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Il regime di applicabilità del D.Lgs. 231/01 alle società unipersonali

A cura di Francesco Stridi 

Il 16 Luglio 2020 è stata depositata una sentenza del GUP di Milano che ha nuovamente affrontato il tema dell’applicabilità del regime di responsabilità amministrativa dipendente da reato degli enti alle società unipersonali.

La vicenda ha visto coinvolti i due amministratori (nonché fratelli) di cui uno unico socio di una S.r.l., anch’essa tratta a giudizio per l’illecito amministrativo di cui all’art. 24 D.lgs. 231/01, per il delitto di truffa ai danni dello Stato (art. 640, co. 2, c.p.).[1] Nello specifico, i fatti contestati agli imputati riguardavano la falsificazione delle ricevute attestanti il pagamento di tributo relativo all’occupazione del suolo pubblico al Comune di Milano.

Per quel che concerne la posizione dell’ente, il Pubblico Ministero contestava “ritualmente” la mancata adozione di “modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello contestato, commessi per conto e nell’interesse della società”.[2] A fronte di siffatta imputazione, i difensori delle persone fisiche chiedevano e ottenevano l’ammissione alla messa alla prova e, pertanto, la separazione del procedimento. La difesa della società, invece, eccepiva l’impossibilità di applicare il regime di responsabilità degli enti ex D.lgs. 231/01, in quanto non era rinvenibile centro autonomo di interessi in capo all’ente distinto da quello riconducibile si suoi apicali.

Il giudice meneghino, esaminata la questione, ha pronunciato sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. nei confronti della società perché il fatto non sussiste. Nello specifico, il GUP ha accolto la tesi difensiva dell’ente, statuendo la non sussistenza di “alcuna reale distinzione tra i soggetti fisici e la persona giuridica[3]. A giudizio del GUP milanese, infatti, le evidenze fattuali non hanno reso possibile “scorgere un centro autonomo di imputazione di rapporti giuridici nella V.A. s.r.l. che possa distinguersi dagli interessi della persona fisica del già Presidente del CdA ed ora liquidatore[4]. In conseguenza di ciò, il giudice ha ritenuto di non applicare il regime di responsabilità amministrativa da reato che, invece, “immagina contegni penalmente devianti tenuti da persone fisiche nell’interesse di strutture organizzative di un certo rilievo di complessità quale centro di imputazioni di rapporti giuridici distinto da chi ha materialmente operato”.[5]

La sentenza esaminata compie un passo importante su un tema molto dibattuto dal Supremo Collegio. La questione dell’applicabilità del regime di responsabili degli enti alle società unipersonali, infatti, è stato oggetto di diverse pronunce della Cassazione la quale, sul punto, si è divisa in due orientamenti distinti.

  • Il primo poggia sulla distinzione formale che sussiste tra persona fisica e persona giuridica e ritiene, conseguentemente, sempre applicabile il regime di responsabilità degli enti anche alle società unipersonali in quanto: “soggetto di diritto distinto dal soggetto che ne detiene le quote”.[6]
  • Il secondo, basato su una visione meno formale, afferma che “la disciplina prevista dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità da reato delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni, anche prive di personalità giuridica, non si applica alle imprese individuali, in quanto si riferisce ai soli enti collettivi.[7] Questa tesi degli ermellini poggia sull’assunto che, come rilevato dalla relazione governativa sul D.Lgs. 231/01, l’ente è da intendersi come “autonomo centro di interessi e di rapporti giuridici”, ovverosia come soggetto “titolare di un proprio interesse distinto e ulteriore rispetto a quello delle persone che lo compongono, a beneficio del quale il reato-presupposto può essere commesso”.[8]  Per l’effetto, ove non sia rinvenibile una distinzione soggettiva tra ente e persona fisica che lo rappresenta e, dunque, coincidendo l’interesse della persona giuridica con quello della persona fisica, non potrà trovare applicazione il regime di responsabilità degli enti.

Tale impostazione, per vero, pare essere più aderente al dettato normativo del Decreto 231. In particolare, la norma richiamata ai fini dell’imputabilità dell’ente, all’articolo 5, prevede che il reato presupposto debba essere commesso nel suo interesse o vantaggio, escludendo la possibilità di rinviare a giudizio la persona giuridica nel momento in cui i suoi apicali o sottoposti abbiano agito “nell’interesse esclusivo proprio o di terzi”.[9] Siffatto orientamento, inoltre, ha il merito di soddisfare anche il principio del ne bis in idem. Se infatti si applicasse il D. Lgs. 231/01 anche alle persone giuridiche di cui non è possibile distinguere un autonomo centri d’interessi dalle persone fisiche autrici materiale del reato, si finirebbe col punire “due volte, per lo stesso fatto, un identico centro di interessi”.[10]

La sentenza del GUP di Milano, dunque, aderendo alla seconda delle due correnti giurisprudenziale presentate, evidenzia un punto molto importante, ovverosia la necessità per il giudice di vagliare la sussistenza in concreto di un’autonoma struttura organizzativa dell’ente unipersonale per poterne definire l’imputabilità. Ove non sia rinvenuta nessuna organizzazione, divenendo l’ente un mero schermo giuridico per l’attività d’impresa della singola persona fisica, il D.lgs. 231/01 non potrà trovare applicazione.


[1] Tribunale di Milano, Ufficio del GIP, sentenza 20/971, 16 luglio 2020.

[2] Cfr. cit. sent. pag. 2.

[3] Cfr. cit. sent. pag. 2.

[4] Cfr. cit. sent. pag. 3.

[5] Cfr. cit. sent. pag. 3.

[6] Cass. pen. Sez. VI, sentenza n. 49056, 25 Luglio 2017. Si veda anche Cass. pen. Sez. III, sentenza n. 15657, 15 dicembre 2010.

[7] Cass. pen. Sez. VI, sentenza n. 1894, 3 marzo 2004. Si veda a anche Cass. pen. Sez. VI, sentenza n. 30085, 16 maggio 2012.

[8] S. Bartolomucci, D.lgs. 231/2001 ed imprenditori individuali: interpretazione dell’art. 1 e presunte esigenze penali-preventive nell’“imprevisto” revirement della Cassazione, in Riv. 231, 2011, 3, pagg. 164 e ss.

[9] Art. 5, co. 2., D.Lgs. 231/01.

[10]C. Piergallini, Responsabilità dell’ente e apparato sanzionatorio, in Reati e responsabilità degli enti. Guida al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, Milano, 2010, p. 228. Si veda anche, sul punto, G. Amarelli, L’indebita inclusione delle imprese individuali nel novero dei soggetti attivi del d.lgs. n. 231/2001, in www.penalecontemporaneto.it

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