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Il veto di Polonia e Ungheria al Bilancio europeo (e al Recovery Fund): quanto costa il rispetto della rule of law?

Il bilancio dell’Unione europea alla prova della pandemia da Covid-19: il c.d. Recovery Fund

Come noto, la pandemia Covid-19 ha travolto il continente europeo e il resto del mondo. Le misure di contenimento del contagio hanno imposto restrizioni delle libertà personali ed economiche: il lockdown ha impedito lo spostamento di persone, con la conseguente chiusura/limitazione di molte attività imprenditoriali. Inoltre, la pandemia ha richiesto sforzi economici enormi per il settore sanitario, costretto ad approntare nuovi e più ampi reparti destinati ai pazienti Covid in tempi record.

L’Unione europea ha introdotto in questi mesi rilevanti novità per sostenere gli Stati in questo difficile momento, in parte innovando le misure già esistenti[1], in parte creando nuovi strumenti di stampo prettamente economico. Il più rilevante, soprattutto sotto il profilo politico, è il c.d. Recovery Fund (il cui nome ufficiale è Next Generation EU), un fondo dedicato alla “guarigione” dei sistemi economici e sociali degli Stati membri.

L’accordo raggiunto in seno al Consiglio europeo nel luglio 2020 può definirsi storico per due ordini di ragioni: in primo luogo, è la prima volta che gli Stati accettano di finanziare un fondo attraverso il ricorso al mercato dei capitali, emettendo bond europei (un’ipotesi che i Paesi frugali hanno fortemente osteggiato nel timore che possa diventare una prassi, o peggio ancora, una nuova e stabile linea di finanziamento del bilancio europeo). In secondo luogo, è storica la cifra stabilita, ossia 750 miliardi di euro da distribuire fra i vari Stati[2].

Come si approva il Quadro Finanziario Pluriennale dell’Unione europea

Lo strumento del c.d. Recovery Fund è strettamente collegato al Quadro Finanziario Pluriennale (“QFP”). Il QFP (o bilancio a lungo termine) è, in buona sostanza, lo strumento che “[…] fissa gli importi dei massimali annui degli stanziamenti per impegni per categoria di spesa e del massimale annuo degli stanziamenti per pagamenti […]” (art. 312, par. 3 TFUE) e “[…] mira ad assicurare l’ordinato andamento delle spese dell’Unione entro i limiti delle sue risorse proprie” (art. 312, par. 1 TFUE). Il QFP ha una durata variabile fra i cinque e i sette anni e i bilanci annuali dipendono direttamente da quest’ultimo: il bilancio a lungo termine è infatti il quadro entro il quale i primi devono “muoversi”.

L’iter di approvazione del QFP è particolarmente complesso e riflette la necessità di concordare un assetto finanziario capace di garantire stabilità: le istituzioni europee, in un certo senso, elaborano un progetto “a lunga gittata” per l’Unione, il cui raggiungimento richiede anni. La procedura che conduce all’approvazione del bilancio a lungo termine è descritto in modo dettagliato dall’art. 312 TFUE che richiede, in questo caso, una procedura legislativa speciale finalizzata all’adozione di un regolamento ad hoc. In particolare, il par. 2 prevede che il Consiglio dell’Unione europea deliberi “all’unanimità previa approvazione del Parlamento europeo, che si pronuncia a maggioranza dei membri che lo compongono”. Questa proposizione, apparentemente semplice, nasconde la necessità per le due istituzioni (Consiglio e Parlamento) di trovare un accordo prima di tutto politico. Il progetto del Consiglio viene inviato al Parlamento europeo affinché lo approvi o lo respinga, senza possibilità di proporre emendamenti. Dopo l’approvazione del Parlamento europeo, il progetto “torna” al Consiglio per l’adozione definitiva all’unanimità, salvo che non gli venga consentito, da parte del Consiglio europeo (all’unanimità) l’adozione a maggioranza qualificata (art. 312, par. 2, c. 2 TFUE).

Il veto di Polonia e Ungheria: l’asta (al ribasso) sullo stato di diritto

Il QFP 2021-2027 che, come detto, prevede l’istituzione del c.d. Recovery Fund, ha presentato fin dall’inizio inedite difficoltà nella negoziazione.

