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Influencer e social network: quando l’uso di un marchio altrui è un atto illecito

Il Tribunale di Genova – Sezione Specializzata in materia di Impresa – con ordinanza del 30 gennaio 2020 pubblicata il 4 febbraio e il Tribunale di Milano – con sentenza pubblicata il 3 giugno 2020 – hanno analizzato la tematica relativa all’utilizzo di marchi altrui da parte degli Influencers, e, precisamente, hanno chiarito quando la condivisione sui Social Media di contenuti raffiguranti segni distintivi altrui può definirsi lecita e quando, invece, sia da considerarsi illecita per violazione dei diritti esclusivi[1] del titolare del marchio.

Nel caso in esame, i soggetti coinvolti sono, da un lato, la nota casa automobilistica Ferrari e, dall’altro, un fashion designer noto nel campo della moda. La pubblicazione da parte di quest’ultimo di immagini e video sul proprio profilo Instagram raffiguranti un’auto Ferrari con il relativo marchio in evidenza – accanto al quale erano state poste delle calzature della propria attività commerciale – è stata considerata illecita dal Tribunale di Genova in quanto avente natura commerciale e pubblicitaria, nonché lesiva dei diritti del titolare e pregiudizievole per la notorietà del marchio Ferrari.

Il procedimento innanzi al Tribunale di Milano, invece, benché relativo agli stessi soggetti, è stato azionato dalla casa automobilistica poiché lo stilista avrebbe associato illegittimamente il proprio logo al marchio notorio Ferrari durante un evento da lui organizzato per sponsorizzare i propri prodotti.

Ebbene, i provvedimenti qui commentati, oltre ad indicare il confine tra uso ed abuso del marchio altrui da parte degli influencers, valorizzano anche la funzione comunicazionale del marchio notorio, intesa come ” l’espressione dei valori trasmessi al pubblico grazie alle scelte imprenditoriali del titolare e – come tale – meritevole di tutela contro qualsiasi utilizzo non autorizzato dallo stesso”.

Appare opportuno premettere che al marchio notorio – noto dunque al pubblico e avente il proprio stato di rinomanza[2] – viene riconosciuta dalla legge una protezione di tipo ultra merceologica[3], ossia un tipo di tutela per cui si impedisce che potenziali terzi traggano un vantaggio economico dalla notorietà altrui, ma non solo: l’utilizzo da parte di terzi di quel marchio anche per prodotti non affini può generare confusione nel consumatore e creare un pregiudizio per il marchio celebre[4]. Da qui l’esigenza di differenziare il concetto di marchio classico dal marchio notorio e il riconoscimento di una tutela idonea a garantire il “valore” acquisito nel tempo dal marchio notorio agli occhi dei consumatori.

In particolare l’art. 20, comma 1, lett.c) del Codice Italiano della Proprietà Industriale dispone che:

Il titolare ha diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell’attività economica un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi”.

Inoltre, il successo commerciale dei marchi notori si basa tanto sulla qualità del prodotto/servizio quanto sulla sua promozione, conferendo al titolare un particolare valore, o valore aggiunto (il c.d. Selling Power[5]). Tale valore aggiunto è tutelato dalla legge e si estende a tutti i casi in cui l’utilizzo del marchio da parte di terzi rischi di produrre effetti pregiudizievoli per il marchio notorio, laddove questo ne sminuisca l’attrattività (pregiudizio al carattere distintivo) o ne svaluti l’immagine acquisita presso il pubblico (pregiudizio alla notorietà), ovvero provochi un’appropriazione indebita del suo potere di attrazione o uno sfruttamento della sua immagine e del suo prestigio (vantaggio indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà).

La vicenda processuale

La controversia innanzi al Tribunale di Genova trae origine dalla pubblicazione da parte dell’influencer sul suo profilo Instagram di immagini raffiguranti delle calzature dallo stesso commercializzate e ritratte sul cofano di un’automobile del marchio Ferrari e accanto al logo dell’auto stessa. Inoltre, i video pubblicati dall’influencer mostravano donne impegnate in un car wash dell’auto e nella didascalia erano presenti dei messaggi promozionali delle calzature prodotte dal designer.

A fronte di ciò, Ferrari ha contestato all’influencer la condotta che si traduceva nell’ “illegittimo utilizzo commerciale del proprio marchio”, e, in aggiunta, ha posto luce sulle “condotte di denigrazione e discredito del marchio, con conseguente danno all’immagine” della casa automobilistica.

Ferrari dunque ha diffidato formalmente l’influencer intimandogli la rimozione dei suddetti contenuti ma, a conseguenza di ciò, il designer respingeva ogni accusa, pubblicando sul proprio profilo Instagram parte della missiva, unitamente ad una didascalia con toni derisori e ad una animata replica alle contestazioni ricevute.

