venerdì, Marzo 29, 2024
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L’asimmetria informativa nel settore Bancario e Finanziario

L’asimmetria informativa nel settore Bancario e Finanziario: la tutela predisposta per il cliente è davvero sufficiente?

a cura di Gabriele Longo, socio ELSA Siena

Nonostante il Testo Unico Bancario[1] non sia più considerabile alla stregua di una norma recente, continua a restare viva la discussione dottrinale che verte sui molti problemi dell’asimmetria informativa connessa cioè agli obblighi degli intermediari finanziari di informare congruamente la controparte contrattuale.

La finalità delle disposizioni del T.U.B. che si occupano di trasparenza delle operazioni e di informazioni al cliente è quella di integrare la disciplina dei servizi di investimento con concetti di diritto che valorizzino la qualità informativa; l’obiettivo è, in termini che spostano i fili del dibattito sul piano della c.d. missione aziendale, conservare la fiducia del cliente, in quanto ad un aumento del numero di consumatori fiduciosi nell’attività economica svolta dell’ente, consegue necessariamente un aumento del numero di prodotti finanziari piazzati sul mercato, e dunque un aumento del profitto di questo.

Autorevolissima dottrina[2] si è infatti da tempo esposta in tal senso ritenendo che “informare e accortamente consigliare i propri risparmiatori” è il modo adatto per “conservarne la fiducia, componente essenziale del mercato finanziario per lo sviluppo delle imprese”, ad ogni modo ritengo sia opinione largamente condivisa che l’oscurità e l’imprecisione siano anche figlie delle cattive scelte politiche nelle istituzioni comunitarie, lo dimostra il fatto che dottrina particolarmente sensibile sul punto[3] si è espressa ritenendo che è più facile raccogliere consenso intorno alle regole di informazione, in quanto vengono evitate aprioristicamente delle diatribe relative alle diverse soluzioni contenutistiche. Non manca però in dottrina chi critica questa particolare attenzione posta sull’asimmetria informativa, non perché non sia un argomento degno di nota al fine di tutelare la c.d. parte debole del rapporto contrattuale, ma perché, semplicemente, vi sono tra le parti delle ulteriori fonti di diseguaglianza, differenti dall’asimmetria informativa che tendono a non essere prese in considerazione[4].

Trattare un tema così delicato richiede, a mio avviso, un bilanciamento tra l’interesse privato del cliente e l’interesse pubblico all’efficienza del mercato finanziario, ma quando ci si riferisce alla tutela del cliente, bisogna sempre rammentare che stiamo parlando di contratti che hanno ad oggetto prodotti finanziari, dei quali spesso l’alea è parte integrante; ed infatti “deve essere abbandonata ogni eventuale idea di assicurare agli investitori controparti delle banche, una protezione assoluta, che li esoneri sostanzialmente dal rischio dell’investimento, una protezione analoga cioè a quella che il nostro ordinamento tende ad assicurare ad un’altra categoria di controparti delle banche, cioè ai depositanti”[5] in quanto “il rischio spetta, insieme ai benefici, al cliente”[6], per cui è bene specificare che è impensabile un ideale di protezione assoluta in cui la banca ricopra le vesti del mallevadore per le aspettative economiche del cliente.

Ciò non vuole assolutamente essere un modo per legittimare una carenza di tutela, il fatto che il consumatore sia consapevole di poter fare un cattivo affare, non può giustificare l’asimmetria informativa bensì deve spingere gli operatori del diritto a trovare delle soluzioni.

Se chiedessimo a qualsiasi soggetto che si sta per accingere a stipulare con una banca un contratto avente ad oggetto una operazione finanziaria, quale punto abbia più a cuore di conoscere, in molti risponderebbero “il tasso di interesse”, senza tenere in considerazione tutte le altre componenti del costo dell’operazione quali oneri, commissioni, provvigioni, cambio di valuta e via discorrendo; orbene, al fine di una corretta comprensione dei fenomeni economici, ritengo la valutazione storica parte essenziale del ragionamento, ragion per cui bisogna volgere un occhio al passato nei testi di diritto bancario che precedevano l’entrata in vigore del T.U.B.[7], dove già il problema dell’asimmetria informativa era affrontato con particolare attenzione, ed infatti veniva riportato, in ottica comparativa, l’esempio della disciplina dei paesi anglosassoni, sottesa alla quale vi era il concetto  c.d. “truth in leading[8]. Questa espressione letteralmente verrebbe tradotta come “verità nelle concessioni di credito”, ma è più in generale interpretabile alla stregua di una imposizione al finanziatore avente ad oggetto l’obbligo di informare in modo inequivocabilmente chiaro e standardizzato, il debitore sul costo effettivo del danaro e di inserire tali dati nella eventuale pubblicità.

Analizzando con piglio critico la situazione economica odierna ed al di là dei miglioramenti normativi in termini di trasparenza – che certamente contemplano un obbligo informativo che produca una adeguata conoscenza, da parte del consumatore, dei costi e dei rischi dell’operazione finanziaria conclusa – ritengo che vi sia un problema di effettività[9], non si spiega altrimenti l’attenzione che il consumatore pone, ancora oggi, solo sui fenomeni più evidenti (nell’esempio di cui sopra, il tasso di interesse) delle operazioni economico-finanziarie concluse, trascurandone invece molti altri.

