venerdì, Marzo 29, 2024
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Il regime della prova nell’arbitrato commerciale internazionale

La nozione di arbitrato commerciale internazionale

L’arbitrato internazionale rappresenta la primaria (rectius, unica) forma di giustizia internazionale per la risoluzione delle controversie di natura commerciale. In generale, tale istituto permette di risolvere complessi conflitti transnazionali mediante il ricorso ad un modello procedimentale capace di adattarsi flessibilmente alle peculiari esigenze delle parti interessate, prevedendo la nomina di organi giudicanti neutrali e dotati di specifiche competenze in merito ai fatti di causa, nonché l’adozione di una procedura tesa al miglior soddisfacimento delle parti.

L’ampia flessibilità che caratterizza le procedure arbitrali, pur costituendo un elemento di pregio e peculiarità dell’istituto in esame, merita di essere sottoposta ad una prudente analisi, al fine di verificare l’effettiva sussistenza (o meno) di un corretto bilanciamento tra esigenze di flessibilità (tipiche del procedimento arbitrale) e tutela della certezza del diritto (a garanzia delle parti). In altri termini, è lecito interrogarsi in merito all’ampia discrezionalità attribuita in capo ai tribunali arbitrali, la quale, seppur giustificata da esigenze di economia processuale e dalla variegata cultura socio-giuridica dei protagonisti del procedimento arbitrale, rischia di ledere i diritti delle parti alla parità di trattamento, all’effettiva applicazione del principio contraddittorio, nonché il diritto in capo a ciascuna parte di far valere nel procedimento le proprie ragioni («each party shall be given a full opportunity of presenting his case»[1]).

Se da un lato è indubbio che attribuire poteri illimitati agli arbitri equivarrebbe a privare le parti di qualsiasi garanzia, tuttavia, a livello internazionale, non sembra sussistere uno specifico e cogente sistema di norme applicabili in materia di acquisizione delle prove nel corso del procedimento arbitrale, al fine di circoscrivere sostanzialmente la discrezionalità dell’organo giudicante[2]. A tal proposito, la progressiva armonizzazione tra le procedure tipiche delle tradizioni di common law e di civil law ha dato vita allo sviluppo di una disciplina tendenzialmente elastica, capace di adattarsi alle esigenze del singolo caso concreto. Di qui la necessità di analizzare la sussistenza di eventuali limiti operativi al c.d. principio di flessibilità, finalizzati ad escludere il pericolo di abusi che comportino l’applicazione di un trattamento iniquo nei confronti delle parti.

La scelta della disciplina applicabile al procedimento arbitrale

 La necessità di evitare che gli arbitri siano investiti del potere incontrollato di determinare le regole applicabili in merito alla disciplina dell’istruzione probatoria, dunque, rende necessaria l’individuazione di strumenti normativi finalizzati a disciplinare l’operato dei tribunali arbitrali, nel difficile ruolo di bilanciamento tra esigenze di flessibile speditezza del procedimento e garanzia dei diritti delle parti.

Preliminarmente, occorre sottolineare che l’arbitrato internazionale non è automaticamente soggetto all’applicazione delle regole nazionali che vigono in materia di processi statali (c.d. lex fori). Al contempo, deve ritenersi pacifico l’orientamento secondo cui, salvo il principio di autonomia delle parti, gli arbitri sono chiamati a rispettare le eventuali norme imperative – contenute in leggi statali – specificamente disciplinatrici della procedura arbitrale  (c.d. lex arbitri). Si pensi, ad esempio, alla disciplina italiana di cui all’art. 816-bis del codice di procedura civile[3] ed a quella francese di cui all’art. 1460 e ss. del code de procèdure civile[4].

