavoro di istruzione e di ricreazione.

“Negli istituti penitenziari, secondo le esigenze del trattamento, sono approntate attrezzature per lo

svolgimento di attività lavorative, d’istruzione scolastica e professionale, ricreative, culturali e di ogni

altra attività in comune.

Gli istituti devono inoltre essere forniti di una biblioteca costituita da libri e periodici, scelti dalla commissione prevista dal secondo comma dell’art. 16.

Alla gestione del servizio di biblioteca partecipano rappresentanti dei detenuti e degli internati.”

[4] Per il testo integrale della sentenza si veda qui: www.italgiure.giustizia.it  (Cass. Pen. Sez. I sent.  n. 40761/2018).

[5]Cass. pen., sez. I, sentenza  n° 28250/2014.

[6] Si vedano a tal proposito le sentenze n. 349/99, n. 357/94, n. 351/99.

[7] A tal proposito si veda la sentenza della Corte Costituzionale n. 143/2013 con riferimento alla possibile illegittimità costituzionale dell’articolo 41 bis comma 2-quater, lettera b.

Fonte immagine: www.movimentoesseresinistra.it

Tayla Jolanda Mirò D'Aniello

Tayla Jolanda Mirò D'aniello nata ad Aversa il 4/12/1993. Attualmente iscritta al V anno della facoltà di Giurisprudenza, presso la Federico II di Napoli. Durante il suo percorso univeristario ha maturato un forte interesse per le materie penalistiche, motivo per cui ha deciso di concludere la sua carriera con una tesi di procedura penale, seguita dalla prof. Maffeo Vania. Da sempre amante del sistema americano, decide di orientarsi nello studio del diritto processuale comparato, analizzando e confrontando i diversi sistemi in vigore. Nel privato lavora in uno studio legale associato occupandosi di piccole mansioni ed è inoltre socia di ELSA "the european law students association" una nota associazione composta da giovani giuristi. Frequenta un corso di lingua inlgese per perfezionarne la padronanza. Conseguita la laurea, intende effettuare un master sui temi dell'anticorruzione e dell'antimafia.

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