mercoledì, Aprile 17, 2024
Uncategorized

Il TAR Firenze torna sulla sindacabilità della discrezionalità tecnica

Commento alla sentenza n. 1303/2022

A cura di Raffaella Granata

L’articolata pronuncia del TAR Firenze affronta trasversalmente due questioni di primaria importanza dal punto di vista processuale e sostanziale.

In primo luogo, viene in rilievo il problema della tutela giurisdizionale degli interessi sovraindividuali, con particolare riferimento alla tutela ambientale.

Nell’estromettere il Comitato per la Tutela e la Difesa della Val D’Elsa dal processo per difetto di legittimazione attiva, il TAR ha modo di ridefinire i concetti di interesse collettivo e di interesse diffuso, nonché i requisiti che il ricorrente deve possedere per far valere in giudizio siffatte situazioni giuridiche.

Grazie all’attività ermeneutica evolutiva svolta dalla giurisprudenza, nel corso degli anni il concetto di interesse legittimo è stato interpretato non solo in chiave strettamente individuale, bensì esteso fino a ricomprendere posizioni facenti capo ad una pluralità di soggetti differenziati.

Un fondamento positivo alla base di siffatta interpretazione può rinvenirsi nell’articolo 2 della Costituzione, il quale riconosce e tutela i diritti inviolabili delle persone anche nelle formazioni sociali.

In sede processuale, il problema relativo al meccanismo attraverso il quale riconoscere legittimazione ad agire ai soggetti portatori di detti interessi è stato dapprima-ed efficacemente-risolto con riferimento agli interessi collettivi.

Sono stati infatti individuati organismi qualificati legittimati ad agire in giudizio per la tutela di interessi superindividuali, ossia categorie o gruppi omogenei costituiti da una pluralità di soggetti e organizzati per realizzare i propri fini.

Il primo nodo gordiano che il giudice amministrativo affronta nella seguente pronuncia è relativo proprio ai criteri di individuazione degli enti esponenziali legittimati ad agire in giudizio per la tutela di interessi collettivi.

Nel corso del tempo sono stati individuati tre criteri principali: il possesso della personalità giuridica in capo all’ente; il criterio della partecipazione procedimentale e, da ultimo, quello della rappresentatività della comunità cui fa capo l’interesse asseritamente leso.

La giurisprudenza ha gradualmente abbandonato i primi due criteri, in quanto il primo era idoneo a determinare discriminazioni tra enti riconosciuti e non riconosciuti, mentre il secondo non sembrava cogliere il fine effettivo della partecipazione di un soggetto al procedimento amministrativo, possibilità cui non sempre si ricollega la legittimazione ad agire in giudizio.

Oggi si predilige dunque il criterio della rappresentatività dell’ente, caratteristica che deve emergere innanzitutto dalle previsioni statutarie dello stesso, ma soprattutto dall’esistenza di una stabile struttura organizzativa e da un solido collegamento con l’interesse che si presume leso.

A questo si aggiunge l’ulteriore criterio del riconoscimento legislativo: in diversi casi è infatti il legislatore ad operare una legittimazione ex lege a favore di determinate organizzazioni per la tutela di interessi collettivi.

Con specifico riferimento alle associazioni ambientaliste, la giurisprudenza[1] ha recentemente affermato che la concreta rappresentatività in capo a siffatti organismi va accertata con riguardo alla sussistenza di tre presupposti: essi devono perseguire statutariamente, in modo non occasionale, obiettivi di natura ambientale; devono possedere un adeguato grado di rappresentatività e stabilità, anche tenuto conto del numero e della qualità degli associati, che renda le proprie azioni dotate di un apprezzabile grado di consistenza e, infine, devono avere un’area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso.