Ferrari ha agito quindi in via cautelare per ottenere la rimozione dei contenuti lesivi e conseguente inibitoria alla ripubblicazione, ma il Tribunale di Genova – in prime cure – rigettava il ricorso per difetto di periculum in mora.

A fronte del reclamo promosso da Ferrari, il Tribunale di Genova, con la suddetta ordinanza, ha invece ritenuto sussistente il pericolo della reiterazione dell’utilizzazione illecita del marchio “Ferrari” ad opera dell’influencer, riformando il provvedimento emesso in prime cure ed accogliendo la domanda cautelare di Ferrari nei confronti del designer titolare del profilo Instagram, inibendo allo stesso l’uso dei marchi Ferrari e/o dei modelli di auto Ferrari per finalità commerciali-promozionali, ordinando la rimozione dei contenuti illeciti da Instagram e disponendo, a carico dell’influencer, una penale per ogni violazione e inadempimento agli ordini di inibitoria e rimozione.

Quanto invece al procedimento azionato innanzi al Tribunale di Milano dalla casa automobilistica – nei confronti dello stesso soggetto – ha avuto come presupposto una diversa motivazione: è stata contestata all’influencer la lesione dei diritti esclusivi sul marchio Ferrari poiché egli aveva utilizzato alcune delle autovetture Ferrari in occasione di una sua sfilata tenutasi nel 2017 a Milano, sulle quali erano però stati posti dei loghi con il proprio nome associati a Ferrari e al logo che notoriamente contraddistingue tale marchio. Ferrari in sostanza ha contestato allo stilista di aver dato da intendere al pubblico l’esistenza di una correlazione tra la propria attività di moda e la casa automobilistica, con conseguente violazione degli artt. 20 CPI e 9 del Regolamento Marchi.

Il confine tra liceità ed illiceità dell’utilizzo di marchi altrui

Nel mondo dell’informazione e dei social gli influencers sono personaggi di tendenza che sfruttano la rete per raggiungere visibilità e popolarità presso il pubblico ed utilizzano i social network non soltanto per condividere momenti della propria vita personale, ma anche per promuovere prodotti/servizi di vario genere sulla base di accordi di sponsorizzazione conclusi con aziende interessate alla pubblicizzazione degli stessi. Le aziende, accordandosi con tali personaggi di tendenza, ottengono la possibilità di una maggiore visibilità del prodotto sponsorizzato, dal momento che i contenuti condivisi dagli influencers sui profili social hanno la capacità di raggiungere in modo veloce un elevatissimo numero di followers – potenziali consumatori – generando in essi un interessamento ad acquistare i prodotti mostrati ed orientandone o consigliando loro le migliori scelte di acquisto.

A tal proposito, l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (“IAP”) ha regolamentato l’Influencer Marketing tramite il Regolamento Digital Chart sulla riconoscibilità della comunicazione commerciale diffusa attraverso internet[6] ed ha indicato i necessari accorgimenti da utilizzare per segnalare correttamente al consumatore il fine promozionale del commento o dell’opinione espressa dall’influencer, in ottemperanza a quanto disposto dell’art. 7 C.A.[7] in tema di riconoscibilità della comunicazione commerciale.

I prodotti sponsorizzati dagli influencers sono di norma inseriti in contesti di normale vita quotidiana, ma se, tuttavia – sancisce il Tribunale – “l’uso di prodotti di terze parti e l’ostentazione dei relativi segni distintivi trascende le finalità meramente descrittive di scene di vita dell’influencer – assumendo un significato pubblicitario – detto uso può interferire con i diritti esclusivi che terzi hanno su quei segni distintivi, ed in particolare, con il diritto del titolare del marchio notorio registrato di vietare a terzi l’uso di un segno identico o simile anche per fini diversi da quello di contraddistinguere prodotti e servizi, quando l’uso del segno, senza giusto motivo, consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio, o reca pregiudizio agli stessi (art. 20, comma 1, lett. c) CPI e art. 9 (2) lett. c) e (3) lett. e) RMUE).

Il marchio “Ferrari”, infatti, non era stato riprodotto dall’influencer semplicemente per contraddistinguere prodotti o servizi comunemente condivisi, ma appariva in evidenza nelle immagini condivise dal designer incorporato nel logo sul cofano della vettura accanto al quale erano state poste le calzature pubblicizzate.

Ciò posto, il Tribunale di Genova, con l’ordinanza qui in commento, ha chiarito che l’uso di marchi altrui da parte dell’influencer nell’esercizio della propria attività possa configurarsi come lecito laddove:

  • sia stato autorizzato dal titolare del segno distintivo;
  • le immagini in cui il marchio appare “possano comunicare al pubblico un significato diverso da quello pubblicitario e commerciale, e cioè siano descrittive di scene di vita dell’influencer o di terze persone”.