In un primo momento, la proposta della Commissione europea di istituire tale fondo ha generato attriti in seno al Consiglio europeo e forti discussioni, in particolare sulla  somma complessiva dello stanziamento, sulla ripartizione stato per stato e sui metodi di controllo dei progetti avanzati dagli stati. Dopo aver raggiunto questo compromesso, un altro difficile momento di interlocuzione si è avuto proprio fra il Consiglio e il Parlamento europeo. Uno dei punti più complessi riguardava la possibilità di introdurre un “meccanismo di condizionalità“, che subordina l’erogazione dei fondi al rispetto della rule of law. Infatti, il rispetto dello stato di diritto è una condizione essenziale per partecipare al progetto europeo[3] e la mala gestio dei fondi europei costituisce un rischio specifico, origine e, al tempo stesso, causa di ulteriori violazioni di questo valore. Affidare la gestione dei predetti fondi a governi che non garantiscono il rispetto della rule of law rischierebbe di privare coloro che dovrebbero percepire tali sovvenzioni ed, allo stesso tempo, di creare una vera e propria rete capace di “blindare” e rendere sempre più inattaccabile quel governo (corrotto e corruttore) [4]. Il rispetto della rule of law, dunque, è una questione di primaria importanza e non più rinviabile considerate le molteplici violazioni (accertate dalla Corte di Lussemburgo) da parte di Stati membri come la Polonia e l’Ungheria[5].

Il 5 novembre scorso Consiglio e Parlamento hanno trovato un accordo proprio su tale tema, concordando l’istituzione di un meccanismo assolutamente innovativo. In particolare, è stata negoziata una nozione ampia di “violazione dello stato di diritto” che include, oltre alla corruzione e alla frode, gli aspetti sistemici legati ai valori dell’Unione proclamati dall’art. 2 TUE. Un ulteriore punto di forza dell’assetto concordato riguarda l’introduzione di un articolo che reca degli esempi di violazioni che possono dar luogo alla sospensione dei fondi (ad esempio la minaccia dell’indipendenza dei giudici o la limitazione illegale dei rimedi giurisdizionali a disposizione dei cittadini).

Il meccanismo ha anche una funzione preventiva, ossia volta a interrompere il flusso dei fondi anche quando il rischio di violazione del bilancio UE è “solo” paventato (con evidenti problemi pratici sia sotto il profilo probatorio sia – e soprattutto – sotto quello politico).

Questo nuovo strumento, vale la pena di sottolinearlo, non è pensato come una punizione per i cittadini dello stato interessato dalla sospensione. Nella proposta concordata, al fine di “colpire” in modo preciso i governi (i veri colpevoli della violazione della rule of law), è stata prevista l’istituzione e la gestione da parte della Commissione di una piattaforma web. Quest’ultima dovrò raccogliere i reclami direttamente dai cittadini e garantire la continuità dell’erogazione dei fondi.

Questo passo avanti, nella definizione del QFP e nella protezione dello stato di diritto, ha provocato il forte dissenso dei governi polacco e ungherese i quali temono di essere penalizzati da questo meccanismo[6]. Per questo motivo i rappresentanti permanenti dei due Paesi menzionati sopra hanno posto il loro veto in sede di Comitato dei Rappresentanti Permanenti (COREPER)[7], bloccando i lavori preparatori del Consiglio dell’Unione europea che avrebbe dovuto presto adottare definitivamente il regolamento recante il Quadro Finanziario Pluriennale[8]. Sebbene il COREPER non abbia che funzioni preparatorie dei lavori delle varie formazioni del Consiglio, il veto opposto crea una situazione di impasse istituzionale (e per certi versi di imbarazzo agli occhi degli altri Stati membri, soprattutto di quelli che necessitano maggiormente del Recovery Fund per risollevarsi). Infatti, il COREPER è definibile come una replica minore del Consiglio e anche se “non adotta formalmente atti, […] sovente la discussione del testo si conclude nel suo ambito, perché quando vi si raggiungono soluzioni concordate le questioni sono iscritte nella parte A dell’ordine del giorno […]”[9], sezione dedicata agli atti che non necessitano di ulteriore dibattito, come previsto dal Regolamento interno del Consiglio.