Al di là dei requisiti imperativi minimi contenuti nella lex arbitri – nei casi di arbitrato ad hoc[5]il potere di stabilire contrattualmente la disciplina da applicarsi al singolo procedimento arbitrale (c.d. lex causae) è direttamente attribuito alle parti del procedimento, nonostante sia particolarmente raro che queste ultime riescano ad accordarsi su una disciplina che regoli in via diretta l’intero giudizio. In assenza di uno specifico accordo negoziato dalle parti, il tribunale arbitrale gode quindi di ampia autonomia e discrezionalità nella scelta della disciplina applicabile al procedimento, sì da rendere necessaria un’analisi sul contenuto della c.d. default procedural discretion[6], nell’intento di identificare i limiti entro cui circoscrivere il potere discrezionale dell’organo giudicante.

Secondo autorevole dottrina, ad eccezione delle norme imperative di cui alla summenzionata lex arbitri, l’autonomia delle parti non incontrerebbe alcun limite in merito a decisioni riguardanti qualsiasi aspetto della procedura dell’arbitrato ad hoc; di contro, il potere arbitrale sarebbe da intendersi come confinato solo a taluni aspetti procedurali di natura “dinamica” (si pensi, ad esempio, alla possibilità di scandire le fasi e le modalità di ammissione delle prove)[7]. Di guisa che, interpretando  estensivamente l’art. 816-bis c.p.c., le parti sarebbero legittimate non solo a dettare regole procedimentali, ma anche ad incidere – direttamente o indirettamente – sul merito della controversia. Al contrario, secondo l’orientamento adottato nella prassi, il tribunale arbitrale potrebbe limitarsi soltanto «a creare regole di mera tecnica»[8], sì da promuovere un atteggiamento limitativo dei poteri degli arbitri in un’ottica di valorizzazione dell’autonomia privata.

Dalla (deliberata) lacunosità di discipline cogenti in tema di istruzione probatoria, emerge dunque la necessità di ricercare linee guida liberamente richiamabili dalle parti (e, nei limiti suesposti, dagli arbitri) in sede di procedimento. Ed allora, nelle ipotesi di arbitrato ad hoc, le parti potranno volontariamente invocare l’applicazione di talune fonti di soft law (quali, ad esempio, IBA Rules on Evidence, UNCITRAL Model Law, Princìpi UNIDROIT, Prague Rules) ovvero, nelle ipotesi di arbitrato c.d. istituzionale, le stesse parti potranno fare affidamento all’applicazione di uno dei numerosi regolamenti arbitrali (tra gli altri, ICC Rules, LCIA Rules, AAA Rules, CAM Arbitration Rules, UNCITRAL Arbitration Rules), potendo i suddetti strumenti esercitare, nel caso concreto, le vesti di guida informale capace di investire il tribunale arbitrale di un vasto «power to determine the admissibility, relevance, materiality and weight of evidence»[9].

In un’ottica di bilanciamento tra libera autonomia delle parti e discrezionalità del tribunale arbitrale, particolare interesse riveste il manifesto accoglimento di un approccio collaborativo (c.d. meet and consult method)[10] in base al quale le scelte sulla normativa applicabile adottate dalle parti possono essere integrate dall’intervento arbitrale – qualora la disciplina convenzionalmente adottata risulti lacunosa – purché in accordo con le medesime parti interessate[11]. Conformemente a tale approccio, l’art. 2.3(a) delle IBA Rules on Evidence esorta il tribunale arbitrale a rendere noto, nei confronti delle parti del procedimento, qualsiasi elemento che sia ritenuto di particolare rilievo per il caso specifico, nonché per l’esaustiva decisione della controversia, incentivando un dialogo collaborativo tra il tribunale arbitrale e le parti già durante le prime fasi del procedimento. Sulla falsariga di quanto sopra, assume un ruolo fondamentale anche la previsione di cui all’art. 24, comma 1, ICC Rules (rubricato “Case Management Conference and Procedural Timetable”)[12], in forza del quale – nei procedimenti soggetti al Regolamento ICC – è lecito ritenere sussistente in capo agli arbitri il vincolo all’assunzione di un approccio collaborativo che preclude loro la possibilità di assumere in via unilaterale decisioni meramente discrezionali in merito agli aspetti procedurali.