Al contrario, quando il pubblico dei social media non può che percepire le immagini condivise dall’influencer come aventi finalità commerciali e pubblicitarie, l’uso del marchio altrui è da intendersi abusivo, e ciò accade in particolare quando:  

  • accanto all’esposizione del marchio sono presenti inserzioni o didascalie espressamente pubblicitarie;
  • l’esposizione del marchio avviene in contesti prevalentemente indirizzati alla comunicazione pubblicitaria, ossia che “contengano primariamente messaggi commerciali” (come ad esempio un sito internet, o un profilo Instagram o di altri social network);
  • il marchio compare in immagini che “di per sé, non possano avere altro significato che l’esposizione di un prodotto a scopi commerciali, e non già scene di vita quotidiana dell’influencer o terzi”.

A tal proposito il Tribunale ha disatteso la difesa dell’influencer il quale aveva dichiarato che le immagini condivise sul proprio profilo Instagram avessero una finalità meramente descrittiva delle proprie personali abitudini di vita e non già una finalità commerciale, evidenziando piuttosto che, in primo luogo, l’esposizione delle calzature sul cofano dell’auto Ferrari non potesse descrivere il momento di vita privata di alcuno, costituendo, tra l’altro, anche una condotta priva di giustificazione pratica; e, in secondo luogo, che il profilo Instagram dell’influencer presentava di suo una prevalente natura e funzione pubblicitaria dei prodotti mostrati. Dunque, l’immagine riproducente le calzature con il marchio dell’influencer poste sul cofano dell’auto in corrispondenza del logo Ferrari ben in vista non poteva che essere percepita con il fine di promuovere la vendita delle calzature in questione mediante l’associazione con la vettura di lusso “Ferrari”.

La stessa finalità, ritiene il Tribunale, è apparsa evidente dai video del car wash accompagnati da didascalie commerciali e idonei perciò a configurare un uso illecito del marchio notorio Ferrari anche sotto l’ulteriore profilo del pregiudizio arrecato alla notorietà del marchio[8], ravvisabile nei casi in cui l’immagine o il prestigio del marchio notorio possono essere svalutati dall’uso del segno distintivo (ad es. laddove esso venga inserito in un contesto incompatibile con una particolare immagine e il marchio possa essere svalutato agli occhi del pubblico che ne ha acquisito una certa considerazione in conseguenza degli sforzi impiegati dal suo titolare per promuoverlo).

Per quanto riguarda ora la controversia innanzi al Tribunale di Milano, i Giudici hanno parimenti rilevato che l’utilizzo dei segni da parte dello stilista del marchio Ferrari per finalità promozionali, pubblicitarie e commerciali determina un concreto rischio di associazione tra le due imprese agli occhi del consumatore. Inoltre, questo uso per fini commerciali anziché per fini di mero godimento, esclude l’esaurimento dei diritti del titolare di cui all’art. 5 CPI[9] invocato dallo stilista. Nel caso di specie i Giudici hanno concluso sussistere la fattispecie di c.d. “parassitismo[10], ovverosia, come descritto in sentenza, “l’utilizzo delle autovetture Ferrari, peraltro decorate con i segni distintivi della convenuta in associazione al marchio della cada automobilistica (…) costituisce illegittimo uso del marchio notorio di proprietà dell’attrice, configurandosi quale illegittimo agganciamento ai tratti distintivi del segno rinomato”.

Difatti, si legge nella pronuncia il principio generale per cui: è noto che, accanto alla funzione distintiva di indicazione di origine imprenditoriale dei prodotti, l’ordinamento tutela oggi anche le ulteriori funzioni del marchio quale strumento di strategia commerciale e pubblicitaria, accordando protezione allo stesso anche contro ogni forma di agganciamento parassitario o condotta atta ad interferire con i valori comunicazionali che esso esprime agli occhi del pubblico”.

Quanto poi al risarcimento dei danni richiesti dalla casa automobilistica, i Giudici hanno riconosciuto a quest’ultima tanto quelli patrimoniali, per la somma complessiva di euro 200.00,00, quanto quelli non patrimoniali, alla luce dello svilimento del marchio stesso, per la somma complessiva di euro 100.000,00. Inoltre i Giudici ha accolto la domanda di inibitoria sull’utilizzo delle immagini e dei video promozionali che sfruttano il marchio Ferrari ordinando la rimozione di tutte le immagini e video che mostrino autovetture a marchio da internet, social media ed altre piattaforme e disposto altresì una penale per ogni violazione o inadempimento e la pubblicazione del dispositivo della sentenza.

