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Il regime del ‘carcere duro’ nuovamente sotto il vaglio – sanzionatorio – della Corte EDU

Il 28 ottobre 2018, nella decisione n. 55080/13, la Prima Sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU) ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). Il caso riguarda l’applicazione dell’art. 41 bis ordinamento penitenziario (Legge n. 354/1975), c.d. regime del carcere duro, a Bernardo Provenzano, boss della mafia siciliana, arrestato nel 2006, dopo una latitanza di oltre 40 anni.

  1. I Fatti

Provenzano fu condannato più volte, in contumacia, alla pena dell’ergastolo, accusato, tra l’altro, di reati di strage, omicidio aggravato, traffico di droga e possesso illegale di armi.

Durante la sua detenzione, egli era affetto da varie malattie croniche, che gli causarono anche un deterioramento delle funzioni cognitive. Dopo essere stato sottoposto a regolari controlli medici all’interno di strutture carcerarie ed ospedaliere, nel 2014 fu ricoverato nell’ala correzionale dell’Ospedale milanese San Paolo, dove morì nel luglio 2016.

Ripercorrendo brevemente la vicenda dell’esecuzione della pena di Provenzano, il Tribunale di sorveglianza di Bologna nel 2013 rigettò l’istanza di sospensione dell’esecuzione della detenzione alla luce delle condizioni di salute del condannato, considerando la perdurante pericolosità del soggetto e gli adeguati trattamenti medici di cui egli poteva disporre. Tale decisione trovò anche conferma presso la Cassazione.

In seguito, nel marzo 2014, il Ministro della Giustizia rinnovò l’applicazione del regime ex art. 41 bis per altri due anni, a causa della ancora attuale capacità di mantenere contatti con l’organizzazione criminosa di appartenenza.

Nel 2014, il Tribunale di Milano si pronunciò sul mantenimento in detenzione di Provenzano sotto il regime del carcere duro: alla luce di consulenze di professionisti medici indipendenti, si stabilì che la detenzione in un ospedale civile rendeva la restrizione dei diritti di Provenzano compatibile con il suo precario stato di salute. La Cassazione validò nuovamente tale decisione.

Infine, nel marzo 2016, il Ministro della Giustizia rinnovò con decreto per un altro biennio il regime ex art. 41 bis. Tale decisione fu adottata anche sulla scorta di informazioni sulla perdurante pericolosità di Provenzano ricevute dalla Direzione Nazionale Antimafia e dalla Direzioni Distrettuale Antimafia di Palermo.  Le DDA di Caltanissetta e Firenze, invece, espressero un parere negativo a causa dello stato di salute di Provenzano.

  1. La posizione della Corte EDU sul regime del carcere duro

 A. I precedenti giurisprudenziali

Come noto[1], l’art. 41 bis comporta la limitazione di numerose facoltà del condannato, la cui detenzione si caratterizza da forti limitazioni dei contatti con altri detenuti e con l’esterno. Tali restrizioni toccano, per esempio, il diritto alla corrispondenza, alle comunicazioni telefoniche e agli incontri con i famigliari. Si noti che non si persegue alcuna finalità punitiva, ma si vuole piuttosto evitare il mantenimento dei contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza. La Corte EDU confermò la compatibilità del regime del carcere duro con l’art. 3 CEDU già all’inizio degli anni 2000 nei casi Labita e Natoli[2]. Si affermò che le misure previste dal legislatore italiano non raggiungono la soglia necessaria per configurare un trattamento inumano o degradante, anche in caso di applicazione prolungata nel tempo delle restrizioni.

Appare però necessaria un’analisi in concreto circa l’adeguatezza del regime carcerario di cui all’art. 41 bis, poiché potrebbero riscontrarsi profili di inconvenzionalità avuto riguardo delle peculiarità del caso di specie[3]. Infatti, lo Stato deve garantire la dignità dei detenuti, soprattutto qualora le loro condizioni di salute siano precarie. E’ per esempio indispensabile un’adeguata assistenza medica: nel caso Martinelli, la Corte di Strasburgo concluse per la violazione dell’art. 3 CEDU per le critiche condizioni sanitarie del detenuto che erano incompatibili con l’applicazione del regime restrittivo[4].

B. La decisione nel caso di specie

La sentenza Provenzano ricorda che nell’ordinamento italiano si prevedono casi di rinvio obbligatorio[5] e facoltativo[6] dell’esecuzione della pena non pecuniaria.

La Corte nota che, soprattutto in riferimento all’ultimo periodo di detenzione presso l’ospedale San Paolo, non vi è la possibilità di dubitare circa l’adeguatezza delle cure applicate a Provenzano. Inoltre, egli aveva la possibilità di adire le autorità giudiziarie per determinare la compatibilità della sua salute con la detenzione che perciò non era per se incompatibile con la situazione terapeutica dell’interessato né costituiva una violazione dell’art. 3[7].

