martedì, Aprile 16, 2024
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Institutio ex re certa: la volontà istitutiva parziale impedisce l’operatività della vis espansiva

Institutio ex re certa: la volontà istitutiva parziale impedisce l’operatività della vis espansiva

La Cassazione torna ad occuparsi – con la sentenza n. 17868 del 3 luglio 2019 – della sorte dei beni non menzionati in un testamento, ribadendo un principio già enunciato in passato dalla più attenta dottrina[1].

La vicenda aveva ad oggetto l’interpretazione di un testamento olografo (formulato in maniera scarsamente intellegibile) mediante il quale la de cuius istituiva espressamente “eredi” i suoi due nipoti, attribuendo loro congiuntamente il diritto di proprietà sulla metà della propria casa di abitazione e assegnando la residua metà ad un altro non meglio qualificato “altro padrone” (a cui favore veniva costituito un diritto di prelazione all’acquisto, trattandosi di immobile non divisibile)[2]; ella istituiva, altresì, “erede universale” la persona che le avrebbe prestato assistenza e servizi in vita, con specifica attribuzione a quest’ultima dei beni mobili.

Dopo la morte della de cuius e sulla base di quanto indicato nel testamento, la persona che la aveva assistita in vita aveva adito le vie giudiziarie allo scopo di vedersi riconosciuta la qualità di erede, con esito positivo in entrambi i gradi dei giudizi di merito.

I nipoti, successivamente, ricorrendo in Cassazione, avevano denunciato – in particolare – la violazione o falsa applicazione dell’art. 628 c.c. e dell’art. 588 c.c. con riferimento alla disposizione in favore della persona che aveva prestato assistenza alla testatrice.

Si imponeva, quindi, l’esame di due questioni, l’una relativa alla corretta identificazione della beneficiaria del lascito avente a oggetto i beni mobili, l’altra relativa alla natura della disposizione in favore di detta beneficiaria.

Quanto al primo problema, concernente l’inammissibilità di una individuazione ex post di un soggetto beneficiario che non sia indicato nominativamente nello scritto testamentario, chiarisce la Corte che tale fattispecie non viola l’art. 628 c.c. ogni qualvolta detto soggetto sia “immediatamente e individualmente determinabile in base a precise indicazioni fornite dallo stesso testatore” (diversa è invece l’ipotesi di relatio sostanziale in cui si rimetta sic et simpliciter la determinazione dell’erede o legatario alla scelta arbitraria di un terzo, ex art. 631, comma 1 c.c.). La disposizione, cioè, non sarebbe affetta da nullità qualora, dal testamento o da altri elementi (purché aderenti al criterio di scelta indicato dal testatore), sia possibile determinare la persona che egli abbia voluto beneficiare (come nel caso in esame)[3].

Quanto al secondo e più rilevante problema, avente ad oggetto la natura della disposizione in favore della persona – così individuata al momento della apertura della successione – che avesse prestato cura e assistenza alla de cuius, si rileva che esso impone un’attenta indagine interpretativa sulla portata della voluntas testantis. Tale indagine aveva condotto, nei primi due gradi di giudizio, a qualificare la disposizione – in ossequio al tenore letterale dello scritto testamentario – come un’istituzione ereditaria (a fronte del lascito in favore dei nipoti, ritenuto invece dai giudici come un semplice legato).

I ricorrenti, di converso, sostenevano che la persona che aveva prestato assistenza alla testatrice non avrebbe dovuto essere qualificata come erede bensì, tutt’al più, come legataria dei soli beni mobili, essendo la sua designazione connessa e funzionale soltanto all’attribuzione del detto lascito.

I giudici della Suprema Corte, dopo aver sottolineato come non abbia rilievo determinante l’espressione o la denominazione utilizzata dal testatore nel qualificare le disposizioni (v. art. 588, comma 1, c.c.), hanno accolto il motivo di ricorso concernente la violazione o falsa applicazione dell’art. 588 comma 2 c.c., sulla scorta delle seguenti argomentazioni.

