venerdì, Aprile 19, 2024
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Il virus di Stato: il captatore informatico e l’utilizzabilità all’estero

  1. Premessa.

Da sempre soggette a numerosi interventi e foriere di molteplici questioni interpretative, le intercettazioni di comunicazioni sono, da almeno un decennio, il mezzo di ricerca della prova per eccellenza. Tale attività consiste nell’apprensione occulta e contestuale del contenuto di una conversazione o comunicazione tra soggetti (anche nella forma di flusso comunicativo informatico o telematico) ad opera di terzi estranei. Dal punto di vista pratico le operazioni si esplicano mediante intromissioni clandestine nella sfera privata degli interlocutori, in deroga alle cautele ordinariamente poste a protezione del carattere riservato del dialogo ex art. 15 Cost. All’interno dell’ordinamento processual-penalistico italiano è possibile effettuare una suddivisione in due tipologie di intercettazioni: le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche, informatiche o telematiche ex artt. 266, c.1, e 266­-bis c.p.p. e le c.d. intercettazioni ambientali di cui all’art. 266, c. 2, c.p.p.. Le prime prevedono la possibilità di captare le comunicazioni e le conversazioni che avvengono mediante l’uso telefono, fisso o mobile, i flussi di comunicazioni e di dati prodotti per via telematica e informatica. Per quanto attiene alle seconde, il legislatore distingue quelle inerenti alle comunicazioni fra presenti da quelle aventi ad oggetto conversazioni fra presenti che si svolgono nei luoghi di privata dimora di cui all’art. 614 c.p.[1]. In quest’ultimo caso, oltre alla garanzia della riserva di legge e di giurisdizione, l’esistenza dei gravi indizi di reato e dell’assoluta indispensabilità alla prosecuzione delle indagini, sussiste un limite ulteriore e più delimitante. La c.d. captazione domiciliare è  difatti consentita solo se sussista il fondato motivo di ritenere che nel luogo di privata dimora  si stia svolgendo l’attività criminosa.

