lunedì, Dicembre 2, 2024
Criminal & Compliance

Il d.lgs. n. 231 del 2001: un breve excursus storico circa la responsabilità amministrativa dell’ente ed il sistema sanzionatorio

Con il d.lgs. n. 231 del 2001 si supera il brocardo latino societas delinquere non potest: eliminando tale postulato giuridico, nel quale si rendeva impossibile punire penalmente una società, fu necessario ridefinire il sistema sanzionatorio da applicare alle società. Il diritto penale dell’impresa, rappresenta la sfaccettatura penale di una materia in continuo divenire, in ragione delle modifiche apportate anche nel tempo più recente: nonostante la materia in esame rappresenti un continuo rinnovamento, l’interprete ha manifestato una serie di criticità circa l’attività di aggiornamento e di sussunzione, volte a comprendere a pieno il significato della normativa nella sua versione più recente.

Il Legislatore, sin dal 2001, ha riscontrato diversi ostacoli, di natura meramente concettuale per ciò che concerne la definizione della responsabilità dell’ente, difatti, quest’ultima è assai distante dalla nostra tradizione giuridica e dal nostro modo di pensare, ragion per cui l’interprete ha, sin da subito, manifestato la necessità di confrontarsi con la tradizione giuridica tedesca che già verso la fine del 1800 trapiantava questa “nuova” responsabilità nel proprio ordinamento giuridico. Ad oggi, in Italia, il catalogo delle ipotesi in cui l’ente è responsabile per fatti di reato è in progressivo mutamento ed ampliamento, da ultimo il Legislatore è intervenuto attraverso una persuasiva riforma dello statuto penale del tributo all’estensione per alcune fattispecie della responsabilità dell’ente[1].

1.  I problemi generali, la funzionalità e la ratio delle previsioni che sanciscono la responsabilità dell’ente.

Analizzando il contesto europeo degli anni 2000, si capì che la maggior parte degli illeciti veniva commesso all’interno delle società, fu proprio la giurisprudenza a comprendere, in tempi non sospetti, che le persone fisiche – che di fatto commettevano l’illecito – non perseguivano il proprio interesse, bensì riconducevano uno specifico vantaggio allo stesso ente.

Veniva alterato, in questo modo, il libero gioco della concorrenza del mercato e i benefici che ne derivavano da queste violazioni producevano degli effetti anche in capo ai consumatori[2]. Da sempre, al centro delle questioni che riguardano la responsabilità dell’ente, vi è quello dell’identificazione della natura di tale responsabilità. La dottrina, sul punto, si è letteralmente divisa in 3 fazioni, difatti, alcuni definiscono la responsabilità dell’ente come responsabilità amministrativa, altri la definiscono responsabilità penale, altri ancora affermano che si tratti di un tertium genus che avrebbe dei punti in comune con entrambe le responsabilità[3].

Il Legislatore, in sub specie, ha ricondotto un complesso sistema sanzionatorio da applicare nel caso in cui venissero rinvenuti gli elementi tipici del reato in conformità al d.lgs. 231/2001.

Il sistema sanzionatorio si compone di sanzioni interdittive e pecuniarie, per tali ragioni occorrerebbe definire la responsabilità – dell’ente – come penale, al di là del nomen iuris. Già dall’incipit del d.lgs. 231/2001 si preferisce parlare di responsabilità amministrativa dell’ente, ma ciò risulta essere possibile soltanto se vengono applicati i criteri elaborati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, così come formulati nella sentenza ENGEL c. Paesi Bassi[4], ove si evince che le sanzioni previste per l’ente sono di tale afflittività in grado di superare l’entità risarcitoria e ripristinatoria della sanzione. La Giurisprudenza Europea, sul punto, ha chiarito che, laddove la conseguenza giuridica del fatto, qualificato come illecito dalle legislazioni nazionali, e laddove si tratti di una previsione particolarmente afflittive, non è consentito all’interprete discutere di responsabilità così come elaborata dalla dottrina civilistica. A tal riguardo, la dottrina ha preferito approfondire la problematica – giuridica – della confisca, ovvero la confisca per equivalente: la sentenza Gubert è intervenuta sul tema della confisca per equivalente ed ha chiaramente stabilito che si trattava di sanzioni penali e non amministrativa. Non si tratta di questioni puramente teoriche perché laddove si dovesse riconoscere la responsabilità dell’ente ciò condurrebbe al corollario che tutte le garanzie previste a livello costituzionale siano estendibili alla persona giuridica e, di conseguenza, all’ente.

