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La 50esima ratifica del TPAN: verso l’illiceità delle armi nucleari

Introduzione

Il 23 ottobre scorso il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPAN)[1] ha raggiunto la 50esima ratifica, che ne ha di fatto sancito l’entrata in vigore a partire dal prossimo 21 gennaio 2021. I negoziati sono iniziati a New York, presso le Nazioni Unite, nel marzo 2017, il Trattato è stato aperto alla firma di tutti gli Stati nel settembre dello stesso anno e sottoposto ad una condizione: per entrare in forza avrebbe dovuto essere ratificato da parte di almeno cinquanta Stati. Il TPAN sarà il primo atto internazionale in assoluto a proibire esplicitamente l’utilizzo, la minaccia dell’uso, lo sviluppo, la produzione e l’immagazzinamento di armi nucleari.

Le isole del Pacifico hanno giocato un ruolo fondamentale per l’entrata in vigore di questo Trattato (10 sui 50 firmatari); le Fiji, Kiribati, Nuova Zelanda, Palau, Samoa, Tuvalu, Vanuatu sono state le prime Nazioni firmatarie nel settembre 2017[2]. E non è un caso: infatti questi Stati hanno una storia di dura opposizione alle armi nucleari, avendo subito direttamente i danni ambientali e sanitari causati da 315 test nucleari condotti nella loro zona. Il Trattato impegna anche gli Stati firmatari a ripulire le zone contaminate e ad aiutare le vittime. Al di fuori delle previsioni di questo Trattato, regna da molti anni l’incertezza sulla liceità o meno di questo tipo di armi e gli stessi organismi internazionali hanno sempre evitato di sbilanciarsi sull’argomento.

La minaccia o l’uso delle armi nucleari: il parere della Corte di Giustizia internazionale

Al di fuori del TPAN, la liceità o meno riguardo a detenzione, utilizzo, minaccia dell’uso di armi nucleari non è mai stata chiara. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha chiesto un parere consultivo alla Corte di Giustizia internazionale[3] domandando se l’uso o la minaccia delle armi nucleari fossero ammessi in ogni circostanza[4].

La Corte ha di fatto configurato l’ipotesi estrema in cui sarebbero leciti l’uso o la minaccia di questa tipologia di armi, nel caso in cui l’esistenza dello Stato sia messa in pericolo, pur non essendo giunta a una soluzione definitiva. Gli Stati che sostengono l’illiceità dell’uso delle armi atomiche sostengono chesi tratti di armi indiscriminate, il cui utilizzo viola il principio di neutralità, dal momento che gli effetti dell’uso si ripercuotono anche su Stati direttamente non coinvolti dal conflitto

Legittima difesa o violazione del diritto umanitario?

Come noto, uno dei fini delle Nazioni Unite è il mantenimento della pace internazionale, optando per una soluzione pacifica delle controversie[5]. L’articolo 2(4) della Carta delle Nazioni Unite sancisce che “ i membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza […]”; questo divieto di uso della forza deve essere considerato e contemperato con altre previsioni della Carta : l’art. 51 che riconosce il diritto individuale e collettivo alla legittima difesa nel caso di attacco e l’art. 42, che prescrive che il Consiglio di Sicurezza può adottare misure militari sotto il capitolo VII, qualora le misure non implicanti l’uso della forza ex art. 41 si rivelino inadeguate. È bene sottolineare che tutte queste previsioni non fanno riferimento a specifiche tipologie di armi ma a qualsiasi tipo di uso della forza.

La Corte di Giustizia internazionale sembra ammettere, o quantomeno non escludere, uno degli usi più controversi delle armi nucleari cioè quello ai fini di legittima difesa. La legittima difesa, per essere tale, deve essere subordinata al rispetto di regole e princìpi del diritto internazionale umanitario[6], ius in bellum. Tra i princìpi fondamentali ricordiamo il principio della proporzionalità di derivazione consuetudinaria[7], in forza del quale deve sussistere proporzionalità tra i vantaggi militari conseguiti mediante l’azione bellica e i danni indiretti provocati;  secondo lo Statuto della Corte penale internazionale, dunque, è contrario a questo principio sferrare un attacco nella consapevolezza che causerà la perdita di vite umane tra i civili o danni a obiettivi civili che sia eccessivo rispetto al complessivo, concreto e diretto vantaggio militare previsto[8] .