Anzitutto, viene premesso che “in base alla regola dettata dall’art. 588 c.c. comma 2, al fine di attribuire al lascito il carattere di disposizione a titolo universale, il fatto che tale qualità sia data espressamente dal testatore nel testamento non è necessario, né sufficiente. Se non risulti che il bene o il complesso di beni sono stati attribuiti come quota del patrimonio, la disposizione, ad onta del nome, non sarebbe a titolo universale, ma particolare”.

Sulla base di ciò, ricostruendo la volontà della testatrice, gli ermellini hanno tuttavia individuato nel lascito dei beni mobili alla persona che avesse prestato assistenza alla testatrice non una disposizione a titolo particolare, bensì una istituzione ex rebus certis ai sensi dell’art. 588, comma 2, c.c., in quanto attributiva di un complesso di beni (rectius tutti i beni mobili) in funzione di quota del patrimonio.

Di qui la necessità di occuparsi della sorte dei beni non contemplati nel testamento (ossia, nel caso di specie, il diritto di proprietà sulla metà dell’appartamento con riferimento al quale la de cuius non aveva specificamente disposto).

Orbene, è pur vero che la tesi preferibile e ormai prevalente in dottrina[4]e in giurisprudenza[5]opina nel senso di attribuire agli istituiti ex art. 588 comma 2 c.c. una vis espansiva volta ad attrarre in capo all’istituito la proprietà dei beni sopravvenuti dopo l’apertura della successione o non contemplati nel testamento, ma è altrettanto vero che ciò è possibile soltanto se e in quanto la volontà istitutiva del testatore sia stata totale (ossia riferita consapevolmente alla totalità del patrimonio), non soltanto parziale[6]. Nel secondo caso, infatti, dovrà concludersi che, con riguardo ai beni non menzionati al momento della testamenti factio, si imponga l’apertura della successione legittima ai sensi dell’art. 457 c.c., non diversamente da quanto accadrebbe se un unico soggetto venisse istituito erede in una quota del patrimonio espressa mediante frazione numerica.

Tuttavia, non può non rilevarsi che la ricostruzione di una siffatta volontà è senza dubbio una quaestio facti, in cui il margine di variabilità interpretativa tanto più si assottiglia quanto più il testatore sia stato redazionalmente chiaro ed inequivoco nella formulazione delle disposizioni.

In adesione a tale orientamento, dunque, la Cassazione ha enunciato i seguenti due principi di diritto:

1. “L’institutio ex re certa, quando non comprende la totalità dei beni,non importa attribuzione anche dei beni che non formarono oggetto di disposizione, i quali si devolvono secondo le norme della successione legittima, destinata ad aprirsi ai sensi dell’art. 457 c.c., comma 2,ogni qual voltale disposizioni a titolo universale, sia ai sensi del comma 1, sia ai sensi del comma 2 dell’art. 588 c.c., non ricostituiscono l’unità. Invero, il principio che la forza espansiva della vocazione a titolo universale opera anche in favore dell’istituito ex re certa, va inteso nel senso che l’acquisto di costui non è limitato in ogni caso alla singola cosa attribuita come quota, ma si estende proporzionalmente ai beni ignorati dal testatore o sopravvenuti”.

2. “La qualifica di erede universale nella scheda testamentaria, associata all’attribuzione di un singolo bene o di un complesso di beni, pur potendo costituire un elemento valutabile di fini dell’indagine diretta ad accertare l’eventuale intenzione del testatore di assegnare quei beni come quota del patrimonio, ai sensi dell’art. 588, comma 2, non giustifica, di per sé, l’attribuzione degli altri beni menzionati nel testamento e non attribuitioccorrendo a tal fine che sia ricavabile dal complessivo contenuto del testamento una disposizione nell’universalità del patrimonio ai sensi dell’art. 588 c.c., comma 1”.