Cosa potrebbe accadere se non si trovasse il compromesso in tempo e dunque non si adottasse il QFP nei termini stabiliti dal Trattato? Lo stesso art. 312 TFUE prevede questa evenienza: ai sensi del par. 4 “i massimali e le altre disposizioni vigenti nell’ultimo anno coperto sono prorogati fino all’adozione […]” dell’atto. In buona sostanza, si aprirebbe una fase di gestione “provvisoria” con possibilità di spesa molto ridotte proprio a causa della provvisorietà della base su cui poter adottare le decisioni. Se questa prospettazione “in tempo di pace” apparirebbe problematica, nel momento (storico) in cui l’Unione è chiamata a fare scelte coraggiose e in parte inedite, le quali hanno innegabilmente un costo alto, uno stallo del genere è a dir poco inaccettabile. Gli effetti dell’immobilismo, infatti, non rischiano solo di bloccare l’attività dell’UE, ma anche di minare la fiducia dei cittadini europei nelle capacità stesse dell’Unione. Infine, visti i tempi tecnici necessari ad ottenere le risorse per “riempire” il Recovery Fund, l’intero progetto subirebbe enormi ritardi, andando a detrimento di tutti gli Stati europei, a partire da quelli più bisognosi di aiuto (come l’Italia).

Conclusioni. L’unanimità del Consiglio ha ancora un senso?

Quanto è accaduto in sede di COREPER riapre un dibattito mai sopito fin dall’adozione del Trattato di Lisbona, ossia l’idoneità (e l’attualità) di uno dei metodi di votazione del Consiglio dell’Unione europea: l’unanimità.

Il pro di questo metodo è evidenziato in modo chiaro da Charles Michel, l’attuale Presidente del Consiglio europeo, secondo il quale è vero che l’unanimità “talvolta impedisce persino la decisione [, ma] porta allo stesso tempo a sforzi costanti di unire gli Stati membri[10].

Più verosimilmente, l’unanimità era un metodo di votazione adatto ad un gruppo molto ristretto di Stati membri. L’Europa a 28 (o meglio, a 27 dopo il Brexit) richiederebbe procedure più snelle, per le quali si richiedono maggioranze alte (qualificate), ma non l’unanimità che rischia di far cadere l’Unione in stallo con grande frequenza, o peggio, spingere gli Stati al compromesso al ribasso[11].

Ad ogni modo, per cambiare il metodo di votazione si dovrebbe “mettere mano ai Trattati” e non sembra che sia una possibilità molto vicina, non solo a causa dell’emergenza sanitaria in corso, ma per mancanza di volontà politica. Infatti, oltre a cambiare i metodi di votazione, sarebbero necessarie serie misure (anzi, contromisure) per rispondere alle violazioni della rule of law, che potrebbero costituire degli efficaci freni di emergenza a tutela non solo della popolazione coinvolta nella distorsione dello stato di diritto, ma del funzionamento dell’intera Unione.

 

[1] Per fare un esempio il Meccanismo Unionale di Protezione Civile ha provveduto, attraverso il suo sistema di scorte rescEU (introdotto nel 2019, ma modificato per l’occasione nel 2020) a distribuire respiratori per i reparti di terapia intensiva, guanti, mascherine e igienizzante per fronteggiare l’emergenza pandemica. Per un approfondimento si consiglia la lettura di Ius in itinere, La crisi sociale dopo quella sanitaria da COVID-19: è possibile ripartire dal Pilastro europeo dei diritti sociali?, marzo 2020, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/la-crisi-sociale-dopo-quella-sanitaria-da-covid-19-e-possibile-ripartire-dal-pilastro-europeo-dei-diritti-sociali-27392

[2] Per un approfondimento sul progetto del Recovery Fund si consiglia la lettura di M. Di Domenico, Il Recovery Fund: l’azione europea per la ripresa, luglio 2020, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/il-recovery-fund-lazione-europea-per-la-ripresa-29400; L. Pone, Europa, Italia e il patto del Recovery Fund, agosto 2020, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/europa-italia-e-il-patto-del-recovery-fund-30182

[3] Ai sensi dell’art. 2 TUE il rispetto dello stato di diritto è uno dei valori sui quali l’Unione si fonda, “valori […] comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini” (art. 2, seconda proposizione, TUE).  All’art. 7 TUE, invece, si trova la procedura che può essere utilizzata per sanzionare gli Stati che violano uno dei valori dell’Unione, arrivando a prevedere fra le conseguenze la sospensione del diritto di voto dello Stato in seno al Consiglio dell’Unione europea (art. 7, par. 3 TUE).