In secondo luogo, il principio della necessarietà, da considerare in uno stretto rapporto con quello di proporzionalità e come limite generale all’azione bellica, si riferisce al fatto che il ricorso all’uso della forza deve essere lo strumento residuale cui ricorrere quando tutte le vie pacifiche siano risultate fallimentari, con l’avvertimento che, comunque, tale principio non può mai essere evocato quale causa di giustificazione per esperire un’azione altrimenti vietata[9]. Tramite l’art. 35 del I Protocollo Addizionale[10], si sancisce che “in ogni conflitto armato il diritto delle Parti in conflitto di scegliere metodi e mezzi di guerra non è illimitato”, infatti è proibito l’uso di proiettili o materie atti a cagionare inutili sofferenze[11] . L’art. 35 fa riferimento al principio di umanità, c.d. Clausola Martens, inserita nel preambolo della seconda Convenzione dell’Aja del 1899 e riaffermata nella quarta Convenzione dell’Aja del 1907, che ha carattere residuale, poiché mira a tutelare la persona umana da quanto non espressamente sancito dai principi e dal diritto vigente dei conflitti armati, riferendosi alla coscienza pubblica e al senso di umanità, bandendo a tal fine le armi che causano inutili sofferenze.

Ad ampliare ulteriormente il novero delle armi e delle condotte vietate interviene il principio di distinzione: Il I Protocollo, nell’art. 51, par. 4 proibisce gli attacchi indiscriminati effettuati con mezzi di combattimento “i cui effetti non possono essere limitati” e quindi “[…] atti a colpire indistintamente obiettivi militari e persone civili o beni di carattere civile”. Dalla sintesi dei princìpi appena esposti e grazie allo sviluppo giurisprudenziale e del diritto positivo si ricavano categorie delle armi vietate[12], da considerarsi comunque esemplificative e non esaustive, tra le quali non vengono menzionate esplicitamente le armi nucleari. Al contempo, il diritto umanitario stesso non potrebbe proibire efficacemente l’uso di armi nucleari in quanto trattasi di ius in bellum, quindi diritto applicabile quando un conflitto armato inizia, dove invece l’utilizzo di un’arma nucleare può causare la distruzione di un intero Stato prima che il conflitto sorga. La Corte ha comunque affermato che non ha elementi sufficienti ad escludere che l’uso delle armi nucleari sia sempre illegale alla luce del diritto internazionale umanitario, perché non può non tenere in considerazione il diritto di ogni Stato di sopravvivere e la legittima difesa di ciascuno quando ne è a rischio la sopravvivenza. La Corte Internazionale di Giustizia è giunta alla conclusione secondo cui la stessa non dispone di elementi sufficienti “per poter concludere con certezza che l’impiego delle armi nucleari sarebbe necessariamente contrario ai principi e alle regole applicabili nei conflitti armati in ogni circostanza”[13] , affermando però, allo stesso tempo, come l’uso delle armi nucleari sarebbe necessariamente contrario alle norme del diritto internazionale applicabile ai conflitti armati, nello specifico al diritto umanitario. Nonostante ciò, “la Corte non può tuttavia concludere in modo definitivo se la minaccia o l’impiego delle armi nucleari sarebbero leciti o illeciti in una situazione estrema di legittima difesa in cui la stessa sopravvivenza dello stato sarebbe messa in causa “[14].

Policy della deterrenza 

Alcuni Stati – come, ad esempio, gli Stati Uniti d’America –  sostengono che possedere armi nucleari costituisca esso stesso un disincentivo per gli altri stati ad utilizzare le armi nucleari: è la c.d. politica della deterrenza, molto utilizzata durante la Guerra fredda in cui la sicurezza di mutua distruzione ha evitato che gli Stati si distruggessero vicendevolmente. D’altro canto, altri Stati sono contrari alle armi nucleari, sostenendo che il non utilizzo delle stesse dal 1945 avrebbe creato una opinio iuris volta a metterle al bando. Si ribatte da parte degli Stati contrari che il mancato utilizzo non è imputabile alla creazione di una norma consuetudinaria, bensì all’assenza di necessità. La nascita della lex lata è pertanto bloccata dagli Stati che sostengono la policy della deterrenza. La Corte stessa, nel parere consultivo, ha detto che non è in grado di esprimersi sull’esistenza o meno di una opinio iuris al riguardo.

Neanche i Trattati soccorrono alla determinazione del bando delle armi nucleari: interpretando restrittivamente quelli esistenti, infatti, l’uso sarebbe vietato ma non si tratterebbe di un divieto generalizzato, come nel caso delle armi batteriologiche e chimiche[15]. Nello specifico, il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari non vieta il possesso di armi nucleari ma pone solo delle limitazioni[16]; gli Stati firmatari si sono infatti accordati per non utilizzarle in determinate zone ma si riservano il diritto di utilizzarle in certe circostanze.