2. Natura autonoma o dipendente della responsabilità dell’ente ex d.lgs 231/2001?

Nei sistemi di Common law la responsabilità dell’ente è autonoma, l’ente risponde direttamente dell’illecito. In Francia, invece, si parla di responsabilità morale, e dunque di responsabilità da rimbalzo.

Sono due gli elementi essenziali che consentono all’interprete di definire la natura semi autonoma della responsabilità ente nell’ordinamento giuridico italiano:

a)la ragione della impostazione è rappresentata dall’art. 8[5]lgs 231/2001 che stabilisce che l’autonomia della responsabilità dell’ente sussiste anche quando è impossibile l’identificazione del reo. Tale norma solleva diverse problematiche e si discute ancora se si debba, comunque, accertare la sussistenza di un reato nella pienezza dei suoi elementi costitutivi: tipicità, antigiuridicità e colpevolezza[6]. A questo punto è lecito domandarsi se la responsabilità dell’ente “scatti” anche in difetto di questi elementi che formano la responsabilità individuale. Seppure possa presentare dei problemi logici e di natura probatoria è impossibile ascrivere la responsabilità all’ente senza un effettivo accertamento di un illecito con tutti i suoi elementi in capo al singolo. Indipendentemente da questi aspetti la disposizione nasce per far sì che in organizzazioni complesse, ove dal punto di vista probatorio sia complicato individuare la persona fisica effettivamente responsabile dell’illecito, non si generino per l’effetto della complessità organizzative delle nicchie di impunibilità per la persona giuridica[7].

b) Altra disposizione fondamentale è rappresentata dalla disciplina della prescrizione.

In particolare, in base all’art. 22 del d.lgs.231 la prescrizione dell’illecito amministrativo in capo all’ente ha un regime diverso rispetto a quello ordinario, diverso da quello rappresentato dalla persona fisica, in tal caso la prescrizione è quinquennale, la contestazione del PM in capo all’ente giuridico interrompe l’illecito amministrativo fino a quando la sentenza non sia passato in giudicato. Anche dopo la Spazzacorrotti la prescrizione è modulata in maniera diversa per la persona fisica. Sulla autonomia responsabilità della persona giuridica, qual è l’origine e le condizioni rispetto alle quali scatta la responsabilità dell’ente: sul tema vi sono ancora dei margini di discussione in quanto le stesse risultano essere diverse e comulative, legate al c.d. reato presupposto. Anche la Cassazione nelle SSUU Gubert, ma anche in altre occasioni, chiarisce che: anche nella responsabilità amministrativa dell’ente deve valere il principio di legalità con la conseguenza che laddove un soggetto e un individuo realizzino un reato diverso da quello contenuto nel catalogo (c.d. Modello 231), questo ultimo non possa rispondere e non può rispondere a causa di illeciti compiuti dal singolo l’ente e lo stesso avviene per quei reati ricollegati al catalogo in maniera analogica. Il catalogo, negli ultimi anni, si è esteso ed ingloba al suo interno fattispecie colpose, come omicidio e lesioni in violazione delle norme sulla sicurezza dei lavoratori. Tale previsione genera problemi sistematici, altro presupposto della respansibilità ente è che il reato sia stato commesso nell’interesse a vantaggio dell’ente. ex art 5 co.1 d.lgs. 231/2001.

La giurisprudenza interpretava questa clausola generale affermando che la responsabilità per queste fattispecie colpose sussiste laddove gli eventi lesivi siano frutto di una politica aziendale finalizzata al risparmio di impresa – vd. Sentenza Tyssenkrupp – interpretazione data dal perno attorno a cui ruota la responsabilità giuridica, ovvero l’interesse o vantaggio, tale interpretazione giustifica una modifica legislativa che colma un vuoto di tutela, ma che non è allineata con i presupposti generali della responsabilità dell’ente.

c) Il soggetto che realizza il reato presupposto nell’interesse e vantaggio, deve rivestire un ruolo nell’organigramma dell’impresa.

