venerdì, Marzo 29, 2024
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Il valore dei dati: prospettive e caratteristiche dei big data

Il valore dei dati: prospettive e caratteristiche dei big data

a cura di Sandro Marcelli

Uno dei temi più interessanti dell’attuale contesto giuridico (e non solo) è sicuramente rappresentato dal mercato dei big data[1].

Spesso ne sentiamo parlare[2], sia nell’ottica della loro importanza (economica e non solo), sia della necessità di regolamentarne l’utilizzo; vi sono poi le contese in ordine alla collocazione nell’ambito di un determinato mercato piuttosto che, come per beni e/o servizi appartenenti a classi merceologiche diverse, in mercati distinti a seconda della tipologia di dati che vengono raccolti[3].

Una premessa è comunque dovuta, e parte dalla seguente domanda: che ruolo svolgono i big data nell’attuale contesto socio-economico-giuridico?

Per dare una risposta a questa domanda è necessario comprendere alcune caratteristiche di questa tipologia di beni: evitando di scendere troppo nel dettaglio, trattandosi di una materia il cui approccio potrebbe essere particolarmente tecnico, si consideri in prima battuta l’importanza che determinate informazioni hanno nello svolgimento di una qualsiasi attività economica.

Infatti, senza informazioni adeguate che consentano di mettere in atto le scelte corrette, difficilmente si potrebbe ottenere una strategia efficace ed efficiente; sotto questo punto di vista, i big data servono esattamente a questo, trattandosi di beni da cui si possono estrarre moltissime informazioni che poi potranno essere impiegate per prendere le migliori decisioni possibili.

Alla luce di queste considerazioni risulta ovvio come la possibilità di raccogliere una quantità di dati sempre più elevata, unita a quella di estrazione delle informazioni che si ritengono necessarie, rappresentino ad oggi due attività centrali nell’ambito di qualsivoglia business[4]: infatti, grazie all’utilizzo di questa risorsa è possibile accrescere l’efficienza dei processi produttivi, migliorare le capacità decisionali, prevedere con maggiore accuratezza le tendenze attuali e future e, in conseguenza di ciò, rendere più mirate e precise le attività commerciali nell’individuazione del proprio target di mercato.

Fatte queste brevi premesse relativamente alla natura dei dati, possiamo quindi rispondere alla domanda relativa alla sussistenza (o meno) di valore economico nello sfruttamento di questi: la risposta non può che essere positiva, anche se bisogna considerare elementi ulteriori rispetto al valore intrinseco che il dato reca con sé.

Infatti, i dati hanno valore non in quanto tali (ossia quali dati grezzi), e questo poiché le informazioni che sono contenute al loro interno non permettono di ottenere molto senza che prima vengano poste in essere ulteriori attività di organizzazione, gestione, filtraggio ed estrazione[5].

Per fare una breve panoramica sulla tipologia di azioni propedeutiche allo sfruttamento dei big data, si considerino i principali passaggi che vengono compiuti dagli operatori attivi nella raccolta e organizzazione dei dati: 1)- raccolta, a sua volta consistente nella generazione, acquisizione e memorizzazione dei dati, 2)- elaborazione, ossia estrazione, integrazione ed analisi, 3)- interpretazione e impiego[6].

Nell’ambito poi del business riguardante i dati, si hanno diverse tipologie di attività commerciali: da una parte, quelle che consentono l’accesso a servizi e/o beni dietro il rilascio di dati (tendenzialmente personali, arricchiti poi da altri dati che vengono ottenuti come effetto delle attività che l’utente svolge sulle piattaforme digitali), nelle quali si tende ad abbassare il prezzo del servizio in cambio dell’accesso ai suddetti dati[7]; dall’altra, si afferma il c.d. “market for data” nel quale si sviluppa l’attività di veri e propri brokers la cui occupazione consiste esattamente nel raccogliere grandi quantità di dati per poi rivenderle agli operatori interessati a possederne ai fini di una più ottimale profilazione dei clienti.

Da queste informazioni possiamo rispondere anche ad un’altra domanda: come mai questo fenomeno interessa principalmente l’ecosistema digitale?