Tralasciando per ora le considerazioni sociologiche e passando invece al dato normativo, il T.U.F.[10] all’art.21 co 1 lett.b afferma che la banca deve “acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati”, se dunque questa è la disciplina che possiamo definire primaria, la quale si applica nei rapporti tra banche e clienti non identificabili come operatori qualificati, la disciplina secondaria, che trova applicazione nei medesimi rapporti, è rappresentata dagli artt. 27, 28 e 29 del Regolamento Consob n.11522/1998, i quali si occupano di regolamentare rispettivamente i conflitti di interessi, le informazioni tra gli intermediari e gli investitori e le operazioni non adeguate[11].

Il rispetto di tali prescrizioni è sufficiente a soddisfare le esigenze informative?

Volgere lo sguardo alla giurisprudenza, per verificare cosa accade nella concretezza dei rapporti, è necessario per rispondere a siffatta domanda, è stimolante pertanto analizzare la fattispecie relativa alla sentenza emessa dal tribunale di Treviso il 7 dicembre 2004; due risparmiatori avevano ordinato alla banca l’acquisto di obbligazioni argentine nell’aprile del 1998, quando era già da tempo risaputo che la situazione economica del Paese era a dir poco problematica, il tribunale di Treviso accertò in questa occasione che la banca aveva assolto ai suoi doveri informativi, rendendo noto ai due malcapitati i rischi relativi all’acquisto di obbligazioni di altri Paesi, per cui ritenne che non doveva essere imputata alla banca la mancata informazione sui profili di rischio, in quanto molti di questi (profili) al tempo in cui fu dato l’ordine, non erano conosciuti o comunque conoscibili dalla banca nemmeno adoperando la diligenza professionale.

Autorevole dottrina[12] ha ritenuto che nei servizi di investimento il cliente sia tipicamente il soggetto meno informato, ed infatti si deve ritenere che “l’informazione resa al cliente tramite il rispetto delle forme informative non determina, nella realtà, il riequilibrio delle conoscenze fra le parti”[13]. Alla luce del caso analizzato, nel quale nonostante sia stato accertato dal tribunale il rispetto degli obblighi informativi, le parti abbiano comunque riportato delle perdite connesse ad una non assoluta percezione dei rischi, ed alla luce delle teorie dottrinali che non ritengono sufficienti per prevenire le criticità in questione le disposizioni in materia di informazione, sembra dunque necessario concludere che il rispetto delle forme informative non esaurisca in toto gli obblighi di trasparenza; a cosa vuole dunque alludere il legislatore quando all’art 21 T.U.F. utilizza l’avverbio adeguatamente? Si fa riferimento al fatto che il cliente deve essere reso edotto circa la natura e i rischi dell’operazione, avendo però cura che questo comprenda davvero quali siano i rischi che si contrappongono al suo interesse.

 Ordunque, al di là di quelle che sono le forme di informazione che la legge predispone, bisogna ritenere che, al fine di adottare una tutela effettiva nei confronti del cliente, e di conseguenza al fine di consentire ad egli di prestare un consenso davvero informato, gli obblighi informativi non debbono avere limitazioni in relazione all’oggetto, ma debbono assumere una consistenza, in termini di contenuto, che si articola di volta in volta a seconda delle esigenze del singolo caso concreto, questo impone che gli obblighi informativi predisposti dalla legge vengano si rispettati, ma come mero punto di partenza, ponendoli a latere di una eventuale ed ulteriore spiegazione dei rischi che l’operatore ritiene opportuna per la cura dell’interesse sostanziale del cliente.

[1]      Nello specifico, d.lgs 1 settembre 1993, n.385.

[2]      P. Schlesinger, La riforma delle tutele del risparmio. Il progetto del Governo, in Corr. Giur., 2004, 287.

[3]      S. Grundmann, L’autonomìa privata nel mercato interno: le regole d’informazione come strumento, in Eur. Dir. Priv., 2001, 302.

[4]      AA.VV., Giustizia sociale nel diritto contrattuale europeo: un manifesto, In Riv. Crit. Dir. Priv., 2005, 112.

[5]      A. Nigro, la tutela del risparmio e l’efficienza del sistema: il ruolo delle banche, in società, 2005, 315.

[6]      F. Bocchicchio , servizi di investimento e obbligazioni in “selling restriction”: individuazione dei divieti e dei limiti, in banca, borsa, tit. cred., 2005, I, 210.

[7]      Ad esempio, M. Spinelli, G. Gentile, Diritto Bancario, Cedam, Padova, 1991.

[8]      Ed infatti il provvedimento normativo si intitola The truth in leading Act, è una legge federale degli Stati Uniti, risalente al 1968, progettata per promuovere l’uso informato del diritto al consumo.

[9]      In tal senso anche A. Gentili, Informazione contrattuale e regole dello scambio, in Riv. Dir. Priv., 2004, 762.

[10]    Così denominato il Testo unico Finanziario, d.lgs 24 febbraio 1998, n.58.

[11]   La lettera degli articoli è disponibile qui:

[12]    M. De Poli, Servono ancora I “raggiri” per annullare il contratto per dolo? Note critiche sul concetto

       di reticenza invalidante, in riv. Dir. Civ. , 2004, II, 920.

[13]    D. Maffeis., diritto e prassi del mercato finanziario, G. Giappichelli editore, Torino, 2016, p.67.

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