In estrema sintesi, l’assenza di vincoli connessi alla lex fori e l’esiguo numero di norme imperative di cui alla (eventuale) lex arbitri rappresentano un elemento chiave, nonché di grande flessibilità, della procedura arbitrale, nella quale diviene anzitutto difficile identificare la normativa specifica da applicarsi al caso concreto, eccettuate esclusivamente le ipotesi in cui le parti si siano accordate riguardo la legge applicabile al merito della controversia (lex causae)[13].

Sull’amministrazione della prova

Stante il principio secondo cui le regole in materia di istruzione probatoria previste nei processi statali non trovano applicazione nell’arbitrato internazionale, in tale ultima sede si rende necessaria l’adozione di soluzioni ad hoc che – grazie alla loro specificità ed eterogeneità – sono suscettibili di dar vita ad un complesso di regole procedurali e sostanziali talmente specifico da non essere riconducibile ad alcun preesistente ordinamento giuridico processuale.

Un interessante, seppur non esaustivo, tentativo di identificare una serie di regole procedurali mutuate dalle differenti tradizioni di civil law e common law è contenuto nelle summenzionate IBA Rules on the Taking Evidence (2010), le quali rappresentano una guida – ad adesione volontaria – finalizzata ad indirizzare l’ampia discrezionalità del tribunale arbitrale verso l’adozione di soluzioni procedurali conoscibili – e, dunque, potenzialmente prevedibili – dalle stesse parti. In altri termini, l’obiettivo del predetto complesso di princìpi di soft law (dunque, non cogenti se non per espresso accordo negoziale) è teso a far sì che le parti possano, per loro volontaria adesione, selezionare un dato complesso di regole procedurali, al fine di adottare una “guida informale” che possa agevolare lo svolgimento delle attività degli arbitri, nonché le garanzie delle parti. In tal modo, pur mantenendo un ampio regime di flessibilità, l’adozione volontaria delle soft laws consente alle parti di prevedere l’esito dello svolgimento della procedura arbitrale, altrimenti marcatamente incerto in quanto rimesso ad una quasi illimitata discrezionalità di giudizio.

Ad esclusione delle poche norme inderogabili che costituiscono un principio cardine della tutela dei diritti delle parti (quali, per esempio, equo processo, parità di trattamento, principio del contraddittorio), l’assenza di disposizioni normative cogenti, di respiro internazionale, rende dunque lecito desumere due princìpi fondamentali.

In primo luogo, almeno in teoria, qualsiasi mezzo di prova sembrerebbe consentito, se non espressamente escluso in forza di: (i) espresso accordo delle parti (ii) decisione ad hoc assunta in merito dagli arbitri (iii) nonché previsioni contenute in norme inderogabili di legge[14]. Di guisa che, differentemente dalla disciplina della prova applicabile nei singoli ordinamenti nazionali, l’arbitrato commerciale internazionale si caratterizza per la generale ammissibilità di mezzi di prova e strumenti investigativi quali, ad esempio, la testimonianza (LCIA Rules art. 20; ICC Rules 25.3; UNCITRAL Model Law artt. 20.2, 26.2; UNCITRAL Rules 17.3, 27.2; IBA Rules on Evidence art. 4), la prova documentale (ICC Rules artt. 25.2, 25.6; UNCITRAL Model Law artt. 23.1, 24.1, 24.2, 24.3; UNCITRAL Rules artt. 15.4, 24.3, 24.4; LCIA Rules art. 15; IBA Rules on Evidence art. 3), l’ispezione di beni e luoghi (LCIA Rules 21.3; UNCITRAL Rules art. 29.3; IBA Rules on Evidence art. 6.3), senza tuttavia attribuire alcuna natura tassativa e perentoria ai singoli mezzi di prova variamente elencati.

