mercoledì, Aprile 17, 2024
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Incedibilità del credito verso lo Stato e gli altri enti pubblici

L’art. 1260 del codice civile stabilisce il “principio di libera cedibilità del credito”. A tal proposito, dottrina autorevole 1, richiamando una nota sentenza della Corte di Cassazione 2, ha messo ordine, affermando infatti che “Nei limiti in cui la legge prevede ipotesi legali o convenzionali di non alienabilità del diritto di credito, nell’ordinamento vige il principio di libera cedibilità, il quale trova applicazione anche nel caso di responsabilità aquiliana da sinistro stradale. A tal fine è sufficiente il consenso manifestato fra cedente e cessionario in quanto l’accettazione del terzo ceduto spiega efficacia ricognitiva”.

Tra i “limiti” riconosciuti, sia dal legislatore che dalla giurisprudenza, vi è quello relativo alla cedibilità del credito verso lo Stato e gli altri enti pubblici. Più precisamente si può parlare proprio di “divieto legale”: espressamente previsto per i crediti derivanti da pubblici appalti, di cui all’art. 9, all. “E” della Legge 20 marzo 1865, n. 2248 3. Ciò, non solo da un lato mostra che si tratta di un divieto particolarmente risalente che però ancora mantiene la sua vigenza e ancora funge da esempio, dall’altro consente di affermare che se il soggetto ceduto è una Pubblica Amministrazione, il principio generale di libera cedibilità del credito non troverà applicazione, con la conseguenza che sarà necessario il consenso del soggetto ceduto. La peculiarità di tale ipotesi è data dal fatto che essa concreta una c.d. “incedibilità relativa”, e non assoluta, per cui essa può essere rimossa con il consenso del debitore ceduto. Tale disciplina deve essere necessariamente coordinata con quella dettata dagli artt. 69 4 e 70 5 del Regio Decreto 18 novembre 1923, n. 2440: il primo non postula la necessità che l’amministrazione aderisca alla cessione, ma afferma che è sufficiente che le sia data la notizia della cessione stessa; L’altro richiede l’adesione dell’amministrazione debitrice al contratto di cessione del credito. In sostanza, tale disposizione non fa altro che richiamare la Legge sul contenzioso amministrativo.

Sul punto sono intervenute due successive sentenze della Corte di Cassazione, le quali distinguono a seconda che il contratto sia ancora in corso, o abbia esaurito i suoi effetti. La prima 6 delle due afferma che per i crediti dello Stato e degli Enti pubblici territoriali , il principio della generale cedibilità anche senza il consenso del creditore,, sancito dall’art. 1260 c.c., è derogato dall’art. 9 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E, che in tali casi richiede la previa adesione dell’amministrazione interessata; tale deroga, tuttavia, essendo intesa ad evitare che, durante l’esecuzione del contratto, possano venire a mancare i mezzi finanziari al soggetto obbligato alla prestazione in favore della P.A., opera solo fino a quando il contratto è “in corso” e cessa alla conclusione del rapporto contrattuale, conclusione che, in tema di appalto di opere pubbliche, può ritenersi realizzata soltanto a seguito dell’espletamento e dell’approvazione del collaudo da parte della P.A. (ripetendo, in buona sostanza, quanto affermato più di cento anni prima). L’altra 7, in linea con quanto detto finora, richiama la disciplina derogatoria del codice civile, applicando, appunto la Legge del 1865.

Ricapitolando:
a) La necessità dell’adesione dell’amministrazione interessata sussiste esclusivamente sino a quando il contratto è “in corso” in aderenza alla finalità della norma rivolta alla conservazione del credito nel patrimonio del soggetto che ha un contratto in corso con l’amministrazione, al fine di garantirne la regolare esecuzione e di evitare che durante il suo svolgimento possano venirgli meno i mezzi finanziari, compromettendo la regolare prosecuzione del rapporto;

b) quando questo presupposto viene meno, ossia con la conclusione del rapporto contrattuale, non è più invocabile la disciplina speciale posta dal combinato disposto degli artt. 70 del R.D. n. 2440 del 1923 e 9 della Legge n. 2248 del 1865, e torna ad applicarsi quello generale dell’art. 69 dello stesso R.D. E 1264 del cod. civ., che per l’efficacia della cessione nei confronti del debitore ceduto postulano esclusivamente la notificazione a quest’ultimo, senza più necessità della sua adesione o del suo consenso.

Occorre notare come, nonostante si tratti di norme particolarmente risalenti, ancora siano vigenti e influenzino un principio cardine dei rapporti obbligatori, derogandolo. Si noti, inoltre, come la P.A., sia in quanto Stato, sia nella veste enti pubblici, continui a godere di una “disciplina speciale”.

Cfr. BIANCA C.M., L’obbligazione, p. 571.

Cfr. Sent. Cass. Civ. Sez. III, 10 gennaio 2012, n. 51.

Legge sul contenzioso amministrativo; articolo 9: “Sul prezzo dei contratti in corso non potrà avere effetto alcun sequestro, né conveirsi cessione, se non vi aderisca l’amministrazione interessata

Art. 69 R.D. n. 2440 del 1923: “le cessioni delle somme dovute dallo Stato debbono essere notificate all’amministrazione centrale ovvero all’ente, ufficio o funzionario cui spetta ordinare il pagamento”.

Art. 70 R.D. n. 2440 del 1923, terzo comma: “per le somme dovute dallo Stato per somministrazioni … devono essere osservate le disposizioni della L. 20 Marzo 1865, n. 2248, art. 9, all. E”.

Sent. Cass. Civ. Sez. I, 8 maggio 2008, n. 11475.

Sent. Cass. Civ. Sez. I, 24 settembre 2007, n. 19571.

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