[4] Per la ricostruzione in questo senso si veda I. Butler, How to safeguard European values through the Multiannual Financial Framework: Two proposals Two proposals to promote and protect European values through the Multiannual Financial Framework: Conditionality of EU funds and a financial instrument to support NGOs, in Civil Liberties Union for Europe, marzo 2018, in part. pag. 15.

[5] Per la definizione di rule of law (o stato di diritto) si consiglia la lettura di R. Russo, Il caso Polonia e il rispetto della rule of law in Europa, ottobre 2019, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/il-caso-polonia-e-il-rispetto-della-rule-of-law-in-europa-22919. Per l’analisi di una proposta volta a incentivare il rispetto dello stato di diritto sia consentito il riferimento a: A. Meniconi, Sanzioni agli Stati che violano la rule of law: la proposta della Commissione europea, gennaio 2020, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/sanzioni-agli-stati-che-violano-la-rule-of-law-la-proposta-della-commissione-europea-25112 e A. Meniconi, Sanzioni agli stati che violano la rule of law (parte II): le altre istituzioni UE sulla proposta della Commissione, febbraio 2020, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/sanzioni-agli-stati-che-violano-la-rule-of-law-parte-ii-le-altre-istituzioni-ue-sulla-proposta-della-commissione-25582.

[6] La nota stampa ufficiale del Parlamento europeo, recante tutti i dettagli del negoziato con il Consiglio dell’UE, è disponibile qui: https://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20201104IPR90813/rule-of-law-conditionality-meps-strike-a-deal-with-council

[7] Il Comitato dei Rappresentanti Permanenti (o COREPER) è un organo del Consiglio dell’Unione europea composto dai capi (o vice-capi) delegazione degli Stati membri UE. In altre parole, potrebbe essere definito il consesso degli ambasciatori degli Stati presso l’Unione.  Sebbene non sia molto evidenziato anche nella cronaca, il ruolo del COREPER è tutt’altro che secondario: quest’ultimo è “responsabile della preparazione dei lavori del Consiglio e dell’esecuzione dei compiti che quest’ultimo gli
assegna” (art. 240, par. 1 TFUE).

[8] https://quifinanza.it/soldi/recovery-fund-nuova-tegola-veto-di-polonia-e-ungheria-a-bilancio-ue/433669/

[9] G. Gaja, A. Adinolfi, Introduzione al diritto dell’Unione europea, Laterza, 2014, p. 28. Il COREPER (Comitato dei Rappresentanti Permanenti), infatti, si occupa della preparazione dei dossier da sottoporre al Consiglio, ma la sua composizione è in un certo senso “prestigiosa” in quanto vi partecipano i rappresentanti permanenti di ciascuno Stato membro i quali hanno il compito di trovare per primi un accordo per agevolare le deliberazioni del Consiglio.

[10] L’intervista dalla quale è tratta la citazione è disponibile qui: https://www.eunews.it/2020/09/28/michel-difende-requisito-dellunanimita-consiglio-rafforza-lunita-gli-stati-membri/135214

[11] Per un caso pratico di stallo in seno al Consiglio dell’Unione europea su una questione di primaria rilevanza si veda:

 

Fonte immagine: www.agi.it

Alberto Meniconi

Alberto Meniconi, nato il 24 Agosto 1995 a Prato. Mi sono laureato con lode in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Firenze, discutendo una tesi in Diritto dell'Unione Europea dal titolo "La protezione civile e gli aiuti umanitari nel diritto dell'Unione Europea. Caso di studio: la risposta europea alla pandemia di Covid-19" (relatrice Prof.ssa Chiara Favilli). Attualmente sono un tirocinante ex art. 73 d.l. 69/2013 (conv. con mod. in l. 98/2013) presso la Corte d'Appello di Firenze - Sezione III Penale. Collaboratore dell'area di diritto internazionale e dell'Unione Europea.

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