Accanto a queste problematiche si deve individuare la legittimità del sistema, in base al principio di colpevolezza. La Giurisprudenza ha chiarito che la responsabilità dell’ente non deve essere intesa come responsabilità per fatto altrui, del soggetto in posizione apicale o subordinato, ma deve essere qualificato come responsabilità per colpa organizzativa, se si escludono le ipotesi dell’impresa criminosa, ovvero l’ente viene costituito per fini illeciti (es. c.d. società cartiere, ossia quelle società costituite al fine di emettere documenti fiscali falsi ideologicamente che vengono sfruttati da altri soggetti al fine di esporre prezzi inesistenti per abbattere l’utile e facilitare l’evasione fiscale/ es. caporalato).

Escluse queste ipotesi limite che comportano la massima sanzione irrogabile – vale a dire l’interdizione perpetua – vi sono diversi punti di contatto tra responsabilità del singolo e dell’ente, colpa di organizzazione che deriva da una mancata utilizzazione dei modelli di prevenzione illecito, mancanza di vigilanza  e di aggiornamento degli strumenti – modello 231 – dai quali la legge fa scattare la responsabilità per il fatto del soggetto in posizione apicale o in posizione subordinata.

Esistono all’interno di questo sistema delle regole particolari che attengono alla Way out, ovvero ipotesi nelle quali l’ente riesce ad evitare la sanzione massima erogabile – quella interdittiva – che può comportare dell’enticidio[8], vale a dire la morte dell’ente in ragione della gravità della massima sanzione[9]. Tale articolato risulta essere abbastanza vasto e presenta plurime criticità: se la legge è uguale per tutti, ciò non avviene per gli enti, difatti prima della Spazzacorrotti e della riforma della prescrizione, nel caso in cui veniva accertato l’illecito della persona giuridica rallentava all’accertamento del reato rispetto ai singoli.

[1] Il 24 dicembre 2019 è stato definitivamente approvato il Decreto Fiscale intitolato ‘Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili’, che ha introdotto tra i reati ex D.Lgs. 231 i seguenti illeciti tributari in materia di IRES ed IVA

[2] La tutela del mercato – come strumentale alla tutela dei consumatori – è, ancora oggi, un obiettivo cardine del sistema europeo.

[3] Ambrosetti, Diritto penale dell’impresa, 2016, Padova.

[4] A seguito del celebre caso Engel ed altri c. Paesi Bassi del 1976, non ci è più consentito qualificare una sanzione o un procedimento in termini meramente formali dovendone l’interprete riconoscere la natura sostanzialmente penale in funzione anche di uno soltanto dei tre criteri conosciuti, appunto, come “criteri di Engel”, più precisamente: 1) la qualificazione del diritto interno; 2) la natura dell’infrazione; 3) la severità della pena. Il primo criterio, la qualificazione del diritto interno, assume una importanza tutto sommato relativa in quanto rappresenta il punto di partenza del percorso ermeneutico rivolto alla qualificazione della sanzione o del procedimento sotto il profilo sostanziale. Il secondo criterio, la natura dell’infrazione, è indubbiamente il più significativo e può essere indagato sulla base di molteplici fattori quali, per esempio: l’accertamento della funzione repressiva/dissuasiva della norma (Öztürk c Germania del 1984; Bendenoun c. Francia del 1994); il raffronto con la qualificazione attribuita agli analoghi procedimenti/sanzionei negli altri Paesi membri del Consiglio d’Europa (Öztürk c. Germania del 1984); l’accertamento della provenienza dell’azione, se cioè sia stata posta in essere da una pubblica autorità in virtù di poteri legalmente riconosciuti (Benham c. Regno Unito del 1996); la verifica della portata della norma, della sua generalità (Bendenoun c. Francia del 1994). Cfr. Florio, Sulla natura penale della sanzione del procedimento, articolo disponibile al seguente link https://www.avvocatoflorio.com/avvocato-natura-penale-sanzione-procedimento/ 

[5] Art. 8 d.lgs. 231/2001: Autonomia delle responsabilità dell’ente: La responsabilità dell’ente sussiste anche quando:

a) l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile;
b) il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia.

