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Inefficacia dell’appello incidentale tardivo in caso di perenzione del principale

La perenzione dell’appello principale determina l’inefficacia dell’appello incidentale tardivo ex art. 334, comma , c.p.c. ed art. 96, comma 4, c.p.a.

La perenzione è un istituto del processo amministrativo relativo all’estinzione del processo volto a sanzionare l’inattività delle parti[1] tramite il riconoscimento della presunta mancanza d’interesse alla trattazione della causa.

La disciplina è contenuta negli artt. 81 ed 82 del Codice del Processo Amministrativo (D.lgs. n. 104/2010):

  • l’art. 81 riguarda la c.d. perenzione ordinaria[2] destinata ad operare per i ricorsi proposti dopo l’entrata in vigore del Codice. In questo caso il ricorso si considererà perento allorquando non si via stato il deposito dell’istanza di fissazione di udienza ex 71 c.p.a entro un anno dalla data di deposito del ricorso. Pertanto questa tipologia di perenzione è automatica ovvero destinata a verificarsi con il semplice decorso del tempo;
  • l’art. 82 riguarda la c.d. perenzione a regime[3] ed è diretto ai ricorsi presentati dopo l’entrata in vigore del Codice che non siano mai stati fissati per la discussione e che abbiano raggiunto “un’anzianità” ultraquinquennale. In questo caso la perenzione sarà pronunciata se, nei 180 giorni successivi all’avviso della segreteria del T.A.R. o del Consiglio di Stao, il ricorrente non abbia presentato una nuova istanza di fissazione dell’udienza, sottoscritta dalla parte e dal difensore. Inoltre, qualora non vi sia il suddetto avviso ma alle parti venga comunicato l’avviso di fissazione dell’udienza di discussione nel merito, il ricorso sarà deciso se il ricorrente dichiarerà di avere interesse alla decisione, altrimenti il Presidente del collegio lo dichiarerà perento con decreto[4]. Questa seconda tipologia più che imporre la riattivazione del processo al difensore la impone alla segreteria dell’organo giurisdizionale << in quanto non è apparso coerente con il principio del giusto processo che sia decretata la perenzione non per inattività delle parti, ma per il mancato funzionamento del “sistema giustizia” >>[5].

Infine, l’art. 83 c.p.a. prevede che << la perenzione opera di diritto e può essere rilevata anche d’ufficio>>. Orbene dopo questa breve disamina dell’istituto, considerando il rinvio esterno ex art. 39 c.p.a. nonché l’esplicito richiamo all’art. 334 c.p.c. presente nell’art. 96 c.p.a., l’art. 334, comma 2 c.p.c. che prevede la perdita d’efficacia dell’impugnazione incidentale tardiva ove l’impugnazione principale sia dichiarata inammissibile, è applicabile nel processo amministrativo anche nel caso in cui il ricorso principale sia dichiarato perento?

Questa è la fattispecie presentatasi innanzi alla IV Sez. del Consiglio di Stato, risolta con la sentenza n. 6111/2018.

Nel caso di specie l’appellante principale, dopo aver ricevuto l’avviso di perenzione ultraquinquennale da parte della segreteria del Consiglio di Stato, non ha presentato una nuova istanza di fissazione dell’udienza. L’appellante incidentale invece, ricevuta la suddetta comunicazione, ha prontamente presentato tempestiva istanza di fissazione. Inoltre, oltre a non aver adempiuto a quanto disposto dall’art. 82, comma 1, c.p.a., l’appellante principale ha esplicitamente declinato ogni interesse alla decisione dell’appello principale depositando una memoria in prossimità dell’udienza.