In definitiva, nella sentenza in commento, i giudici della Suprema Corte hanno negato forza espansiva all’institutio ex re certa, atteso che si evinceva come la testatrice avesse chiara in mente la totale consistenza del proprio patrimonio (al punto da menzionare l’altra metà della casa non assegnata né ai nipoti né alla persona che le avesse prestato cure e servizi) e ciononostante avesse volutamente omesso di disporre di parte di esso. In altre parole, pur avendo attribuito solo alcuni dei propri beni, la volontà istitutiva non era riferibile alla totalità di essi. Per conseguenza, sulla residua metà della casa non specificamente assegnata si sarebbe aperta la successione legittima.

[1]Amadio,La divisione del testatore senza predeterminazione di quote Heredis istitutio ex re certa, in Riv. Dir. Civ., 1986, fasc. 3, pt. 1, p. 244-252, di cui infra.

[2]Così riassume il contenuto dello scritto testamentario di cui alla sentenza in commento Pischetola, Successioni, senza disposizioni esplicite c’è solo la legittima, in Quotidiano del Diritto- Il Sole 24 Ore dell’11/07/2019.

[3]In questo senso già Cass. n. 1458/1967; Cass. n.810/1992.

[4]Torrente – Schlesinger, Manuale di diritto privato, 2013, Milano, p. 1262, che estende all’institutio ex re certa la disciplina prevista per gli eredi e in particolare la capacità espansiva del lascito agli elementi patrimoniali non contemplati dal de cuius; Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, 2015, Padova, p. 491, secondo cui nella institutio ex re certa l’espansione a beni non espressamente compresi nell’atto avviene secondo le quote calcolate a posteriori in relazione al valore rispettivo delle singole concrete attribuzioni testamentarie. Si veda sul tema anche Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto, per virtù espansiva, dei beni non contemplati nel testamento, in Fam,. pers. e succ., 2008, p. 532 ss.

[5]Da ultimo, Cass. 12158/2015, Cass. Sez. un. 17122/2018.

[6]In tal senso Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quoteHeredis istitutio ex re certa, in Riv. Dir. Civ., 1986, fasc. 3, pt. 1, p. 244-252, secondo cui “il valore del lascito non potrà essere rapportato ad altro che al valore del patrimonio, così come rappresentatosi dal testatore al momento dell’attribuzione (…) Si pensi, allora, alla disposizione avente ad oggetto beni determinati, attribuiti all’unico chiamato ex testamento, in funzione di quota non esauriente il patrimonio considerato dal testatore, di modo che, per la quota che risulti consapevolmente non disposta, si debba aprire la successione legittima. Una volta accertata l’intenzione del disponente di assegnare le certae res in funzione di (unica) quota ereditaria, nulla osta a configurare, alla luce del principio (ex art. 457, cpv., c.c.) per cui il soggetto pro parte testatus pro parte intestatus decedere potest, l’operare della vocazione legittima in concorso con quella testamentaria ex certis rebus. Sì che, nella quota corrispondente ai beni non specificamente assegnati, sarà chiamato a succedere l’erede ex lege. Sul punto v. anche Barba, Istituzione ex re certa e divisione fatta dal testatore, in Riv. Dir. Civ., 2012, fasc. 1 pt. 2, p. 80, secondo cui “il concorso del successore legittimo con il successore o con i successori ex re certa” non dipende “dall’esistenza di beni residui. Più semplicemente, è legato alla scelta compiuta, consapevolmente o inconsapevolmente, da parte del testatore che non assegni agli eredi, pur frazionandola in quote, l’universalità del proprio patrimonio. Detto con le parole dell’art. 457 c.c., si deve far luogo alla successione legittima soltanto quando manchi in parte la successione testamentaria ma non anche quando essa sia, per così dire, completa”; Barba, la heredis institutio ex certa re, in Bonilini – Barba, Le disposizioni testamentarie, 2012, Torino, p. 31-32.

Andrea Bramante

Notaio in attesa di nomina, collaboratore area diritto civile Contatti: andrea.bramante@iusinitinere.it

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