Salvo che la legge disponga diversamente, non si procede nei confronti dell’ente quando è concessa amnistia per un reato in relazione al quale è prevista la sua responsabilità e l’imputato ha rinunciato alla sua applicazione.

L’ente può rinunciare all’amnistia.

[6] Gli elementi ivi indicati sono tre coerentemente alla teoria tripartita del reato così come sostenuta da Fiandaca Musco, Diritto peneale. Parte Generale, Milano, 2016.

[7] Questo però  è uno degli elementi che depone per la natura autonoma per la responsabilità dell’ente che sussiste anche quando sia impossibile individuare persona fisica

[8] MEZZETTI, L’ENTICIDIO: UNA CATEGORIA PENALISTICA DA RICOSTRUIRE ED UNA CONSEGUENZA PER L’AZIENDA DA EVITARE, Archivio penale, 2018, disponibile sul sito https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/upload/3318-mezzetti118.pdf.

[9] I potesi di esclusione sancite dall’art. 13 ultimo comma d.lgs. 231/2001, in combinato disposto art. 12 – art. 17 d.lgs. 231/2001 (effetti delle condotte riparatorie) – art. 78 c.p. che consente la conversione della sanzione interdittiva a determinate condizione.

Si legga anche: ORLANDINI, La nuova frontiera della responsabilità degli enti: la Tax Compliance e i reati tributari, Ius in Itinere.

Maria Elena Orlandini

Avvocato, finalista della II edizione della 4cLegal Academy, responsabile dell'area Fashion Law e vice responsabile dell'area di Diritto Penale di Ius in itinere. Maria Elena Orlandini nasce a Napoli il 2 Luglio 1993. Grazie all’esperienza di suo padre, fin da piccola si appassiona a tutto ciò che riguarda il diritto penale, così, conseguita la maturità scientifica, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza presso l'Università degli Studi del Sannio. Si laurea con 110 e lode il 20 Marzo 2018 con una tesi dal titolo "Mass Media e criminalità" seguita dai Proff. Carlo Longobardo e Prof. Felice Casucci, in cui approfondisce il modus attraverso il quale i social media e la tv siano in grado di mutare la percezione del crimine nella società. Nel 2019 ha conseguito con il massimo dei voti il Master di II livello in Giurista Internazionale d'Impresa presso l'Università degli Studi di Padova - sede di Treviso, specializzandosi in diritto penale dell'economia, con una tesi dal titolo "Il reato di bancarotta e le misure premiali previste dal nuovo Codice della Crisi di Impresa", sotto la supervisione del Prof. Rocco Alagna. Nel giugno 2020 ha superato il corso di diritto penale dell'economia tenuto dal Prof. Adelmo Manna, professore ordinario presso l'Università degli Studi di Foggia, già componente della commissione che ha varato il d.lgs. 231/2001. All'età di 27 anni consegue l'abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte d'Appello di Venezia. Dal 2019 segue plurimi progetti legati al Fashion Law e alla proprietà intellettuale, prediligendone gli aspetti digital in tema di Influencer Marketing. Nel 2020 viene selezionata tra i cinque giovani talenti del mercato legale e partecipa alla seconda edizione della 4cLegal Academy, legal talent organizzato dalla 4cLegal, visibile sul canale BFC di Forbes Italia, su Sky. Nel 2022 si iscrive al corso di aggiornamento professionale in Fashion Law organizzato dall'Università degli Studi di Firenze. Passione, curiosità, empatia, capacità di visione e self control costituiscono i suoi punti di forza. Collabora per le aree di Diritto Penale e Fashion Law & Influencer marketing di Ius in itinere. email: mariaelena.orlandini@iusinitinere.it

Lascia un commento