La particolarità dell’istituto dell’appello incidentale tardivo risiede nella stretta interdipendenza ravvisabile tra la sorte di quest’ultimo e quella dell’appello principale. Infatti, oltre che nel caso di inammissibilità dell’impugnazione principale, l’impugnazione incidentale tardiva è destinata a venir meno anche allorquando la principale sia improcedibile in quanto, tramite un’ interpretazione logico-sistematica dell’ordinamento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 9741 del 2008 hanno ritenuto << irrazionale che un’impugnazione (tra l’altro anomala) possa trovare tutela in caso di sopravvenuta mancanza del presupposto in funzione del quale è stata riconosciuta la sua proponibilità>>.

Questa lettura è derivata direttamente dalla ratio fondante l’impugnazione incidentale tardiva ovvero la rimessione in termini, a seguito dell’impugnazione proposta dalla controparte, della parte che, pur parzialmente soccombente, tuttavia abbia ritenuto soddisfacente l’esito del giudizio, lasciando così decorrere i termini per l’impugnazione. L’istituto tende a riequilibrare la posizione delle parti in quanto, la parte sorpresa da un’impugnazione principale in extremis , ove non vi fosse tale rimedio, si ritroverebbe esposta tanto al rischio del passaggio in giudicato dei capi della sentenza a lei sfavorevoli quanto, contemporaneamente, all’accoglimento dell’ impugnazione dei capi a lei favorevoli.

Pertanto, allorquando il suddetto rischio venga meno, secondo la Cassazione <<l’inefficacia del ricorso incidentale tardivo va intesa come inammissibilità sopravvenuta dello stesso per difetto dell’interesse tutelato dall’ordinamento nel consentirne la proponibilità>>. Sebbene la fattispecie affrontata dalla Suprema Corte riguardasse un ricorso principale improcedibile, le argomentazioni di sistema addotte risultano valide in tutti i casi in cui l’appello principale non può essere esaminato nel merito, <<posto che in tutti questi casi il rischio paventato che avrebbe indotto la parte parzialmente soccombente ad impugnare, non viene ad esistenza>>[6].[7]La giurisprudenza civile dunque ricomprende nella dizione <<inammissibilità>>, ai fini dell’appello incidentale tardivo, l’improponibilità[8] e l’improcedibilità[9].

Orbene, la perenzione in che modo si inserisce nella categoria dell’inammissibilità prevista dall’art. 334, comma 2, c.p.c. nonché richiamata dall’art. 96, comma 4, c.p.a.?

Le categorie processuali in evidenza, per il processo amministrativo ed il processo civile, non sono sovrapponibili. Nel processo civile l’improponibilità dell’impugnazione è dovuta ad un comportamento della parte che precede l’impugnazione[10]; l’inammissibilità riguarda il momento genetico del processo, come carenza o vizio formale del procedimento di impugnazione, ed i casi in cui l’impugnazione non poteva essere – o non è stata – proposta efficacemente[11]; l’improcedibilità è relativa a circostanze imputabili alla parte, verificatesi successivamente alla proposizione dell’impugnazione, che non ne consentono la prosecuzione[12].

Nel processo amministrativo vi è l’irricevibilità quando è accertata la tardività della notificazione o del deposito; l’inammissibilità quando manchi uno dei presupposti processuali quali la giurisdizione, la competenza, la legittimazione ad processum venga violato il contraddittorio ovvero manchi una delle condizioni dell’azione quali la legittimazione ad agire, l’interesse al ricorso, un atto impugnabile ovvero di un comportamento della P.A. censurabile; l’improcedibilità quando sopravvenga la carenza di interesse, la cessazione della materia del contendere, mancata integrazione del contraddittorio in violazione dell’ordine del giudice.

L’improcedibilità e l’inammissibilità, nel processo amministrativo, hanno in comune: << a) il difetto di interesse, originario o sopravvenuto; b) le ragioni ostative alla pronuncia sul merito, che possono essere originarie o sopravvenute. Entrambi i profili sono rilevanti rispetto al legame di dipendenza tra ricorso principale e ricorso incidentale tardivo, ai fini del secondo comma dell’art. 334 c.p.c., posto che si tratta di ipotesi che fanno venir meno il presupposto – costituito dal rischio del passaggio in giudicato dei capi della sentenza sfavorevoli, anche e contemporaneamente, all’accoglimento della impugnazione dei capi favorevoli – in forza del quale la tutela dell’impugnazione tardiva era stata conferita>>[13].