  1. Il captatore informatico tra pronunce di legittimità e modifiche normative.

Effettuata questa doverosa e sintetica, per ovvie ragioni, premessa circa la disciplina delle intercettazioni è ora opportuno focalizzarsi su uno strumento in particolare: il captatore informatico. L’evoluzione degli strumenti informatici e digitali ha interessato anche la fase delle indagini preliminari e i mezzi di ricerca della prova. Il c.d. captatore informatico è un virus che viene inoculato in maniera occulta nel sistema operativo di apparati informatici e che, mediante comandi a distanza, acquisisce una molteplicità di dati archiviandoli nel server a cui è collegato[2]. A differenza di altri strumenti intrusivi, il captatore permette una gamma molto ampia di operazioni quali: l’accesso e la copia dei dati memorizzati nel dispositivo, la registrazione del traffico dati in arrivo o in partenza, la registrazione delle telefonate e delle videochiamate e l’attivazione delle funzioni microfono e/o telecamera indipendentemente dalla volontà̀ dell’utente. Il dispositivo diviene quindi uno strumento per registrare tutto ciò che avviene entro il proprio raggio di azione, sfruttando l’abitudine, ormai comune, di portare sempre con sé certi tipi di apparecchi digitali[3]. Si evince quindi che tale strumento consente l’acquisizione di una quantità eterogenea di dati personali di cui solo una parte, per quanto significativa, sarà utile per lo svolgimento delle indagini e della successiva fase dibattimentale. Proprio per la complessità degli interessi in gioco, da un lato il diritto alla riservatezza e alla segretezza delle comunicazioni e dall’altra delle esigenze d’indagine a fronte di fenomeni criminosa di particolare gravità, la Corte di Cassazione[4], nella sua massima composizione, si è espressa sull’utilizzabilità del captatore evidenziandone i limiti e presupposti. In particolare i giudici di legittimità hanno affermato che tale strumento debba essere utilizzato limitatamente ai procedimenti di criminalità organizzata, mentre hanno ritenuto di non consentirne l’uso nei procedimenti ordinari, in cui l’intercettazione domiciliare richieda come presupposto necessario che nel luogo si svolga l’attività criminosa. La Corte chiarisce poi come il termine “intercettazione ambientale” non trovi fondamento in alcun contesto normativo (art. 266 c. 2 c.p.p.), dove si parla invece di intercettazione di “comunicazioni fra presenti”. Il solo riferimento è contenuto unicamente nella seconda parte dell’art. 266 c. 2 c.p.p., che tuttavia concerne i luoghi indicati dall’art. 614 c.p.. La necessità di individuare con precisione, a pena di inutilizzabilità, i luoghi nei quali le intercettazioni tra presenti devono essere effettuate non trova riscontro nemmeno nella giurisprudenza di legittimità che non aveva mai richiesto tale elemento. Inoltre, qualora si proceda per i delitti di cui all’art. 13 D.L. 13 maggio 1991, n. 152, tale presupposto non è mai necessario. L’uso di captatori informatici per i quali sia tecnicamente impossibile predeterminare gli ambienti dove le registrazioni avranno luogo deve quindi ritenersi legittimo, sulla base della normativa vigente, per le sole fattispecie a cui si applica la citata legge speciale[5]. È appena il caso di accennare che, in tale pronuncia, la Corte non ha tuttavia trattato la questione inerente alle ulteriori attività svolte dal virus, cioè l’uso della videocamera, l’analisi dell’hard disk e il key-logger. Attività che è idonea ad incidere in maniera consistente sul diritto alla riservatezza sia del soggetto indagato, sia di colui che, magari del tutto estraneo ai fatti d’indagine, utilizza lo strumento informatico per meri fini personali. A seguito della conversione del D.L. 30 aprile 2020, n. 28 ad opera della L. 25 giugno 2020, n. 70 sussiste una distinzione temporale (prima fissata al 30 aprile 2020 poi differita al 1 settembre 2020) a seconda del momento in cui il Pubblico Ministero provvede all’iscrizione del procedimento nel registro delle notizie di reato. In tal senso, per i procedimenti iscritti prima del