Ebbene, se è vero che gran parte delle attività quotidiane (situazione acuita dall’attuale contesto pandemico) passano proprio dallo svolgersi di routinarie operazioni nell’ambito di tali piattaforme, ecco che si potrà ben comprendere come mai la gestione di una mole così ampia ed estesa di dati diventa una risorsa enorme, per non dire essenziale, delle aziende; inoltre, è proprio lo sfruttamento di tecnologie sempre più moderne e performanti che consente lo svolgimento di un’attività così intensa ed estesa ad una quantità sterminata di dati ed informazioni.

Tuttavia, se è facile pensare ai molteplici utilizzi possibili grazie allo sfruttamento dei dati, altrettante sono le paure che ne derivano: in primo luogo, sorgono preoccupazioni nell’ambito del rapporto tra big data e tutela della privacy degli utenti rispetto alla raccolta di personal data[8]; ancora, altre preoccupazioni sorgono rispetto alle possibili derive anti-concorrenziali laddove è pacifico ritenere i big data una risorsa capace di incidere profondamente sulle corrette dinamiche di mercato.

Rispetto a questo secondo tema, che involve la questione dei big data come input che consente di operare nei mercati digitali, gli elementi da considerare non possono prescindere da un’analisi economica idonea a permettere di stabilire se, e a che condizioni, questa risorsa può rappresentare un pericolo per la concorrenza.

Invero, alcune caratteristiche dei dati rendono sicuramente peculiare questa tipologia di bene rispetto ad altri input: tra queste sicuramente vi sono la natura non rivale e non esclusiva dei big data.

Rispetto alla prima caratteristica si ritiene che i big data non siano autonomamente controllabili da nessun operatore (perlomeno in astratto); parlando invece di non esclusività, ciò si traduce nel fatto che il consumo di tale risorsa da parte di alcuni non ne riduce la possibilità di utilizzo da parte di altri.

Ancora, i dati sono un bene in cui è importante valutare la contingenza, ossia la sussistenza di tempestività e accuratezza nello svolgimento delle operazioni di estrazione delle informazioni; l’importanza di questo elemento risiede nella necessità che i big data rispecchino in maniera precisa ed affidabile le tendenze di un certo momento.

Nell’indagine di chi argomenta valutando unicamente tali caratteristiche il rischio antitrust non ci sarebbe o perlomeno non rappresenterebbe niente di diverso o anomalo rispetto alle normali pratiche anticoncorrenziali[9].

Se queste argomentazioni sono vere, è bene precisare che la questione dell’incidenza dei big data sul corretto svolgersi delle dinamiche concorrenziali non finisce qui; infatti, nell’ambito dell’economia digitale, il fenomeno in questione è particolarmente rilevante se si guarda a quei modelli di business operanti nei mercati a più versanti (c.d. multi-sided platforms).

Infatti, per le piattaforme multi-sided la raccolta di ingenti quantità di dati (vero e proprio core business di queste aziende) è in grado di determinare un importante vantaggio informativo che, in secondo luogo, finisce per creare asimmetria informativa rispetto alle piattaforme che operano sul singolo versante; a queste condizioni si vengono dunque a creare imponenti barriere all’entrata[10]. Come conseguenze ultime, poi, si possono determinare effetti c.d. di feedback loops nonché di spill-overs positivi, dove i primi descrivono l’aumento dei dati che vengono raccolti su una piattaforma al crescere degli utenti iscritti; i secondi invece indicano il miglioramento del servizio reso su un versante grazie all’aumento dei dati raccolti su quello opposto[11].

C’è di più: nonostante l’assenza di rivalità nei big data non è comunque esatto sostenere che essi risultano concretamente accessibili a tutti e, soprattutto, con le stesse possibilità; si potrebbe mai paragonare la potenza di fuoco di alcuni colossi del digitale (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft) con quella di altri operatori[12]?

Inoltre, la presenza di brokers che fanno da intermediari nella vendita di datasets più o meno ampi, difficilmente può arginare o comunque contrastare l’operato dei predetti colossi; infatti, al netto dell’attività che questi possono compiere come “mediatori” nella vendita di big data, bisogna considerare che il valore di questa categoria di beni, e di conseguenza la loro consistenza economica, non può che prescindere da alcune caratteristiche ulteriori.

Fra queste, la più esplicativa risulta la regola delle c.d. “quattro V”, ossia l’insieme di quelle caratteristiche che permettono di attribuire grande rilevanza ai big data: valore, varietà, velocità e volume.