Inoltre, bisogna osservare come il difetto di interesse sia anche a base dell’istituto della perenzione. In questo caso, il codice prevede l’estinzione automatica di diritto per mero decorso del tempo se la parte non rinnova il suo interesse alla decisione con la presentazione di un’istanza di fissazione dell’udienza: il decorso del tempo comporta una presunzione legale del venir meno dell’interesse. Avvenuta l’estinzione in virtù dell’integrazione della fattispecie relativa alla perenzione, ictu oculi viene meno proprio quel presupposto su cui si basa l’interesse che viene tutelato attraverso l’impugnazione incidentale tardiva.

Pertanto, considerando che la giurisprudenza civile limita l’operatività del secondo comma dell’art. 334 c.p.c. alle ipotesi  di inammissibilità, di improponibilità, di improcedibilità del ricorso, nelle quali non si perviene alla decisione sul merito nonché la diversa regolamentazione delle ipotesi in cui nel processo amministrativo l’appello non può essere deciso nel merito ai sensi degli artt. 35 ed 84 c.p.a., l’inefficacia dell’appello incidentale tardivo, ex art. 334, secondo comma c.p.c. e richiamata dall’art. 96, co. 4 c.p.a. <<solo per l’inammissibilità, vale, in ipotesi, per tutti i casi enucleati in cui l’appello principale non può essere deciso nel merito, venendo altrimenti meno il presupposto in presenza del quale è tutelato l’interesse dell’appellante tardivo>>[14]. L’appello principale non può essere deciso sul merito in virtù della presunzione legale relativa al venir meno dell’interesse alla decisione ed in mancanza delle condizioni per il superamento della stessa, anche considerando che inoltre, nella fattispecie l’appellante principale ha esplicitato il proprio difetto di interesse: l’appello incidentale tardivo è inefficace in virtù del venir meno – a causa dell’intervenuta perenzione – del presupposto per il quale l’ ordinamento processuale tutelava dell’impugnazione tardiva.

[1] Inattività diversa da quella riscontrabile nel caso in cui queste non abbiano riassunto o proseguito il processo dopo l’interruzione per morte della parte o del difensore.

[2] <<1. il ricorso si considera perento se nel corso di un anno non sia compiuto alcun atto di procedura. Il termine non decorre dalla presentazione dell’istanza di cui all’articolo 71, comma 1, e finché non si sia provveduto su di essa, salvo quanto previsto dall’articolo 82>>.

[3] <<1. Dopo il decorso di cinque anni dalla data di deposito del ricorso, la segreteria comunica alle parti costituite apposito avviso in virtù del quale è fatto onere al ricorrente di presentare nuova istanza di fissazione di udienza, sottoscritta dalla parte che ha rilasciato la procura di cui all’articolo 24 e dal suo difensore, entro centottanta giorni dalla data di ricezione dell’avviso. In difetto di tale nuova istanza, il ricorso è dichiarato perento.
2. Se, in assenza dell’avviso di cui al comma 1, è comunicato alle parti l’avviso di fissazione dell’udienza di discussione nel merito, il ricorso è deciso qualora il ricorrente dichiari, anche in udienza a mezzo del proprio difensore, di avere interesse alla decisione; altrimenti è dichiarato perento dal presidente del collegio con decreto>>.

[4] A queste due tipologie bisogna aggiungere: la perenzione c.d. straordinaria prevista dall’Allegato 3 delle norme transitorie del Codice all’art. 1. Questa è diretta ad operare rispetto alle vertenze ultraquinquennali pendenti alla data di entrata in vigore del Codice, pronunciata qualora non venga presentata la domanda di fissazione entro 180 giorni dall’entrata in vigore del Codice; la perenzione dovuta al mancato deposito dell’istanza entro 90 giorni dopo la cessazione della causa della sospensione o dell’interruzione del processo ex art. 80 c.p.a.