primo settembre il captatore potrà essere utilizzato per le intercettazioni inerenti i procedimenti di criminalità organizzata. Mentre per i procedimenti iscritti successivamente a tale data è possibile effettuare una suddivisione in tre fasce: i reati previsti dall’art. 51, cc. 3-bis e 3-quater, c.p.p., i reati con pena massima non inferiore a cinque anni contro la pubblica amministrazione commessi da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio e i reati comuni. Per quanto concerne i reati di mafia, nessun limite particolare è previsto per questa categoria di reati dall’art. 266, c. 2-bis, c.p.p. I nuovi strumenti potranno difatti essere utilizzati anche qualora il dispositivo mobile capti conversazioni in luoghi di cui all’art. 614 c.p.. In questi casi troverà applicazione la disciplina di cui all’art. 13 del D.L. 151/91 che permette l’acquisizione di conversazioni che si svolgano anche nei luoghi di privata dimora senza che sia necessario che in essi vengano poste in essere attività criminose oggetto d’indagine. In tal senso l’autorizzazione all’utilizzo del captatore informatico potrà essere concessa ancorché non sia possibile prevedere i luoghi nei quali il dispositivo elettronico potrebbe essere introdotto. Rappresenta una consistente novità la possibilità di eseguire le intercettazioni di comunicazione tra presenti mediante captatore informatico anche  nei  luoghi  indicati dall’art. 614 c.p., qualora si proceda per uno dei  delitti  dei  pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la  pubblica amministrazione, per i quali è prevista la pena della reclusione  non inferiore  nel  massimo  a   cinque   anni. Infine, per tutti i reati comuni il captatore informatico potrà essere utilizzato sempre a condizione che le conversazioni non avvengano nella dimora di cui all’art. 614 c.p., essendo altrimenti consentita solo se vi sia fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa. Il virus inoculato deve poi poter essere disattivato, in modo da disabilitare la capacità ricetrasmittente qualora il dispositivo infettato si trovi in un luogo di privata dimora[6]. Per quanto attiene all’utilizzabilità, i risultati delle intercettazioni potranno essere idonei anche per la prova di reati diversi per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, purché rientrino nell’elenco di cui all’art. 266, c. 2-bis, c.p.p.. Infine la nuova disciplina ha previsto una maggiore tutela della riservatezza dei soggetti indagati, anche alla luce della prassi, da parte degli organi di stampa, di pubblicare le risultanze delle intercettazioni. Sul punto l’art. 329 c.p.p. prevede che tutta la documentazione contenuta nell’archivio delle intercettazioni sia coperta dal segreto, mentre non risultano coperti da segreto i verbali e le registrazioni delle comunicazioni e conversazioni acquisite al fascicolo di cui all’art. 373, c. 5, c.p.p. o comunque utilizzati nel corso delle indagini preliminari, solo con il completamento della fase di acquisizione delle conversazioni rilevanti, secondo uno dei tre diversi modelli, oltre che nel caso di conversazioni utilizzate per richiedere una misura cautelare o per motivare un provvedimento di perquisizione, ispezione o sequestro. Tutto il materiale conservato nell’archivio digitale, invece, resta coperto da segreto e qualunque violazione, dolosa o colposa, potrà essere sanzionata ai sensi dell’art. 326 c.p.. Se da un lato quindi il legislatore si è preoccupato di tutelare i dati sensibili, nonché la privacy dei soggetti intercettati, ponendo al riparo da inopportune pubblicazioni i testi delle intercettazioni dall’altra attraverso il captatore informatico ha di fatto autorizzato la c.d. pesca a strascico. Nel caso in cui venga consentito che le intercettazioni possano essere utilizzate anche per diversi reati, anche se ricompresi nell’elenco di cui all’art. 266, c. 2-bis, c.p.p., viene meno quel diritto alla riservatezza garantito dalla Costituzione e tale nuovo metodo di ricerca della prova viene in definitiva sottratto alle naturali garanzie della riserva di legge e di giurisdizione.

