venerdì, Aprile 19, 2024
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Il regime giuridico del contratto preliminare nell’ambito della comunione legale: ricadute sulla partecipazione al giudizio del coniuge non stipulante

Il codice civile al Libro I, agli artt. 159 ss. c.c., disciplina il regime patrimoniale della famiglia stabilendo che, in mancanza di diversa convenzione stipulata ex art. 162 c.c., il regime patrimoniale della stessa è costituito dalla comunione dei beni, tracciando, altresì, agli artt. 177, 178 e 179 c.c. l’oggetto che la caratterizza[1]. In particolare, per quanto concerne il contratto preliminare, si è detto che l’impegno in cui esso si sostanzia non può cadere in comunione essendo un mero strumento volto all’acquisto di beni, non già diritto di credito con valore “finale”[2]e, quindi, direttamente incrementativo della comunione.

Autorevole dottrina[3]sul punto fa notare come la stipula di un contratto preliminare da parte di uno solo dei coniugi, precedentemente alla celebrazione del matrimonio, e quindi alla instaurazione del regime di comunione legale, obblighi il solo coniuge promittente alla successiva stipula del definitivo, in quanto il diritto di credito, relativo e personale, alla stipula del definitivo non cade in comunione.

Tuttavia, una cosa è il diritto alla conclusione del contratto, altro è il bene che si acquista con il definitivo, perché, evidentemente, sarà tale bene a rientrare in comunione ex art. 177, co. 1, lett. a), sempre che non si tratti di un bene strettamente personale, ex art. 179 c.c. Se quanto detto vale a definire l’oggetto della comunione ed, in particolare, gli acquisti che vi ricadono in via immediata, bisogna ora analizzare la questione relativa al regime giuridico del contratto preliminare stipulato dai coniugi in regime di comunione legale e delle conseguenti ricadute in punto di partecipazione al giudizio del coniuge non stipulante

L’art. 180 c.c.disciplina l’amministrazione dei beni della comunione e la rappresentanza in giudizio per gli atti ad essa relativi e prevede, in generale, che l’amministrazione e la rappresentanza processuale spettino disgiuntamente ai coniugi; diversamente, per quanto attiene agli atti di straordinaria amministrazione, nonché per la stipula di contratti mediante i quali si concedono e si acquistano diritti personali di godimento e per la relativa rappresentanza processuale statuisce che essi debbano essere compiuti congiuntamente dai coniugi. Tra gli atti di straordinaria amministrazione si fa rientrare il contratto preliminare, in quanto esso configura un antecedente negoziale dal quale ha origine quella sequenza di atti che giunge fino all’atto traslativo finale e, quindi, a parare della giurisprudenza esso eccede la normalità degli atti, sia sotto il profilo qualitativo, sia sotto il profilo quantitativo.

Ciò ha dei risvolti di non poco momento sul regime giuridico di tale stipulazione, laddove essa venga posta in essere da uno solo dei coniugi, tant’è che ci si è chiesti quale debba essere la sorte di tale contratto in assenza del consenso dell’altro coniuge. Ebbene, la sanzione in cui incorre il preliminare de quo è quella dell’annullabilità ex art. 184 c.c., che per l’appunto prevede l’annullabilità degli atti da parte del coniuge pretermesso nel termine decadenziale di un anno decorrenti dalla data in cui lo stesso ha avuto conoscenza dell’atto[4].

Dunque, se un preliminare di vendita di un bene della comunione, stipulato da uno solo dei coniugi, è un contratto efficace verso i terzi, ancorché annullabile dal coniuge pretermesso, l’eventuale promissario acquirente potrà esperire l’azione ex art. 2932 c.c. nei confronti del coniuge stipulante, al fine di ottenere una pronuncia costitutiva che tenga luogo del contratto non concluso.

Si è posto, allora, il problema relativo alla legittimazione passiva[5]del coniuge pretermesso nel giudizio instaurato dal promissario acquirente ex art. 2932 c.c. Sul punto si sono pronunciate le Sezioni Unite nel 2007[6], a seguito di un acceso dibattito sollevatosi in Giurisprudenza. In particolare, i giudici di legittimità hanno sposato l’orientamento favorevole alla partecipazione, partendo dal presupposto che il preliminare stipulato da uno solo dei coniugi produce, in ogni caso, effetti anche sulla sfera giuridica dell’altro, verificandosi in questo caso un fenomeno di dissociazione tra atto ed effetti: ancorché l’atto dispositivo sia posto in essere da uno soltanto dei coniugi, l’altro sebbene non stipulante, e quindi non parte dell’atto, potrebbe subire effetti nella sua sfera giuridica, considerato che l’atto in questione ha ad oggetto beni della comunione.