In secondo luogo, ogni elemento probatorio è reso liberamente valutabile dagli arbitri in forza di un potere che consente loro di superare i limiti delle legislazioni nazionali nella graduazione dell’efficacia dei singoli mezzi di prova[15]. È dunque possibile rilevare come, nella prassi, l’ampia libertà riconosciuta in capo ai tribunali arbitrali tenda ad alimentare il complesso dibattito in merito a quale sia, in assenza di una chiara guida, il modus operandi che ciascun arbitro è auspicabilmente chiamato ad adottare ai fini dell’acquisizione delle prove nel procedimento arbitrale. In merito all’efficacia ed ammissibilità delle prove, si ritiene in generale che, negli arbitrati internazionali, «(t)he evaluation of evidence is entirely within the discretion of the tribunal»[16], il che è principio conforme all’assenza di un rigido sistema di predeterminazione dell’efficacia delle prove, nell’intento di promuovere l’adozione di soluzioni ad hoc da assumersi caso per caso. Sul punto, è esemplare la disciplina dell’art. 25, comma 2, CAM Rules il quale, nell’affermare – in materia di arbitrato amministrato – che «il Tribunale Arbitrale valuta liberamente tutte le prove, salvo quelle che hanno efficacia di prova legale secondo norme inderogabili applicabili al procedimento o al merito della controversia», consacra il principio del libero apprezzamento delle prove, salvi i limiti derivanti da norme inderogabili di legge.

Seppur l’idea di assistere ad un procedimento specificamente modellato sulle peculiari esigenze delle parti possa astrattamente affascinare il giurista, è lecito tener conto delle conseguenze pratiche che tale meccanismo comporta in merito alle garanzie di certezza del diritto, nonché dell’economicità e speditezza dell’intera procedura arbitrale.