  1. Intercettazioni e transnazionalità: la captazione all’estero.

Come in precedenza specificato, l’evoluzione dei mezzi tecnologici ha permesso una maggiore versatilità nell’ambito della ricerca della prova mediante il captatore informatico, specialmente se inoculato in dispositivi mobili che vengono ormai costantemente utilizzati (tablet e smartphone). Proprio per tali caratteristiche, i dispositivi seguono costantemente i proprietari in qualsiasi luogo in cui questi si trovino, sia nel territorio nazionale che all’estero. Proprio in tale ottica si è quindi posta la problematica circa la legittima utilizzabilità delle intercettazioni qualora il soggetto (e conseguentemente il dispositivo in cui è stato inoculato il virus) si trovi fuori dal territorio nazionale. Principalmente la questione verte, in prima analisi, sulla necessità di dover utilizzare lo strumento della rogatoria internazionale che rappresenta uno degli elementi in cui si esplica il principio di cooperazione internazionale in tema di prevenzione e repressione dei reati. Come noto, il rapporto tra intercettazione di comunicazioni e rogatoria internazionale è necessario solo per la captazione di conversazioni intercorrenti estero su estero, ovvero non transitanti attraverso nodi telefonici italiani. Al contrario, invece, l’intercettazione di comunicazioni che – pur avendo ad oggetto un’utenza straniera o pur essendo compiute all’estero – sia svolta mediante la tecnica del c.d. istradamento, non rende necessario il ricorso alla rogatoria poiché l’attività di captazione e registrazione si svolge interamente sul territorio nazionale. Al fine di comprendere appieno la tematica in esame, non si può prescindere da una breve digressione tecnica. L’istradamento prevede la destinazione ad uno specifico nodo telefonico delle telefonate estere provenienti da un determinato Stato, senza che venga promossa un’apposita rogatoria internazionale; in tal caso infatti l’intera attività di indagine si svolge nel territorio italiano ed quindi assoggettata alle disposizioni vigenti. In definitiva quindi, il traffico telefonico, pur avendo ad oggetto un’utenza straniera o pur essendo compiute dall’estero tramite utenze mobili nazionali, vengono inviate sul territorio italiano e convogliate nelle stazioni ivi presenti. Da questo quindi si può ritenere che l’attività captativa, pur riguardando chiamate provenienti dall’estero, viene compiuta completamente sul territorio italiano[7]. Ed in effetti questo concetto è stato più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità che da ultimo si è espressa con una recente sentenza[8] proprio in tema di utilizzabilità del captatore informatico qualora il dispositivo si trovi all’estero. Il ricorso traeva origine dalla pronuncia del Tribunale del Riesame di Reggio Calabria il quale aveva confermato l’ordinanza del Gip che aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere agli indagati. Nel ricorso la difesa evidenziava come sussistesse la violazione degli artt. 606 c. 1 lett. B), C) ed E) c.p.p.. in relazione agli artt. 178,179, 266, 267, 268, 271, 727 c.p.p., in relazione agli artt. 15 e 24 Cost., nonché in relazione art. 8 CEDU in ipotesi di mancata autorizzazione per il tramite di rogatoria internazionale. Veniva contestata l’ illegittima acquisizione ed utilizzazione delle conversazioni ambientali captate su suolo del Canada, in quanto acquisite in violazione degli obblighi di assistenza giudiziaria internazionale che andava realizzata con lo strumento della rogatoria internazionale trattandosi di dati registrati, immagazzinati, custoditi ed archiviati in territorio canadese a mezzo degli impianti di gestori canadesi con ausilio di ponti telefonici di quella nazione. Le siffatte intercettazioni avevano origine sul suolo internazionale anche con cittadini canadesi ed erano state – una volta registrate dal trojan pacificamente scaricate ed archiviate sul server per la memorizzazione tramite una rete wi-fi che si trovava su territorio internazionale quindi per il tramite di ponte wi-fi situato su territorio straniero. Le captazioni ambientali, registrate in territorio canadese, il cui flusso comunicativo era transitato per il territorio italiano in modo direzionale solo dopo la captazione e registrazione, sicché, in ossequio all’art. 727 c.p.p., l’autorità giudiziaria italiana procedente avrebbe dovuto fare ricorso alla rogatoria internazionale, con la conseguenza che le richiamate intercettazioni ambientali non erano utilizzabili poiché l’archiviazione del flusso dati proveniente dal dispositivo in cui era attivo il captatore informatico era giunto alla destinazione per il tramite della rete internet su linea fissa esistente su suolo canadese, quindi di proprietà straniera.

La Corte di Cassazione ha ritenuto tuttavia di non aderire a tale prospettazione difensiva.

I giudici hanno ritenuto infatti che la registrazione dei dati all’estero rappresenti solamente un segmento di una più imponente attività di investigazione che, di fatto, si svolge interamente nel territorio italiano. Difatti, ed è qui il punto centrale, l’attività di ascolto – che è il momento primo in cui si comprende se effettivamente le intercettazioni hanno svolto il loro scopo – viene effettuata in Italia presso gli uffici della Procura della Repubblica. Conseguentemente, poiché l’attività si svolge interamente nel nostro Stato, non è necessario attivare la procedura prevista e disciplinata dall’art. 727 ss c.p.p. in quanto, qualora l’installazione del captatore avvenga in Italia e l’attività di indagine si svolga mediante le centrali di ricezione presso gli uffici inquirenti, non sussiste alcun esercizio della sovranità dello Stato estero anche quando una parte delle conversazioni sia avvenuta nel territorio di questo Stato. Ed infatti, ad una attenta analisi, non può non considerarsi che lo strumento dell’intercettazione ambientale mediante captatore informatico è per sua stessa natura itinerante, in quanto l’attività di captazione segue tutti gli spostamenti dell’indagato. In un contesto dove sussiste una  illimitata possibilità di spostamento all’estero sussisterebbe, di fatto, una impossibilità tecnica di procedere alle intercettazioni, ben potendo gli inquirenti ignorare il luogo dove si trova il soggetto titolare dell’ utenza su cui è stato inoculato il captatore ed essere, quindi, impossibilitati a chiedere la rogatoria, neppure con l’urgenza e con i modi previsti dall’art. 727, c.5, c.p.p. Si evince quindi che la giurisprudenza di legittimità ha di fatto avvallato i risultati probatori acquisti mediante il captatore informatico indipendentemente dal luogo in cui si trovi il soggetto, in ragione del fatto che l’installazione del software e l’ascolto avvengono nel territorio italiano. La lettura data dalla Corte di Cassazione e la modifica legislativa in tema di intercettazioni (con particolare riferimento all’utilizzabilità per reati diversi da quelli per i quali sono state disposte) di fatto estendo in maniera orwelliana l’utilizzo degli strumenti di captazione, consentendo un controllo globale delle comunicazioni dell’indagato comprimendo in maniera non così velata le guarentigie costituzionali poste.