In conclusione, il tema dei big data è sicuramente molto complesso e, come detto, trasversale; potremmo anzi dire che questa seconda caratteristica è proprio ciò che li rende complessi. Un osservatore attento (che per quanto concerne il nostro campo di analisi non può che essere il giurista) non può e non deve dare nulla per scontato.

Infatti, se è vero che le sfide che il diritto si trova a dover affrontare non finiscono mai, è altrettanto vero che in questo caso la crescita del fenomeno, incluse la sua intensità e velocità, non lasciano molto spazio alla riflessione su quale debba (o possa) essere la direzione giusta da seguire per trovare un impianto normativo adatto a regolamentarne lo sviluppo[13].

[1] Per un approfondimento sul tema dei big data in generale, vedi l’art. sempre su questa rivista a cura di L. Berto, 2018, “Big data: la rivoluzione digitale del diritto” che potete trovare al seguente link https://www.iusinitinere.it/big-data-la-rivoluzione-digitale-del-diritto-7624

[2]Big Data. Cosa sono, come analizzarli e come utilizzarli per fare marketing” di E. Iandiorio, editore Flaccovio Flavio, anno 2019

[3] Per una definizione di cosa sia il mercato rilevante vedi “Diritto Antitrust”, seconda edizione, a cura di F. Ghezzi e G. Olivieri, Giappichelli editore, anno 2019 pag. 54 e ss.

[4] Per talune imprese il vero e proprio core business.

[5] I dati sono prodotti da innumerevoli fonti, per quanto concerne la loro gestione e organizzazione non si può poi prescindere da sistemi automatici o semiautomatici, come processori e/o algoritmi (si pensi ai sistemi di machine learning), nonché in fase di filtraggio mediante processi di estrazione (c.d. knowledge discovery in database) tramite appositi software (data mining, text mining ecc. ecc.)

[6] Indagine conoscitiva sui Big Data (IC53), Agcom, Agcom e Garante per la protezione dei dati personali disponibile su https://www.agcm.it/media/comunicati-stampa/2020/2/Big-Data-pubblicata-indagine-Agcom-Agcm-e-Garante-privacy

[7] Talvolta perfino azzerando il costo di un dato servizio, ad esempio nelle ipotesi di iscrizione a piattaforme digitali come i social network dove l’utente normalmente si iscrive senza dover sborsare alcuna cifra ma, di fatto, “paga” attraverso il rilascio di tutta una serie di dati (personali e non).

[8] I dati che rientrano nelle varie operazioni di raccolta e gestione possono essere personali e non personali, con la conseguenza che il soggetto che si occuperà di compiere tali attività dovrà valutare questa importante differenza ai fini del trattamento che verrà posto in essere.

[9] Ossia le fattispecie di intese restrittive della concorrenza, di abuso di posizione dominante (nella tipologia di abusi escludenti e di sfruttamento) e, infine, di concentrazione.

[10] Nell’ambito dei mercati digitali, spesso, la contendibilità è resa più complicata da talune peculiarità di tali mercati: si pensi all’utilizzo di un determinato social network, dove il valore aggiunto per l’utente che si iscrive risiede proprio nel fatto che ci sono molti iscritti, con la conseguenza che l’affermarsi di una di queste piattaforme disincentiva l’utente dal cambiare servizio, risultando non conveniente supportare gli switching costs del caso.

[11] G. Colangelo, “Big data, piattaforme digitali e antitrust”, Il Mulino editore, 2019, https://www.rivisteweb.it

[12] Noti nell’ambiente con l’acronimo di “G.A.F.A.M.”

[13] “Il motore primario di questo processo di generazione di dati è indubbiamente Internet: attraverso la rete, infatti, in un minuto sono inviati 44 milioni di messaggi, sono effettuate 2,3 milioni di ricerche su Google, sono generati 3 milioni di “mi piace” e 3 milioni di condivisioni su Facebook, e sono effettuati 2,7 milioni di download da Youtube. Google elabora dati da centinaia di Petabyte (PB), Facebook ne genera oltre 10 al mese e Alibaba decine di Terabyte (TB) al giorno per il commercio online.”, Indagine conoscitiva sui Big Data (IC53), AGCOM, Agcom, Garante per la protezione dei dati personali, op. cit..

 

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