Influencer e Content Creators: Lavoro occasionale o Attività D’Impresa Commerciale?
A cura di Stefano Seminara
- Il caso.
Nelle prime settimane di marzo 2024 è stata contestato a 5 noti Influencer il corretto pagamento delle imposte per un totale complessivo di circa Euro 11.000.000,00. Con riferimento alla pletora di soggetti coinvolti nell’accertamento avviato dall’Agenzia delle Entrate (AdE), questa risulta omogenea per quanto riguarda la professione svolta, ovvero quella di Influencer, eterogenea invece con riguardo alle specifiche attività d’impresa poste in essere. Quest’ultime, in alcuni casi si identificano nella classica professione di Influencer(nella quale rientrano Gianluca Vacchi, Luis Sal) e le imposte evase sono connesse a proventi ottenuti, ad esempio, per contratti di sponsorizzazione, negli altri casi, invece, l’attività è quella di creazione di contenuti pornografici (quali ad esempio Giulia Ottorini o Eleonora Bertoli) su piattaforme quali ad esempio OnlyFans o Escort Advisor.
- Il rapporto tra followers e reddito prodotto.
Primo elemento di particolare interesse che merita un focus specifico è come tale tipologia di guadagni “sommersi” sia stata intercettata. La Guardia di Finanza, infatti, avrebbe dichiarato come l’indagine sia stata il frutto di un lavoro coordinato con l’AdE e basata su una nuova metodologia di accertamento effettuata tramite software che analizzano il rapporto tra il numero di follower e i ricavi dichiarati annualmente. Ebbene, tale tipologia di verifica, per quanto possa essere funzionale in differenti casistiche, mostra in realtà criticità non indifferenti. È infatti comune prassi nell’ambito dell’Influencer marketing la pratica di acquistare followers, al che risulterebbe decisamente più efficiente l’utilizzo di altre tipologie di software, quali quelli che monitorano le c.d. “interazioni o impressions” dei profili che forniscono una stima realistica del reale numero di follower da un soggetto detenuti. Tale strategia non soltanto fornirebbe risultati più attendibili, ma darebbe risposta anche all’ulteriore problema della molteplicità dei profili social di cui un soggetto potrebbe essere in possesso. Non è infatti atipico, soprattutto con riferimento ai Content Creator attivi nel settore della pornografia, la creazione di diversi profili – volendo fornire un esempio – su Instagram, in cui il principale mira ad attirare la clientela, mentre gli altri, invece, si configurano come i reali centri operativi dove il materiale pornografico viene venduto. Attraverso questo escamotage, di conseguenza, il Creator ha la possibilità di ovviare ad un possibile controllo in quanto il numero di followers effettivamente detenuto su ogni account potrà risultare esiguo e non degno di nota.
- Lavoro occasionale o attività d’impresa commerciale.
Come già anticipato, gli accertamenti effettuati nel caso di specie derivano dalla incompleta o mancata ottemperanza agli obblighi dichiarativi che questi imprenditori sono obbligati a onerare. Le professioni esercitate, infatti, si configurano tutte come attività d’impresa generanti importanti profitti, ma è lecito chiedersi, è quest’ultimo l’unico presupposto sulla base del quale obblighi dichiarativi possono sorgere?
In primis, ai sensi della Direttiva IVA 112/2006/CE, art. 9, comma 1, soggetto passivo IVA è “chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo e dai risultati di detta attività”. Con riferimento a cosa debba intendersi come attività economica interviene in soccorso la legislazione domestica di cui all’art. 55 TUIR che recita come debba essere intesa quale impresa commerciale lo svolgimento “per professione abituale ancorché non esclusiva” delle attività indicate dall’art. 2195 c.c., ancorché non organizzate in forma di impresa, connotate per caratteristiche di stabilità e ripetitività, anche solo tendenziale e prospettica nel tempo, potendo essere svolte pure in modo non esclusivo e, quindi, contemporaneamente ad altre attività, dandosi luogo, in questo caso, a due distinti redditi[1]. É significativo notare che la definizione tributaristica di impresa commerciale tenda ad allargare le maglie di quella civilistica[2], essa infatti prescinderebbe dal requisito dell’organizzazione per poter definire un’attività come tale, guardando agli elementi di professionalità e abitualità sulla base di una valutazione da effettuarsi ex antein connessione ad ulteriori fattori, tra cui la predisposizione dei mezzi per lo svolgimento della stessa sulla base dell’id quod plerumque accidit[3].
