A cura di Dott. Antonio Ceruso, dottore in Giurisprudenza, laureato presso l’Università di Siena con 110/110 e lode. Praticante avvocato.
La questione carceraria ha rappresentato e continua a rappresentare materia di grande dibattito tra gli operatori del diritto, in particolare qualora non si assicurino tutele ai diritti dei detenuti, generando casi di “overcrowding”. L’espressione designa l’incapacità dell’ordinamento giuridico di offrire uno spazio sufficientemente ampio, pari almeno a 3m2, a chi è sottoposto a misure di prevenzione, o, secondo giurisprudenza della Corte EDU, di assicurare elementi minimi alla detenzione come acqua calda, luce, servizi igienici, così violando l’art. 3 Cedu, che sancisce il divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti. Sebbene le condanne pronunciate dalla Corte di Strasburgo fossero inizialmente circoscritte a paesi che apparivano privi dei caratteri propri dello Stato di diritto (Es. Russia), il XXI° ha sancito anche la condanna del nostro paese, la prima nel 2009 con la sentenza Sulejmanovic, la seconda nel 2013 con la sentenza Torreggiani. Quest’ultima, essendo sentenza pilota, obbligò lo Stato italiano a dotarsi di un sistema per garantire una tutela preventiva e compensativa dei diritti dei detenuti entro un anno dal suo passaggio in giudicato. Anche i giudici di merito, in particolare i tribunali di Lecce, Venezia e Milano, negli anni antecedenti, avevano espresso la necessità di una riforma del sistema carcerario per aumentare i livelli di tutela dei detenuti, valutando inadeguati gli art. 35 e 69 ord.pen. e contemporaneamente cercando soluzioni di carattere giurisprudenziale al problema. E così il legislatore varò i decreti legge n. 146/2013 e 92/2014 introducendo gli art. 35bis e ter ord.pen. La prima norma istituisce un rimedio preventivo, il c.d. reclamo giurisdizionale, uno strumento che consente al detenuto di proporre reclamo al magistrato di sorveglianza contro i provvedimenti disciplinari o gli atti/omissioni della amministrazione penitenziaria che generano un pregiudizio grave ed attuale per il detenuto. La seconda norma introduce un rimedio di carattere compensativo, consentendo al detenuto, che abbia ricevuto trattamento contrario all’art. 3 Cedu per quindici giorni consecutivi, di chiedere riduzione di pena pari ad un giorno per ogni dieci giorni di detenzione inumana o un indennizzo di euro otto per ogni giorno di detenzione. I nuovi istituti furono presto terreno di dibattito in giurisprudenza. Tra le principali sentenze ricordiamo Cass. Civ. Iª sez. n. 43722/2015 che riconosce come il requisito della attualità non sia necessario per presentare domanda, Cort. Cost. n. 204/2016 e 83/2017 che estende la richiesta di indennizzo economico ad ergastolani ed internati, Cass. Civ. Sez. Un. n. 11018/2018 che parla di responsabilità extracontrattuale dell’amministrazione e Cass. Pen. Sez. Iª n. 23362/2018 che sostiene come l’onere della prova ricada principalmente sull’amministrazione penitenziaria. Tuttavia, permangono ancora dubbi, tra tutti il principale consiste nell’obbligo del magistrato di sorveglianza di applicare l’art. 3 Cedu, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di Strasburgo, senza potersi discostare dal pensiero del giudice internazionale. Un profilo che sarà probabilmente oggetto di nuovi interventi e dibattiti in dottrina e giurisprudenza.
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* Il presente articolo scientifico è stato sottoposto a referaggio ai sensi dell’art. 3 del Regolamento della Rivista e pubblicato nel Numero 1/2020 della Rivista Semestrale di Diritto.