Al di là della specificità delle differenti discipline statali, la quale alimenta un evidente divario tra corti nazionali, è pacifica l’importanza attribuita alle garanzie di certezza del diritto, per cui sussiste un consenso unanime in relazione ai concetti di due process e fair trial, anche in forza di quanto disposto dall’art. 6, comma 1, CEDU[17]. Tale unitarietà di consensi, tuttavia, non sembra attenuare la manifesta onerosità che le parti incontrano nel dimostrare l’eventuale verificarsi di una violazione dei suddetti principi in sede di arbitrato internazionale, soprattutto quando, in merito all’istruzione probatoria, l’assenza di una disciplina cogente a livello internazionale legittima il rifiuto dell’ammissione di un determinato mezzo di prova da parte del tribunale arbitrale semplicemente a condizione che ne sia data (discrezionale) motivazione[18]. In termini pratici, considerando la progressiva armonizzazione tra i diversi orientamenti di common law e civil law, l’ampia discrezionalità degli arbitri – assente una guida specifica che ne indirizzi il modus operandi – può dunque compromettere la posizione delle parti nel veder garantito anzitutto il diritto alla parità di trattamento. Si pensi, ad esempio, all’interrogatorio dei terzi che intervengono quali testimoni nel procedimento. La tradizione di common law, com’è noto, si fonda anzitutto sulla tecnica della cross-examination, in forza della quale la fase dell’interrogatorio viene gestita quasi autonomamente dai difensori delle parti (party-led system); al contrario,  nell’orientamento di civil law i testimoni sono interrogati dal giudice (judge-led system), con la facoltà per gli avvocati di avanzare, eventualmente, ulteriori quesiti. Nell’arbitrato commerciale internazionale, tra gli altri, l’art. 8.3 delle IBA Rules on Evidence attribuisce la facoltà sia in capo alle parti che agli arbitri di procedere all’interrogatorio dei testimoni; l’art. 28.2 delle UNCITRAL Rules conferisce al tribunale arbitrale il potere di stabilire liberamente le modalità di svolgimento dell’interrogatorio («witnesses, including expert witnesses, may be heard under the conditions and examined in the manner set by the arbitral tribunal»)[19]; ed ancora l’art. 3(5) delle ICC Arbitration Rules sancisce il principio secondo cui il tribunale arbitrale può, a seguito di consultazione con le parti, decidere in merito alla controversia anche solo sulla base delle prove documentali presentate dalle parti, con esclusione dell’audizione e dell’esame dei testimoni o degli esperti («The arbitral tribunal may, after consulting the parties, decide the dispute solely on the basis of the documents submitted by the parties, with no hearing and no examination of witnesses or experts. When a hearing is to be held, the arbitral tribunal may conduct it by videoconference, telephone or similar means of communication»)[20]. Da quanto precede è lecito desumere che, in assenza di un espresso accordo in materia, nell’ipotesi in cui il procedimento arbitrale sia condotto da arbitri vicini alla tradizione di common law, i difensori delle parti che siano maggiormente vicini alla tradizione civilistica potrebbero risultare parzialmente svantaggiati nelle predette fasi di interrogatorio, in quanto non soliti all’espletamento di tecniche di cross-examination nel loro ambito nazionale. In altri termini, il procedimento arbitrale potrebbe essere condizionato più dalle abilità dialettiche e persuasive dei difensori di common law (certamente “allenati” all’utilizzo di tecniche di controesame) che dai contenuti giuridici e sostanziali delle pretese avanzate dalle parti. Un ulteriore esempio espressione della suesposta criticità risulta, inoltre, dalla pacifica ammissione nell’arbitrato internazionale di una totale equiparazione delle parti ai testimoni, mutuata dalla tradizione di common law, a sostegno del quale princìpio si esprime l’art. 4.2 delle IBA Rules on Evidence («any person may present evidence as a witness, including a Party or a Party’s officer, employee or other representative»[21]). In tale contesto si assiste, pertanto, ad una soluzione mista, emulata da tradizioni giuridiche diverse che, pur nel suo fascino, trapela una manifesta fragilità ed incertezza.

Limiti al principio di flessibilità

Nel riassumere le attuali tendenze in materia di disciplina delle prove è inevitabile ribadire il principio secondo cui l’autonomia degli arbitri non incontra sostanzialmente alcun limite procedurale, salvo il rispetto dei princìpi fondamentali di un equo processo. Come si è detto, l’assenza di regole specifiche in materia di prove è sovente colmata dagli accordi con cui le parti pattuiscono limiti all’ammissibilità dei mezzi di prova[22].

Limitazioni al principio di flessibilità possono dunque scorgersi nell’adesione volontaria delle parti all’arbitrato attraverso la predisposizione (ex ante) di una clausola compromissoria, ovvero mediante il ricorso (ex post) ad un compromesso stipulato a questione già insorta. Più in generale, la procedura arbitrale consente alle parti di ottenere la struttura procedurale più adatta –  modellata ad hoc –  alla risoluzione della loro controversia. È tuttavia molto raro che, a seguito dell’accordo su un dato regolamento o sull’applicazione di generici strumenti di soft law, le parti convengano ed integrino la (pur sempre lacunosa) disciplina sul procedimento e, più nello specifico, quella sull’assunzione e presentazione delle prove in giudizio.

In conclusione, sarebbe opportuno riflettere in merito all’effettivo ruolo esercitato dagli strumenti di soft law, nonché alla possibilità che questi ultimi formino le basi di un vero e proprio codice della prova nell’arbitrato internazionale in seguito, certamente, all’ulteriore perfezionamento ed integrazione dei princìpi in esse contenuti. Potrebbe dunque auspicarsi l’ulteriore sforzo creativo di disciplinare in maniera unitaria la materia in esame, consentendo all’arbitrato commerciale internazionale di conseguire un certo grado di maggiore completezza e prevedibilità degli esiti, mediante la costruzione di una vera e propria guida di specifiche garanzie proprie della procedura arbitrale internazionale, senza tuttavia compromettere il principio di flessibilità.