Logica conseguenza di quanto appena affermato è che qualora tali elementi non siano presenti, e quindi l’attività debba essere classificata come meramente occasionale, l’imposta sul valore aggiunta non sarà dovuta. Per tale ragione, interrogativo che sorge spontaneamente è quello su quanti atti siano necessari al fine di discriminare tra attività semplicemente occasionale e abituale. Secondo parte della dottrina, attraverso il cambiamento normativo fornito dal D.P.R. 597 del 1973 sarebbe stato riesumato il concetto ottocentesco di atto di commercio, il quale identifica ogni operazione effettuata a titolo oneroso dante vita a un atto giuridico, che, pur configurantesi come singolo, risulterebbe idoneo a generare una ricchezza imponibile. Tuttavia, l’allargamento delle fattispecie generanti reddito tassabile fino a tale punto si configurerebbe contraria al principio incarnato dall’art. 53 della Costituzione, il quale, imponendo l’obbligo di concorrere alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva manifestata, non sarebbe capace di colpire ogni tipologia di atto. L’irrilevanza dell’unico atto di commercio deriverebbe dal fatto che il concetto di riferimento, come già anticipato in precedenza, sarebbe quello di attività, la quale al contrario ben potrà configurarsi anche come unica. Tale principio è stato espresso in più occasioni dalla stessa Corte di Cassazione per cui: “quanto, poi, al fatto che l’esercizio di impresa si sia esaurito in unico affare… anche il compimento di un singolo affare può costituire impresa quando implichi il compimento di una serie coordinata di atti economici, come avviene nel caso di costruzione di edifici da destinare all’abitazione sia pure con un’unica operazione economica, come nella specie”[4]. Come quindi statuito dalla Corte anche un solo affare può rilevare solo qualora sia configurabile come una attività. A risultare decisiva è la presenza di una notevole rilevanza economica e soprattutto di una molteplicità di operazioni necessarie per la sua realizzazione[5]. In proposito, di particolare interesse l’interpello n. 416 del 2023 all’AdE che con riferimento all’attività svolta dai giocatori d’azzardo online ha dichiarato come “il fatto che i giocatori professionisti rendano in modo occasionale delle prestazioni […] non esclude che gli stessi possano agire in qualità di soggetti passivi IVA”[6]. Pertanto, alla luce di quanto appena indicato pare evidente che l’ammontare delle somme guadagnate non sia l’unico elemento che debba essere valutato al fine di comprendere l’assoggettabilità di un determinato reddito all’IVA, ma vi siano ulteriori fattori quali la professionalità – e quindi occasionalità -, nonché l’impiego e la coordinazione di mezzi. In definitiva l’occasionalità – con la conseguente esclusione dell’IVA – si ha quando l’attività è posta in essere in modo accidentale o sporadico e senza che il soggetto abbia predisposto nulla per effettuarla[7].
- Conclusioni.
Calando tali presupposti nell’ambito dell’influencer marketing è probabile come difficilmente i redditi prodotti in questa professione potranno ritenersi derivanti da attività esercitata soltanto occasionalmente. Non dobbiamo dimenticare che il lavoro di Influencer tradizionalmente considerato è di per sé caratterizzata sia dall’utilizzo di mezzi, sia da professionalità e abitualità in quanto per poter raggiungere un numero rilevante di “Impressions”, tale da attirare l’attenzione di brand che mirano a sponsorizzare i propri prodotti tramite i singoli ambassadors, quest’ultimi devono aver svolto – e devono continuare a svolgere – tale professione in maniera continuativa, molto probabilmente per diversi anni. Stessa cosa vale per quanto riguarda i Content Creators che operano sulle già menzionate piattaforme pornografiche. Tale tipologia di attività generante un reddito è svolta con ogni probabilità in modo abituale, e ciò in quanto per generare appeal sul pubblico la condivisione di contenuti deve configurarsi come continua – nella maggioranza dei casi avviene, infatti, quotidianamente -, magari attraverso l’utilizzo contemporaneo di differenti piattaforme.
Atteso quanto sopra, è molto probabile che, al fine di evitare ogni possibile contestazione da parte dell’AdE per redditi non dichiarati, l’Influencer, in ogni sua possibile declinazione, avrà il compito di aprire partita IVA qualora tragga un reddito dalla propria attività, optando così per uno dei possibili regimi (Ordinario, Forfetario, Semplificato) in ragione dell’organizzazione, nonché del volume d’affari da esso generato.
[1] Cassazione civile Sez. Trib., Ordinanza n.15021, 15 luglio 2020; Cassazione civile Sez. Trib., sentenza n. 27211, 20 dicembre 2006; R. Castorina, commento a Ord. n. 15021 del 15 Luglio 2020, Cass. Civ. Sez. 5, in Fisconline.
[2] Sulla non coincidenza tra la definizione civilistica e fiscale del concetto di impresa commerciale si veda Corte di Cassazione, sentenza n. 27605 del 28 settembre 2005; Cass., sentenza n. 20065, 21 giugno 2022.
[3] Corte Cass., Sez. tributaria, sentenza n. 17013, 2 dicembre 2002; Cassazione civile sez. trib., sentenza n. 27211, 20 dicembre 2006; Cassazione civile sez. trib., sentenza n. 9461, 18 aprile 2018.
[4] Cassazione civile sez. V, sentenza n. 1593, 18 giugno 2021.
[5] M. Leo, Le imposte sui redditi nel testo unico, 1990, 1 edizione.
[6] Interpello n. 416/2023, 4 agosto 2023.
[7] R. Portale e A. Portale, IVA – Imposta sul valore aggiunto, edizione 2023.