Nel caso di specie, il ricorrente Comitato per la Tutela e la Difesa della Val D’Elsa vanta una recentissima costituzione rispetto ai fatti di cui si discute, tale da indurre il TAR Firenze a presumere che lo stesso sia stato costituito al fine specifico di attivare la tutela ablatoria in giudizio avverso i provvedimenti in esame: per questo motivo, il giudice amministrativo ritiene insussistente il requisito dell’apprezzabile grado di operatività dell’organismo nel territorio, tale da qualificare l’ente come effettivamente rappresentativo degli interessi della collettività che pretende di rappresentare.

Il secondo tema centrale è legato alla discrezionalità tecnica e al sindacato esercitabile dal giudice amministrativo in siffatte ipotesi.

Nel caso di specie, il problema si ricollega all’aggiornamento dell’Autorizzazione Unica ambientale richiesto dalla distilleria DETA s.r.l., controinteressato nel ricorso in oggetto, provvedimento rilasciato dal SUAP del Comune di Barberino Tavernelle (FI) e che ha comportato una modifica sostanziale relativamente alle emissioni in atmosfera prodotte dallo stabilimento.

La discrezionalità tecnica consiste nel potere riconosciuto alla Pubblica Amministrazione di acquisire la conoscenza di un determinato fatto facendo ricorso a criteri di natura scientifica ed a cognizioni tecniche e specialistiche.

Essa consente di formulare valutazioni tecniche sulla base di un giudizio che riempie di contenuto concetti giuridici indeterminati: la sua applicazione ai casi concreti può condurre dunque a risultati diversi, egualmente apprezzabili, in quanto le sue conclusioni sono caratterizzate dalla opinabilità.

Un esempio classico di concetto giuridico indeterminato è dato dalla nozione di mercato rilevante.

Si tratta di un tema discusso, in quanto concerne una forma di discrezionalità a mezza via tra attività vincolata e discrezionalità amministrativa pura: nella discrezionalità tecnica manca la scelta, il momento amministrativo, il quale implica una necessaria comparazione tra l’interesse pubblico da perseguire e gli interessi ulteriori che entrano in gioco, come avviene nella discrezionalità pura, ma vi sarebbe allo stesso tempo un quid pluris rispetto alla mera attività vincolata.

Le peculiarità della discrezionalità tecnica si ripercuotono inevitabilmente sul sindacato del giudice amministrativo poiché, dal momento che non sussiste attività vincolata propriamente intesa, il giudice amministrativo non può sostituirsi alla Pubblica Amministrazione, in quanto sconfinerebbe in una valutazione di opportunità che attiene invece a profili di merito.

Bisogna capire dunque come si atteggia il sindacato giurisdizionale nel caso di specie, onde evitare l’infrazione del limite concernente la divisione dei poteri.

Dopo una sofferta evoluzione giurisprudenziale, che nasce con la storica sentenza del 1999 della IV Sezione del Consiglio di Stato[2] in materia di riconoscimento della causa di servizio, si afferma oggi pacificamente che il giudice amministrativo può esercitare un sindacato non meramente estrinseco (ab externo, con gli occhi del profano e non del tecnico), ma può spingersi oltre.

Il giudice amministrativo ha infatti a disposizione strumenti che consentono di sindacare le valutazioni tecnico-discrezionali – si pensi alla CTU, introdotta nell’ordinamento con la legge 205/2000 – ma funzionali alla sola valutazione di attendibilità, mantenendo ferma la distinzione tra attendibilità e opinabilità della valutazione tecnica operata dalla PA.

Il consulente tecnico deve limitarsi a dire se la Pubblica Amministrazione abbia agito nei limiti elastici della regola tecnica o se, al contrario, la scelta risulti insostenibile agli occhi di un esperto.

Il controllo intrinseco implica dunque che il giudice amministrativo accerti, secondo la ricostruzione tradizionale, i fatti posti alla base della valutazione e il criterio tecnico adottato dalla Pubblica Amministrazione, valutandone poi il conseguente giudizio applicativo.