[1] Art. 18 UNCITRAL Model Law;  art. 17 UNCITRAL Rules; art. 14.4(i) LCIA Rules; art. 5.2 ICC Rules.

[2] Per una interessante disamina delle differenze tra prudente apprezzamento e libero convincimento, si veda S. PATTI, Le prove. Parte generale, in G. IUDICA, P. ZATTI (a cura di), Trattato di diritto privato, Milano, 2010, pp. 215-226.

[3] Art.816-bis, Codice di Procedura Civile: «Le parti possono stabilire nella convenzione d’arbitrato, o con atto scritto separato, purché anteriore all’inizio del giudizio arbitrale, le norme che gli arbitri debbono osservare nel procedimento e la lingua dell’arbitrato. In mancanza di tali norme gli arbitri hanno facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio e determinare la lingua dell’arbitrato nel modo che ritengono più opportuno. Essi debbono in ogni caso attuare il princìpio del contraddittorio, concedendo alle parti ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa. Le parti possono stare in arbitrato per mezzo di difensori. In mancanza di espressa limitazione, la procura al difensore si estende a qualsiasi atto processuale, ivi compresa la rinuncia agli atti e la determinazione o proroga del termine per la pronuncia del lodo. In ogni caso, il difensore può essere destinatario della comunicazione della notificazione del lodo e della notificazione della sua impugnazione […]».

[4] Art. 1460 Code de Procèdure: Civile«Les arbitres règlent la procédure arbitrale sans être tenus de suivre les règles établies pour les tribunaux, sauf si les parties en ont autrement décidé dans la convention d’arbitrage. Toutefois, les principes directeurs du procès énoncés aux articles 4 à 10, 11 (alinéa 1) et 13 à 21 sont toujours applicables à l’instance arbitrale. Si une partie détient un élément de preuve, l’arbitre peut aussi lui enjoindre de le produire.»

[5] Sulla differenza tra arbitrato ad hoc ed arbitrato c.d. istituzionale o amministrato si veda F. BORTOLOTTI, Arbitrato Commerciale Internazionale, 2019, pp. 27 ss.

[6] In tale complesso scenario, ci si interroga se sia richiesto agli arbitri di stabilire preliminarmente la normativa che governerà tutti gli aspetti procedurali della controversia o se, al contrario, non sia più opportuno che l’organo giudicante scelga la disciplina applicabile al caso di specie solo dopo esser venuto a conoscenza dei fatti che concernono la controversia, al fine di evitare che la scelta in merito al regime normativo applicabile possa risultare lacunosa rispetto alla complessità delle questioni emergenti dal caso concreto. Per una approfondita analisi sul tema si veda P. FOUCHARD, E. GAILLARD and B. GOLDMAN (1999) On International Commercial Arbitration, p. 647 ss.

[7] G. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, 2013, Torino, p. 144-145.

[8] F. AULETTA, Autonomia delle parti, poteri degli arbitri e procedimento arbitrale, in Giusto Processo Civile, 2011, 2, p. 385 ss.

[9] Cfr. art. 19.2 UNCITRAL Model Law; art. 27.4 UNCITRAL Rules; art. 9.1 IBA Rules on Evidence; art. 25.1 ICC Rules.

[10] Cfr. Art. 2 IBA Rules on Evidence. Sul punto è stato sostenuto che nell’ipotesi in cui le parti abbiano opinion divergenti in merito alla disciplina applicabile al caso di specie, una soluzione è rappresentata da «a procedural meeting beetween the arbitral tribunal and the representatives of the parties, so that the procedure to be followed can be discussed, determined and set down in writing» (cit. A. REDFERN e M. HUNTER, Law and Practice of International Commercial Arbitration, 2004, p. 72 ss.)

