giovedì, Marzo 28, 2024
Di Robusta Costituzione

Il regionalismo differenziato: come leggere il dibattito

L’analisi sul regionalismo differenziato è quanto mai attuale nel nostro paese.  Tale espressione identifica la possibilità del comma 3 dell’articolo 116 della Costituzione[1] secondo cui le Regioni a Statuto ordinario possono ottenere maggiore autonomia in relazione ad alcune materie.

Al tempo stesso, esse devono rispettare i principi che, in ambito finanziario, gravano sugli enti locali ai sensi dell’articolo 119 della Costituzione. Le materie in esame sono sia quelle concorrenti sia quelle esclusive statali dell’articolo 117.

Il dibattito sul regionalismo differenziato ha acquisito nuova linfa dopo il doppio referendum consultivo delle Regioni Lombardia e Veneto nell’ottobre 2017. Una consultazione che mirava ad avviare la negoziazione con il governo sul riconoscimento di forme e condizioni di autonomia rafforzata secondo quanto previsto dal richiamato articolo 116 della Costituzione.

La norma costituzionale sul regionalismo differenziato, una delle novità della riforma del Titolo V del 2001, sino a oggi non ha trovato attuazione.

Tuttavia, a conclusione della XVII legislatura, l’Emilia Romagna, la Lombardia e il Veneto hanno avviato negoziati con il Governo per arrivare a un’intesa sull’attribuzione di un’autonomia differenziata[2].

Quindi, il 28 febbraio 2018, il Governo ha sottoscritto con le regioni tre distinti accordi preliminari che hanno individuato i principi generali, la metodologia e un primo elenco di materie in vista della definizione dell’intesa.

Parallelamente, altre regioni, pur senza accordi preliminari con il Governo hanno mostrato un interesse crescente per il regionalismo differenziato.

Attualmente, Campania, Liguria, Lazio, Marche, Piemonte, Toscana e Umbria hanno già formalmente conferito al Presidente della Giunta Regionale l’incarico di chiedere al Governo l’avvio delle trattative per ottenere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia.

Ancora, Basilicata, Calabria e Puglia non hanno ancora approvato formalmente tale mandato, ma hanno assunto iniziative preliminari che in alcuni casi hanno condotto all’approvazione di atti di indirizzo.

Infine, Abruzzo e Molise non risultano invece aver avviato iniziative formali per l’avvio della procedura ex art. 116.

Si evince come si stia configurando un regionalismo differenziato molto eterogeno da cui non è detto che il sistema delle autonomie ne risulti migliorato in termini di efficienza e di benessere della collettività. In effetti, sarebbe opportuno che il Governo si dotasse, anzitutto, di un sistema di valutazione oggettivo, basato su indicatori econometrici e su valutazioni istituzionali, individuando la legittimità della richiesta di maggiore autonomia[3].

Il contesto del Regionalismo differenziato

Costituzionalmente, l’Italia conta 5 Regioni a statuto speciale. Uno statuto speciale dovuto, storicamente, al fatto di essere regioni periferiche con un’economia debole, e la speciale autonomia era figlia della tutela della propria specifica identità storico/culturale e dalla preoccupazione di emarginazione da parte dello Stato centrale.

Tuttavia, il regionalismo differenziato odierno matura in un contesto differente.

Infatti tutte le regioni ordinarie possono assumere nuove funzioni a partire da un insieme assai vasto, e con corrispondente assegnazione di maggiori risorse finanziarie. Nello specifico, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sono le maggiori regioni da un punto di vista economica e non sembrano avere ragioni forti di tutela linguistica, culturale o storica.

Ecco perché le argomentazioni dei soggetti in questione sono differenti.

In primis, si sostiene il regionalismo differenziato evidenziando la migliore capacità delle produzioni decentrate, e relativi interventi di regolazione decentrati, ad adattarsi alle preferenze e peculiarità delle domande e dei bisogni dei cittadini sul territorio sul livello e le modalità dell’intervento pubblico.

Ancora, si sottolinea il livello di eccellenza delle regioni richiedenti in determinati settori, quali ricerca scientifica e tecnologica, per cui ne conseguirebbe un ulteriore rafforzamento con maggiori e più competenze vicino al territorio.

Inoltre, si argomenta come le regioni possano produrre beni e servizi pubblici negli ambiti considerati in modo più efficiente di quanto non faccia attualmente lo Stato, e questa maggiore efficienza sarebbe dimostrata dalla loro performance dimostrata nei settori di intervento pubblico già di competenza regionale: è il caso della sanità pubblica.

Un aspetto interessante è la questione del finanziamento delle funzioni di spesa aggiuntive decentrate, e in particolare dell’invarianza della perequazione territoriale. Si tratta, in altri termini, della lettura in combinato disposto dell’articolo 116 e dell’articolo 119 che fissa i principi generali di coordinamento del finanziamento delle autonomie locali[4].

Quindi, le competenze aggiuntive dovrebbero essere finanziate con tributi propri, un gettito regionale o, in alternativa, con trasferimenti di natura perequativa.

Tecnicamente, si dovrebbe operare con compartecipazioni sul gettito di tributi erariali del territorio differenziate tra regioni, maggiori per la regione con competenze rafforzate rispetto alle altre regioni con competenze concorrenti. Il problema, però, attiene alla effettiva fissazione dell’aliquota di compartecipazione per il regionalismo differenziato.

Il rimando dell’articolo 116 all’articolo 119 dovrebbe essere interpretato come un richiamo alla solidarietà e alla leale collaborazione dell’intero sistema di finanza pubblica.