[5] G.Leone, Elementi di diritto processuale amministrativo, IV Ed.

[6] Consiglio di Stato, IV Sez., sentenza n. 6111/2018.

[7] La valenza generale di questa pronuncia non viene posta in discussione dal successivo intervento delle Sezioni Unite con sentenza n. 8925 del 2011 con cui hanno escluso l’applicazione dell’art. 334, secondo comma c.p.a. nell’ipotesi di rinuncia all’impugnazione principale. Infatti, accomunare l’ipotesi di rinuncia a quella di inammissibilità ed improcedibilità significherebbe rimettere totalmente l’esito dell’impugnazione incidentale tardiva alla volontà dell’impugnante principale.

[8] SS.UU. sentenza n. 4818 del 1986.

[9] SS.UU. sentenza n. 9741 del 2008.

[10] Ad esempio: art. 329, acquiescenza alla sentenza; art. 358, appello già dichiarato inammissibile; art. 387, ricorso per cassazione già dichiarato inammissibile o improcedibile.

[11]Ad esempio:  art. 327, mancato rispetto dei termini; art. 339, inappellabilità della sentenza; art. 340, mancato rispetto delle regole sulla riserva di appello; art. 365, mancanza di procura speciale per il ricorso per cassazione; art.366, mancato rispetto dei requisiti del ricorso; art.398, mancata indicazione dei motivi di revocazione.

[12] Ad esempio: art. 348, mancata costituzione dell’appellante; art.369, mancato deposito del ricorso per cassazione, e degli atti previsti, compresa la sentenza; art.399, mancato rispetto dei termini di deposito del ricorso per revocazione

[13] Consiglio di Stato, IV Sez., sentenza n. 6111/2018.

[14] Consiglio di Stato, IV Sez., sentenza n. 6111/2018.

Federica Gatta

Giovane professionista specializzata in diritto amministrativo formatasi presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Conseguito il titolo di Dottoressa Magistrale in Giurisprudenza a 23 anni il 18/10/2018 con un lavoro di tesi svolto con la guida del Professor Fiorenzo Liguori, sviluppando un elaborato sul Decreto Minniti (D.l. n. 14/2017) intitolato "Il potere di ordinanza delle autorità locali e la sicurezza urbana" , ha iniziato a collaborare con il Dipartimento di Diritto Amministrativo della rivista giuridica “Ius in Itinere” di cui, ad oggi, è anche Vicedirettrice. Dopo una proficua pratica forense presso lo Studio Legale Parisi Specializzato in Diritto Amministrativo e lo Studio Legale Lavorgna affiancata, parallelamente, al tirocinio presso il Consiglio di Stato dapprima presso la Sez. I con il Consigliere Luciana Lamorgese e poi presso la Sez. IV con il Consigliere Silvia Martino, all'età di 26 anni ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense, esercitando poi la professione da appartenente al COA Napoli. Da ultimo ha conseguito il Master Interuniversitario di secondo livello in Diritto Amministrativo – MIDA presso l’Università Luiss Carlo Guidi di Roma, conclusosi a Marzo 2023 con un elaborato intitolato “La revisione dei prezzi nei contratti pubblici: l’oscillazione tra norma imperativa ed istituto discrezionale”. Membro della GFE ha preso parte alla pubblicazione del volume “Europa: che fare? L’Unione Europea tra crisi, populismi e prospettive di rilancio federale”, Guida Editore; inoltre ha altresì collaborato con il Comitato di inchiesta “Le voci di dentro” del Comune di Napoli su Napoli Est. Da ultimo ha coordinato l'agenda della campagna elettorale per le elezioni suppletive al Senato per Napoli di febbraio 2020 con "Napoli con Ruotolo", per il candidato Sandro Ruotolo. federica.gatta@iusinitinere.it - gattafederica@libero.it

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