[11] In quest’ottica, L. HEUMAN, Arbitration Law of Sweden: Practice and Procedure, 2003, New York, p. 250, secondo il quale: «(p)eraphs the party autonomy principle is important above all because the arbitrators should not

make any procedural decisions without asking the parties how they want the proceedings to be conducted.

Even if the parties cannot agree among themselves, opportunities are created for the arbitrators

to make compromise decisions».

[12] Art. 24, comma 1, ICC Rules: «When drawing up the Terms of Reference or as soon as possible thereafter, the arbitral tribunal shall convene a case management conference to consult the parties on procedural matters […]»

[13] F. EMANUELE e M. MOLFA Evidence in International Arbitration: The Italian Perspective and Beyond, 2016, p. 5.

[14] E. F. RICCI, La prova nell’arbitrato internazionale tra principio di flessibilità e regole di correttezza: una pietra miliare verso l’armonizzazione di tradizioni diverse, in Rivista dell’Arbitrato, 2008, fasc. 3, p. 315.

[15] Pur nel rispetto del principio del libero apprezzamento, la prassi arbitrale è ben consapevole della necessità di bilanciare il peso probatorio dei differenti mezzi di prova a seconda delle circostanze. Si veda, ad esempio, il caso ICC n. 12575, ord. proc. del 16 dicembre 2003 (in D. HASCHER, Decisions on ICC Arbitration Procedure: A Selection of Procedural Orders issued by Arbitral Tribunals acting under the ICC Rules of Arbitration (2003-2004), 2011), in merito all’efficacia probatoria di written statements, ai quali non faccia seguito in giudizio l’escussione orale del dichiarante, rispetto agli statements prodotti in giudizio ed asseverati oralmente mediante interrogatorio. Ai primi si riconosce efficacia di prova documentale, pur a ridotto valore probatorio, in quanto formata appositamente per i fini del procedimento in esame; ai secondi, invece, è attribuito vero e proprio valore di prova testimoniale.

[16] R. PIETROWSKI, Evidence in International Arbitration, in Arbitration International, 2006, 3, p. 75 ss. Si veda inoltre S.A. SALEH, Reflections on Admissibility of Evidence: Interrelation between Domestic Law and International Arbitration, in Arbitration International, 1999, p. 142 ss. In tale contesto, è interessante l’opinione di chi ha ritenuto che l’ampia discrezionalità degli arbitri debba comunque sempre essere supportata da un «robust common sense» (A. MARRIOT, Evidence in International Arbitration, in Arbitration International, 1989, 3, p. 280 ss.

[17] Il quale recita: «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti […]».

[18] In merito al diniego di richieste istruttorie si veda M. MUSTILL e S. BOYD, Commercial Arbitration, 1989, London, cap. VI.

[19] Cfr. ICC Art. 25, comma 3,

[20] Sul punto si vedano anche Art. 20(4) LCIA Rules: «The Arbitral Tribunal may decide the time, manner and form in which these written materials shall be exchanged between the parties and presented to the Arbitral Tribunal; and it may allow, refuse or limit the written and oral testimony of witnesses»; Art. 5(2) CAM Rules: «L’arbitro conduce il procedimento nel modo che ritiene più opportuno e più idoneo a favorirne una rapida conclusione. In particolare, sentite le parti, l’arbitro può limitare la lunghezza e l’oggetto delle memorie delle parti, il numero dei documenti e il numero di testimoni eventualmente richiesti».

[21] F. BORTOLOTTI, Arbitrato Commerciale Internazionale, 2019, p. 251.

[22]A.  FABBI, La prova nell’arbitrato internazionale: limiti all’autonomia della volontà nella disciplina dell’istruzione e modelli di case management della prassi del commercio internazionale, 2014, pp. 60 ss.

Dott.ssa Elena Terrizzi

Dottoranda in Diritto e Impresa presso la LUISS Guido Carli.

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