Se la scelta finale non appare irragionevole, ma semplicemente opinabile, il giudice non può non condividerla, onde evitare un’indebita ingerenza nell’attività riservata alla Pubblica Amministrazione.

Ragionando diversamente, se il giudice affermasse di preferire una soluzione diversa, opererebbe una sostituzione e sarebbe l’organo giurisdizionale stesso ad esercitare il potere, ma il giudice amministrativo è giudice dell’Amministrazione e non nell’Amministrazione, cui spetta il compito di controllare se il potere – anche quello che implica valutazioni tecniche – sia stato esercitato correttamente, e non quello di ri-esercitarlo.

Tuttavia, vi è una teoria sostenuta dal Consiglio di Stato che, proprio con riguardo alla discrezionalità tecnica, ritiene che il giudice amministrativo possa sostituirsi alla Pubblica Amministrazione laddove il comportamento di quest’ultima, inutilmente capzioso e contrastante con il principio di buona fede, abbia di fatto esaurito la discrezionalità[3].

La sentenza in esame conferma l’approdo giurisprudenziale analizzato, con riferimento all’esercizio di un sindacato intrinseco da parte del giudice amministrativo: si ribadisce l’imprescindibilità del controllo di legalità sulle regole tecniche richiamate dalle norme giuridiche applicabili dall’Amministrazione nei singoli casi di specie, le quali costituiscono il parametro di riferimento del giudizio di legittimità dell’azione amministrativa.

Il controllo giudiziario sul provvedimento frutto di discrezionalità tecnica, una volta accertato il cattivo utilizzo della stessa da parte dell’Amministrazione, deve limitarsi all’annullamento dell’atto impugnato e non può spingersi fino a indicare la corretta soluzione del problema tecnico.

In merito all’aggiornamento dell’Autorizzazione Unica Ambientale rilasciato al controinteressato, il TAR non ravvisa alcun superamento dei limiti della logicità e della ragionevolezza delle valutazioni tecniche da parte delle Amministrazioni intimate.

Al contrario, le valutazioni dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana appaiono logiche e ragionevoli, pur nella loro opinabilità che è propria di tutte le scienze specialistiche, non emergendo elementi sintomatici di vizi di manifesta illogicità o travisamento negli atti tecnici istruttori.

Il bilanciamento degli interessi in gioco, come effettuato dai provvedimenti impugnati dinnanzi al giudice di primo grado, evidenzia la sufficiente considerazione dell’interesse alla tutela ambientale da parte della PA, mediante l’imposizione di scelte tecniche ragionevoli ed efficaci a fronte di un’alternativa, prospettata dai ricorrenti, che avrebbe determinato il risultato, evidentemente sproporzionato, dell’azzeramento della produzione all’interno dello stabilimento.

 

[1] cfr. T.A.R. Friuli-Venezia Giulia I, 5 luglio 2021 n. 208; C.d.S. IV, 7 settembre 2022 n. 7799; T.A.R Toscana II, 23 marzo 2022 n. 372; T.A.R Liguria II, 10 febbraio 2017 n. 95

[2] cfr. IV Sez. CdS, sentenza n. 601/1999

[3] Il caso “La Macchia”, analizzato dal Consiglio di Stato in una pronuncia del 2019, riguardava una vicenda relativa all’abilitazione a professore ordinario del ricorrente. Dopo due annullamenti precedenti da parte del giudice amministrativo, in cui veniva affermata l’erroneità delle valutazioni operate dalla PA, il Consiglio di Stato, interrogato sulla questione per la terza volta, disponeva l’abilitazione all’insegnamento come professore ordinario del ricorrente.

In questa pronuncia è evidente come il giudice amministrativo si sostituisca alla Pubblica Amministrazione, esercitando di fatto una giurisdizione di merito. La giurisdizione, a parere del Supremo Consesso, diviene “di merito” a fronte dell’esaurimento della discrezionalità tecnica amministrativa, che si tramuta in attività strettamente vincolata.

Lascia un commento