 

 

[1] G. Longo, Legittime le intercettazioni con microspia posta sull’auto anche se il veicolo si sposta all’estero, in Cammino Diritto, 08.05.20, p. 2, link

[2] P. Tonini, Diritto processuale penale, Milano, 2020, p. 276.

[3] G. Lasagni, L’uso di captatori informatici (trojans) nelle intercettazioni “fra presenti”, in DPC, 07.10.16, p. 2, link.

[4] Cass.pen, SS.UU, 28.04.16, n. 26889 disponibile al seguente link.

[5] G. Lasagni, Op. cit., p. 8-9.

[6] A. Didi, Le novità in materia di intercettazioni telefoniche, in Penale diritto e procedura, 31.08.20, link.

[7] G. Longo, Op. cit., p. 4.

[8] Cass. Pen., Sez. II, 22.07.20, n. 29362, link.

Francesco Martin

Dopo il diploma presso il liceo classico Cavanis di Venezia ha conseguito la laurea in Giurisprudenza (Laurea Magistrale a Ciclo Unico), presso l’Università degli Studi di Verona nell’anno accademico 2016-2017, con una tesi dal titolo “Profili attuali del contrasto al fenomeno della corruzione e responsabilità degli enti” (Relatore Chia.mo Prof. Avv. Lorenzo Picotti), riguardante la tematica della corruzione e il caso del Mose di Venezia. Durante l’ultimo anno universitario ha effettuato uno stage di 180 ore presso l’Ufficio Antimafia della Prefettura UTG di Venezia (Dirigente affidatario Dott. N. Manno), partecipando altresì a svariate conferenze, seminari e incontri di studi in materia giuridica. Dal 30 ottobre 2017 ha svolto la pratica forense presso lo Studio dell’Avv. Antonio Franchini, del Foro di Venezia. Da gennaio a luglio 2020 ha ricoperto il ruolo di assistente volontario presso il Tribunale di Sorveglianza di Venezia (coordinatore Dott. F. Fiorentin) dove approfondisce le tematiche legate all'esecuzione della pena e alla vita dei detenuti e internati all'interno degli istituti penitenziari. Nella sessione 2019-2020 ha conseguito l’abilitazione alla professione forense presso la Corte d’Appello di Venezia e dal 9 novembre 2020 è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Venezia. Da gennaio a settembre 2021 ha svolto la professione di avvocato presso lo Studio BM&A - sede di Treviso e da settembre 2021 è associate dell'area penale presso MDA Studio Legale e Tributario - sede di Venezia. Da gennaio 2022 è Cultore di materia di diritto penale 1 e 2 presso l'Università degli Studi di Udine (Prof. Avv. Enrico Amati). Nel luglio 2022 è risultato vincitore della borsa di ricerca senior (IUS/16 Diritto processuale penale), presso l'Università degli Studi di Udine, nell'ambito del progetto UNI4JUSTICE. Nel dicembre 2023 ha frequentato il corso "Sostenibilità e modelli 231. Il ruolo dell'organismo di vigilanza" - SDA Bocconi. È socio della Camera Penale Veneziana “Antonio Pognici”, e socio A.I.G.A. - sede di Venezia.

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