venerdì, Marzo 29, 2024
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Istruzione: il quadro degli investimenti in Italia

Un Paese che non investe in istruzione è destinato a non avere futuro. Ogni singolo euro mancato sull’istruzione è un gap produttivo che sarà pagato sul medio-lungo periodo. Gli studenti di oggi rappresentano la società di domani, con tutti i cambiamenti, vorticosi, che si osservano. L’Italia ne è un esempio emblematico.

L’analisi qualitativa è supportata da una preoccupante analisi quantitativa. L’Italia investe in istruzione il 3,9% del PIL, contro una media UE del 4,7%. La grande depressione economica di questi anni, ha visto una globale contrazione del dato, eppure l’Italia scivola sempre più in basso in questa classifica. Basti pensare che si spende solo il 7,9% della spesa pubblica in istruzione, a confronto di una media UE del 11,20%[1].

Alla crisi economica, Francia, Regno Unito e Germania hanno risposto con un incremento della spesa pubblica destinato all’istruzione, dalla scuola primaria sino all’università. Mentre, il “Bel Paese” ha acuito gli investimenti della spesa pubblica in sanità e protezione sociale. E se da un lato è tangibile in queste cifre l’invecchiamento della popolazione, dall’altro emerge la poca lungimiranza della classe politica. Si guarda ad un oggi sempre più vicino, tralasciando un futuro che, nell’immediato, non genera voti in cabina elettorale[2].

Questi mancati investimenti determinano strutture scolastiche fatiscenti, prive di piattaforme e materiali in linea con le tecnologie più all’avanguardia. Gli studenti perdono motivazione, mentre i docenti sentono il peso di una responsabilità enorme, privi, però, di un aiuto concreto che consenta di rivalorizzare la loro figura sociale.

I mancati investimenti nell’istruzione si traducono in una perdita di fiducia nell’intera istituzione scolastica. Gli studenti non leggono nella scuola una possibilità di riscatto sociale, di accrescimento personale e di azione volta al miglioramento della società di cui fanno parte. Anzi, per la maggior parte degli studenti della scuola secondaria di secondo grado, la scuola è vista come non-professionalizzante.

Quest’analisi qualitativa traduce un altro drammatico dato: l’alta percentuale d’abbandono nel corso della scuola dell’obbligo. In Italia il tasso d’abbandono degli studi si attesta al 14,5%, rispetto ad un’azione europea che sprona i governi a fermarlo al di sotto del 10%. Chi abbandona rischia, nel migliore dei casi, di accontentarsi di posizioni sociali subalterne, nel peggiore, di accrescere la platea dei “neet”, coloro che né hanno un impiego, né stanno seguendo alcun corso di studi.

Gli investimenti in istruzione dovrebbero, in primo luogo, combattere questo fenomeno, favorendo inclusione sociale e potenziamento della scuola. Potenziamento che si articola in tre punti: strutture, formazione e docenti.

Uno studente che segue le lezioni in aule fatiscenti, ai limiti del decoro, non ha sproni a migliorarsi. Come pensate possa reagire un adolescente che, a casa, ha un pc, una linea internet veloce ed una scrivania in legno, mentre in classe vede crollarsi addosso l’intonaco?

L’idea per cui la scuola sia un’opportunità e non un coercizione non si anniderà, qualunque siano le belle parole spese.

I piani di studio, dalla primaria sino all’università, devono leggere i cambiamenti della società e del mondo del lavoro, evitando di diventare obsoleti. Solo in questo modo, lo studente apprezzerà il valore della cultura e l’importanza dell’investire il proprio tempo tra i libri. Per fare questo, serve un piano unico nazionale che allinei le scuole, le università, decretando obiettivi comuni da raggiungere. Piccoli passi che spronano lo studente ad apprezzare il gusto della cultura, in quanto possa, in apparenza, sembrare inutile. Ma ancora una volta, servono investimenti.

Infine, non per ordine di importanza, i docenti devono essere formati, non solo in vista di un concorso, ma, soprattutto, nel corso del loro lavoro. Il docente che decide di aggiornarsi, seguire corsi, studiare cose nuove, sperimentare nuova didattica va premiato. Va riconosciuto questo suo servizio. Sì, perché è di questo che si parla. Il docente è una figura preminente in una società che voglia un futuro migliore, possibilmente, del suo presente. E come fare ciò senza investimenti?

Senza investimenti, l’unica soluzione è rendere le scuole, e le Università, dei “diplomifici”, una sorta di enti che certificano competenze che gli studenti non hanno.

I dati confermano questa terribile realtà. Il 34% degli studenti italiani non ha competenze sufficienti alla fine della terza media, come attestato dagli Invalsi. Non hanno le competenze per leggere un testo più complesso, con significati impliciti e minimi prerequisiti di base. Le cose non vanno meglio dal punto di vista numerico, anzi peggiorano.

Difatti il 40% degli studenti è completamente carente in matematica, non avendo capacità di approcciare un problema quantitativo che descriva un fenomeno del mondo reale.

Se Atene piange, Sparta non ride. Difatti i dati tendono a peggiorare se si considerano gli studenti del secondo anno della scuola secondaria di secondo grado, anche loro sottoposti alle prove Invalsi.

I dati salgono ad oltre il 50% della platea studentesca, se si considerano le sole scuole del meridione, dove i voti sono mediamente (e stranamente) più alti.

Il PIL va mosso nella direzione della cultura , dell’istruzione e della formazione, se si desidera una società del domani. Investimenti ponderati e studiati garantirebbero un ritorno nel medio-lungo termine. Difatti, si stima che per ogni euro investito in cultura-istruzione vi sia un ritorno di un euro e venti centesimi.

Il consenso elettorale parla alla pancia dell’elettore, perché come diceva Margherita Hack:

“La scarsa considerazione che la nostra classe politica e in particolare quella più recente riserva all’istruzione, all’università e alla ricerca è la conseguenza del basso livello culturale della gran maggioranza degli eletti in parlamento’’[3].

 

[1] OECED -iLibrary – Education at Glance

Disponibile qui: https://www.oecd-ilibrary.org/education/education-at-a-glance-2018_eag-2018-en;jsessionid=S6DnhQLROBtk1zWVh3-fe2fI.ip-10-240-5-45

[2] ”Istat, ragazzini promossi ma ignoranti. Il 34% alla fine della terza media non ha competenze sufficienti”, 03 maggio 2019 di Salvo Intravaia.

Disponibile qui: https://www.repubblica.it/scuola/2019/05/03/news/istat_-225387947/

[3] M. Hack, Libera Scienza in libero stato, Bur, 2011.

Fonte immagine: https://www.triesteallnews.it/2019/04/20/istruzione-sistema-scolastico-fvg-giunta-regionale-approva-il-piano-per-lo-sviluppo-dellofferta-formativa/

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