A fronte di quanto sopra analizzato, appare chiara la posizione del titolare del marchio meritevole di tutela nel nostro ordinamento e la fattispecie per cui l’utilizzo di un marchio altrui, quando sia non autorizzato dal titolare, sia da un lato lesiva dei diritti esclusivi di cui all’art. 20 CPI e dall’altro potenzialmente lesiva dei valori e dei messaggi trasmessi al pubblico nel tempo dal titolare stesso poichè, laddove inserito in contesti incompatibili con i classici ambienti o condizioni del marchio stesso, si porrebbe in contrasto con il diritto del titolare del marchio al legittimo mantenimento della reputazione fino a quel momento guadagnata.

[1] Il titolare del marchio acquista il diritto esclusivo di fare uso esclusivo del marchio ex art. 20 CPI ed ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell’attività economica: a) un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato; b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni; c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi. Da www.ufficiobrevetti.it

[2] La Corte di Giustizia nella pronuncia C-375/97 ha definito lo stato di rinomanza come “l’attitudine del segno a comunicare un messaggio al quale sia possibile agganciarsi anche in difetto di una confusione sull’origine” sancendo che la tutela possa essere accordata se il marchio è “conosciuto da una parte significativa del pubblico interessato ai prodotti o servizi da esso contraddistinti”. Secondo la Corte, tra i parametri che il giudice nazionale deve tenere in considerazione per determinare il grado di notorietà di un marchio, rientrano la quota di mercato, l’intensità, l’ambito geografico e la durata del suo uso, nonché gli investimenti realizzati dall’impresa per promuoverlo. Inoltre, il pubblico di riferimento “è quello interessato a tale marchio d’impresa, secondo il prodotto o il servizio posto in commercio, il grande pubblico ovvero un pubblico più specializzato, ad esempio un determinato ambiente professionale”.

[3] Direttiva n. 89/104/CEE (D.lgs. n. 408 del 1992)

[4] Riferimento da ufficiomarchibrevetti.it

[5] Sull’evoluzione normativa in ordine al marchio rinomato si rimanda al seguente articolo: https://www.iusinitinere.it/analisi-dellevoluzione-normativa-in-relazione-al-marchio-rinomato-25705

[6] La Digital Chart è un documento che racchiude le linee guida indirizzate e criteri di trasparenza della comunicazione commerciale indirizzati agli operatori commerciali nonché agli utenti del e-commerce al fine di distinguere i contenuti a scopo pubblicitario, primi fra tutti quelli realizzati dai c.d. influencers, da quelli a uso comune. Per la disciplina del Regolamento Digital Chart si rimanda al seguente articolo: https://www.iusinitinere.it/la-digital-chart-una-prima-regolamentazione-dellinfluencer-marketing-27135

[7] Art. 7 – Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale – “Identificazione della comunicazione commerciale. La comunicazione commerciale deve sempre essere riconoscibile come tale. Nei mezzi e nelle forme di comunicazione commerciale in cui vengono diffusi contenuti e informazioni di altro genere, la comunicazione commerciale deve essere nettamente distinta per mezzo di idonei accorgimenti”. https://www.iap.it/wp-content/uploads/2017/03/Codice-63a-edizione-8.3.2017.pdf (63.a edizione in vigore dall’8 marzo 2017).

[8]Corte di Cassazione, Sent. n. 26000/2018.

[9] Art. 5 comma 1 e 2 CPI – “Le facoltà esclusive attribuite dal presente codice al titolare di un diritto di proprietà industriale si esauriscono una volta che i prodotti protetti da un diritto di proprietà industriale siano stati messi in commercio dal titolare o con il suo consenso nel territorio dello Stato o nel territorio di uno Stato membro della Comunità europea o dello Spazio economico europeo. Questa limitazione dei poteri del titolare, tuttavia, non si applica quando sussistano motivi legittimi perché il titolare stesso si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato di questi è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio”.

[10] La Corte di Cassazione ha definito tale termine come “il vantaggio indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio” (Cass. n. 26000/18).

Sofia Giancone

Avvocato e Dottoranda di Ricerca in diritto privato presso l'Università Tor Vergata - Roma Sofia Giancone fa parte di Ius In Itinere da maggio 2020. Ha conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza nel 2019 con Lode presso l'Università di Roma Tor Vergata, discutendo la tesi in Diritto Commerciale dal titolo: "Il software: profili strutturali, tutela giuridica e prospettive". Ha svolto la pratica forense in ambito civile e il tirocinio formativo in magistratura ex art. 73 d.l. 69/2013 presso la Corte d'appello civile di Roma. Successivamente ha approfondito i temi legati all'IP & IT e si è specializzata in Tech Law & Digital Transformation con TopLegal Academy. Si è occupata di consulenza e assistenza legale nell'ambito del Venture Building, innovazione e startup, contrattualistica di impresa. Ad ottobre 2022 ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense e ad oggi esercita la professione di Avvocato. Dal 2022 svolge inoltre il Dottorato di ricerca in diritto privato presso l'Università di Roma Tor Vergata. Profilo LinkedIn: linkedin.com/in/sofia-giancone-38b8b7196

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