Tale circostanza, quindi, a parere della Suprema Corte costituirebbe condizione sufficiente al fine di riconoscere la necessità della partecipazione del coniuge pretermesso al giudizio intentato dal promissario acquirente ex art. 2932 c.c. A ciò si aggiunga che la posizione processuale del coniuge non stipulante è stata ulteriormente affrontata dai giudici di Piazza Cavour in un particolare caso di azione di riscatto, esercitata nei confronti di uno solo dei coniugi in regime di comunione legale[7].

In particolare, i giudici di legittimità, coerentemente alla decisione del 2007, hanno sottolineato che se è indiscutibile che con l’azione di riscatto si controverta non già della validità dell’atto, bensì del diritto sul bene medesimo, posto che l’esercizio del diritto di riscatto tende alla sostituzione, con effetto ex tunc, del titolare del diritto stesso nella medesima posizione che l’acquirente ha nel negozio concluso, altrettanto, allora, sarà l’instaurazione di un litisconsorzio necessario tra il coniuge stipulante e quello pretermesso. In definitiva, si precisa che “il diritto di riscatto, previsto dalla l. 392/1978, all’art. 39, deve essere esercitato dall’avente diritto alla prelazione nei confronti di tutti i comproprietari del bene i quali sono litisconsorti necessari”. 


[1]In particolare, è bene specificare che la comunione legale non è una comunione “universale” ricomprendente tutto quanto appartiene a ciascun coniuge, ma, al contrario, è caratterizzata dal fatto che vi sono beni che vi rientrano immediatamente, altri che vi rientrano solo successivamente ed eventualmente al momento dello scioglimento e altri esclusi, in quanto presentano una particolare connotazione, inerendo strettamente alla persona del coniuge cui appartengono. 

[2]Sul punto, v., Cass., sent., n.  21098 del 2007, laddove si è proteso per l’ammissibilità della caduta in comunione dei diritti di credito, ex art. 177, co. 1, lett a), tuttavia, restringendo l’analisi ai soli crediti c.d. finali, che sostanzialmente si risolvono in investimenti,  non già quelli a carattere strumentale.

[3]F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, XVIII Ed., Edizioni Scientifiche Italiane. 

[4]In questo senso, particolarmente interessante è notare come il legislatore, a differenza della comunione ordinaria, di cui agli artt. 1100 s.s. c.c., in cui un atto di vendita di un bene in comunione senza il consenso degli altri comproprietari comporta inevitabilmente la nullità radicale del negozio, per la comunione ha previsto una sanzione ad hoc, quale l’annullabilità, peraltro c.d. speciale perché esulante dagli ordinari presupposti del dolo, della violenza o dell’errore. 

[5]Viceversa, nessun dubbio sorge in punto di legittimazione attiva, laddove i giudici di legittimità già nel 2003, con la sentenza n. 17216, hanno negato la possibilità per il coniuge non stipulante di agire ex art. 2932 c.c., al fine di ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre, dal momento che il diritto alla stipula del preliminare, in quanto diritto relativo e personale, spetta esclusivamente al coniuge stipulante. Il coniuge che concluda un contratto preliminare di acquisto di un immobile in nome della comunione legale, ma senza il consenso dell’altro coniuge, deve considerarsi falsus procurator con riguardo al coniuge non stipulante, il quale, ove non intenda ratificare, rimane estraneo al rapporto e non riveste, per ciò solo, la qualità di litisconsorte necessario, ex art. 102 c.p.c.

[6]Cfr., Cass.,  S. U., sent., n. 17952.

[7]Cfr., Cass., S. U., sent., n. 9523 del 2010; ex multis, Cass., S. U., Sent., n. 16559 del 2013.

Elena Ficociello

Elena Ficociello nasce a Benevento il 28 luglio del 1993. Dopo aver conseguito la maturità classica presso l'istituto "P. Giannone" si iscrive alla facoltà di giurisprudenza Federico II di Napoli. Si laurea il 13 luglio del 2017, discutendo una tesi in diritto processuale civile, relativa ad una recente modifica alla legge sulla responsabilità civile dello Stato-giudice, argomento delicato e problematico che le ha dato l'opportunità di concentrarsi sui limiti dello ius dicere. A tal proposito, ha partecipato all'incontro di studio organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura presso la Corte di Appello di Roma sul tema "La responsabilità civile dei magistrati". Nell'estate del 2016, a Stasburgo, ha preso parte al master full time "Corso Robert Shuman" sulla tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, accreditato dal Consiglio Nazionale Forense, convinta che un buon avvocato, oggi, non può ignorare gli spunti di riflessione che la giurisprudenza della Corte EDU ci offre. Adora viaggiare e già dai primi anni di liceo ha partecipato a corsi di perfezionamento della lingua inglese, prima a Londra e poi a New York, con la Greenwich viaggi. È molto felice di poter collaborare con Ius in itinere, è sicuramente una grande opportunità di crescita poter approfondire e scrivere di temi di diritto di recente interesse. Contatti: elena.ficociello@iusinitinere.it

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