Ne discende che il regionalismo differenziato deve comunque avere una neutralità perequativa tale che adempia ai doveri di solidarietà in ossequio alla Costituzione. Al di là della discussione teorica, chiaramente molto dipenderà dall’accordo effettivo con il Governo e dalla discussione parlamentare.

Infatti, si discute se queste aliquote debbano essere fissate in base alla spesa storica nella Regione di interesse[5]

Questo requisito di neutralità perequativa del finanziamento del federalismo differenziato sarebbe garantito ovviamente se le aliquote di compartecipazione fossero fissate in modo tale da garantire dei gettiti esattamente pari alla spesa storica dello Stato nella regione richiedente per le funzioni devolute.

Se dal punto di vista formale, questa appare una soluzione scientifica, dal punto di vista sostanziale c’è un problema: la rivendicazione di nuove funzioni implica anche la pretesa di Lombardia e Veneto, in misura minore dell’Emilia, di trattenere una rilevante quota delle imposte del proprio territorio.

Esemplificativa è la delibera del Veneto del 2016 con cui si prevede l’attribuzione alla Regione Veneto dei 9/10 dei gettiti dei principali tributi erariali raccolti dai contribuenti regionali. De facto, la Regione Veneto avrebbe le stesse prerogative delle Regioni a Statuto speciale.

Quindi, un tale meccanismo non farebbe che alimentare tensioni fra regioni ricche che vorrebbero allentare i vincoli del solidarismo verso le regioni più povere.

Lo stato dell’arte sul regionalismo differenziato

In ultima analisi, occorre fare riferimento alle richieste di Lombardia, Veneto ed Emilia – Romagna circa le ulteriori funzioni di legislazione esclusiva.

In effetti, l’articolo 117 della Costituzione divide ed elenca le competenze esclusive dello Stato e quelle concorrenti con le Regioni. Tuttavia, il Regionalismo differenziato in questione rivendica un ampliamento delle competenze esclusive di legislazione regionale in materie che fanno capo allo Stato.

Si tratta di: politiche attive e sostegno del lavoro e del welfare; istruzione; salute; tutela dell’ambiente e dei beni culturali; rapporti internazionali e con l’Unione Europea; organizzazione della giustizia di pace[6].

Oltre la discussione politica sull’equità di un tale cambiamento, è indubbio che un ampliamento di competenze comporterebbe per le Regioni in questione un aumento delle competenze, e oneri, amministrative.

Quindi, si tratterebbe di gestire e prevedere maggiori spese e reperire ulteriori risorse per il loro finanziamento. E, in questo caso, a poco servirebbe il criterio storico poc’anzi citato: queste materie, oggi, non sono di competenza regionale e allora come stimare l’effettivo ammontare dei trasferimenti statali da sostituire con i trattenimenti regionali[7]?

Il caso che più ha destato attenzione è la richiesta del Veneto di allinearsi alle Regioni a statuto speciale con maggiori competenze non solo nell’organizzazione del sistema educativo regionale, ma soprattutto con la regionalizzazione del personale docente, analogamente a quanto avviene nelle Provincie autonome di Trento e Bolzano, in cui gli insegnanti sono retribuiti in misura maggiore e con meccanismi di incentivo differenti dalle Regioni ordinarie.

Dall’esame risulta che le argomentazioni a difesa del regionalismo differenziato sono di natura squisitamente economica.

Tuttavia, bisognerebbe chiedersi se le preferenze fiscali, se le esternalità positive, se la maggiore efficienza dell’allocazione dei beni pubblici giustifichino effettivamente un’autonomia rafforzata e un’Italia a due velocità[8].

L’articolo 116 riconosce la possibilità di assumere nuove funzioni alle Regioni a statuto ordinario ma di certo essa non si caratterizza per un criterio economicista. Anzi, lo spirito della Carta Costituzionale è solidaristico per cui la risposta, e il negoziato, al Regionalismo differenziato non può che essere dapprima politica e solo successivamente economica.

[1] Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere 1), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’art. 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata.

[2] Si veda “XVIII legislatura Il regionalismo differenziato e gli accordi preliminari con le regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto”, a cura di Fucito L. e Frati M., Servizio Studi Senato della Repubblica, maggio 2018, n.16, Roma.

[3] Petretto A., La Finanza delle Regioni a Statuto ordinario in attuazione della Legge Delega 42/2009 e il finanziamento del federalismo differenziato. Una premessa alla richiesta di autonomia rafforzata della Toscana, Istituto Regionale Programmazione Economica Toscana, Firenze, 2019, ISSN 2611-5328.

[4] Zanardi A., Le richieste di federalismo differenziato: una nota sui profili di finanza pubblica, Convegno ASTRID – CRANEC Autonomie regionali: specialità e differenziazioni Roma, Palazzo Altieri 27 giugno 2017.

[5] La spesa statale regionalizzata Anno 2017 Stima provvisoria, a cura del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato – Ispettorato Generale del Bilancio, Roma, 2019.

[6] Il regionalismo differenziato con particolare riferimento alle iniziative di Emilia – Romagna, Lombardia e Veneto, Servizio Studi Ufficio Ricerche sulle questioni regionali e delle autonomie locali del Senato della Repubblica, Dossieri n. 565, XVII Legislatura, Roma, 2017.

[7] https://www.upbilancio.it/audizione-sulla-definizione-delle-intese-ai-sensi-dellart-116-3-c-della-costituzione/

[8] https://www.upbilancio.it/audizione-sulla-distribuzione-territoriale-delle-risorse-pubbliche-per-aree-regionali/

Fonte immagine:

Marco Di Domenico

Dottore in Studi Internazionali presso l'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale". Appassionato di politica ed economia internazionale.

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