Invece, la questione si complica rispetto all’applicazione dell’art. 41 bis, anche durante i ricoveri ospedalieri, nell’ultimo periodo della detenzione. La Corte infatti non ritiene sufficiente la prova della perdurante pericolosità di Provenzano per l’applicazione delle limitazioni alle libertà e ai diritti del soggetto.

Rispetto ai precedenti casi esaminati in materia di 41 bis, la peculiarità individuata dalla Corte EDU riguarda il progressivo declino delle funzioni cognitive di Provenzano[8]. Sottolineando il carattere inderogabile del rispetto della dignità umana, quale fondamento essenziale della CEDU, i giudici di Strasburgo danno un’interpretazione garantista dell’art. 3, per evitare misure arbitrarie, al fine di rendere effettiva la tutela della Convenzione. Per rinnovare l’imposizione delle restrizioni ex art. 41 bis è necessario un genuino riesame degli sviluppi della situazione clinica dell’interessato. La Corte EDU individua quindi criticità nel rinnovo dell’applicazione del carcere duro a partire dal 2016, quando le condizioni di Provenzano avevano subìto un forte deterioramento. Infatti, la decisione ministeriale conteneva un’attenta analisi sulla pericolosità del soggetto, ma mancava un altrettanto approfondito esame del suo stato di salute, che sarebbe stato un parametro da bilanciare con l’esigenza del rinnovo del 41 bis.

Si noti che, nel 2016, la DNA, nell’esprimere un’opinione favorevole al mantenimento del regime del carcere duro, aveva preso in considerazione il peggioramento della salute di Provenzano, concludendo però sulla possibilità di ricevere un’adeguata assistenza medica anche in caso di rinnovo del regime restrittivo.

  1. Conclusioni

Il regime del carcere duro ex art. 41 bis ordinamento penitenziario non è di per se contrario alla CEDU. Tuttavia, l’Italia viene condannata dalla Corte EDU nel peculiare caso Provenzano, dato il progressivo e avanzato deterioramento della salute fisica e cognitiva del detenuto. Attraverso un’interpretazione garantista della CEDU, i giudici europei subordinano le esigenze di prevenzione a quelle di tutela della dignità del detenuto.

Le condizioni di salute del soggetto, soprattutto in casi di gravi patologie, devono assumere un peso maggiore nelle considerazioni delle autorità nazionali circa la necessità di importanti restrizione dei diritti nell’esecuzione della pene di reclusione. In assenza di un adeguato bilanciamento tra dignità del detenuto e necessità di misure preventive, la Corte EDU ravvisa la violazione dell’art. 3 CEDU, con conseguente responsabilità dello Stato. Si noti, infine, che nel caso in esame, l’Italia non fu condannata al pagamento di alcuna somma di denaro alla parte vittoriosa, poiché la determinazione della violazione della CEDU è stata considerata dai giudici di Strasburgo sufficiente soddisfazione per il danno non patrimoniale subìto dal ricorrente.

Fonte dell’immagine: www.lasicilia.it

[1] Sul regime ex 41 bis si veda più estesamente il contributo di Tayla Jolanda Mirò D’Aniello del 2 novembre 2018, Il regime del carcere duro: articolo 41 bis o.p., disponibile al link https://www.iusinitinere.it/il-regime-del-carcere-duro-articolo-41-bis-o-p-13175 .

[2] 6 aprile 2000, Labita c. Italia, n°26772/85; 9 gennaio 2001, Natoli c. Italia, n° 43612/10.

[3] §§126-9, Provenzano c. Italia, The assessment of this minimum is relative: it depends on all the circumstances of the case, such as the duration of the treatment, its physical and mental effects and, in some cases, the sex, age and state of health of the victim …the Court reserves a degree of flexibility in defining the required standard of health care, deciding it on a case-by-case basis. Si veda anche la decisione Enea c. Italia, no. 74912/01, 2009.

[4] CEDU, 24 gennaio 2006, Martinelli c. Italia, n°68625/01.

[5] L’art. 146 cp comma 1, numero 3 comprende i casi di persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell’art. 286 bis, comma 2, del codice di procedura penale, ovvero da altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, quando la persona si trova in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative.

[6] L’art. 147 cp dispone che l’esecuzione della pena restrittiva della libertà personale può essere differita se il soggetto versa in condizioni di grave infermità fisica, salvo i casi in cui sussista il concreto pericolo della commissione di delitti.

[7] Provenzano c. Italia, §§ 138-40.

[8] Provenzano c. Italia, §§ 150-2.

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