Le misure del Consiglio di Sicurezza atte a contenere/impedire la proliferazione di armi di distruzione di massa

in virtù della sua competenza in materia di controllo degli armamenti ex art. 26, capitolo VII della Carta, il Consiglio di Sicurezza è competente a adottare misure specifiche allo scopo di impedire la proliferazione di armi di distruzione di massa, ,. Il Consiglio non ha un mero compito sanzionatorio ma anche un vero e proprio diritto di intervento che ha esercitato in varie occasioni e con modalità differenti.

Il Consiglio ha adottato plurime misure[17] per il disarmo iracheno prima dell’intervento da parte degli Stati Uniti D’America e dell’Inghilterra del 2003 al fine di smantellare l’arsenale di armi di distruzione di massa in Iraq, nonché di vietare di produrre o acquisire armi nucleari o materiale fissile. L’operato delle Nazioni Unite è sempre stato osteggiato dal governo iracheno e la denuncia di tale atteggiamento è contenuta nella risoluzione 1441 del 2002, la cui violazione è stato uno dei motivi di intervento della coalizione di Stati nel 2003 in Iraq.

Nel 2004, mediante la risoluzione 1540, il Consiglio di Sicurezza è intervenuto allo scopo di impedire che armi di distruzione di massa cadessero nelle mani di terroristi, c.d. “attori non statali”. A seguito di questa risoluzione, gli Stati sono obbligati a adottare una legislazione ad hoc e a stabilire effettive misure di controllo e di contrasto dei traffici illeciti. Si tratta di una risoluzione legislativa mediante la quale il Consiglio ha adottato delle disposizioni immediatamente vincolanti per evitare lungaggini connesse all’entrata in vigore di un eventuale Trattato: l’urgenza della questione richiedeva un intervento tempestivo.

Il Consiglio di Sicurezza può anche adottare misure individuali e specifiche contro gli Stati per evitare la proliferazione di armi di distruzione di massa. Ciò è stato fatto ad esempio nei confronti della Corea del Nord, dopo il test nucleare del 2006[18] e nei confronti dell’Iran[19]  per impedire che quest’ultimo utilizzasse a scopi militari il materiale nucleare, anziché usarlo per scopi civili. La risoluzione 1718 sancisce l’inizio di un periodo segnato dall’incremento del numero di sanzioni e condanne nei confronti della Corea del Nord per i ripetuti esperimenti nucleari e per la sperimentazione di missili balistici[20].

Conclusioni

Andare in contrasto con l’art. 2(4) e 51 è illegale per qualsiasi tipo di arma. La Corte, configurando una sorta di diritto estremo alla legittima difesa nel caso in cui l’esistenza di uno Stato sia messa in discussione, non si esprime su una liceità o meno sull’uso delle armi nucleari in tale situazione, di fatto non vietandole. Vi è però largo consenso sul fatto che l’uso delle armi nucleari deve essere compatibile con il diritto umanitario, che tuttavia non contiene specifiche proibizioni e sembra in ogni caso soccombere davanti al diritto di legittima difesa. Non va però dimenticato che gli Stati sono parte di una comunità internazionale che verrebbe messa a rischio dall’utilizzo di tali armi, potenzialmente in grado di mettere in pericolo la sopravvivenza dell’intero genere umano.

Il TPAN non è senz’altro risolutivo, anche alla luce del fatto che i maggiori detentori di armi nucleari non ne sono firmatari; nemmeno l’Italia è parte di questo Trattato, poiché è Stato membro NATO e detiene testate nucleari americane sul suo territorio. Gli interventi del Consiglio di Sicurezza volti al disarmo e al contenimento della proliferazione dell’armamento nucleare non paiono sufficienti, dal momento che non sono effettivamente in grado di prevenire l’utilizzo di armi nucleari. In taluni casi hanno addirittura portato a rotture con il multilateralismo, attraverso interventi unilaterali degli Stati, come paradigmaticamente accadde in Iraq. Inoltre, il Consiglio di Sicurezza interviene sempre ex post rispetto alla notizia di detenzione di armi nucleari, non potendo di conseguenza scongiurare in tempi rapidi l’impiego di suddette armi. L’adesione al TPAN sembra configurarsi come la soluzione più adeguata ad evitare l’utilizzo delle armi nucleari, poiché ne vieta anche l’immagazzinamento delle armi, di fatto prevenendone un loro utilizzo.

 

[1] UNITED NATIONS, Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons, disponibile qui:

2ICAN, “Signature and ratification status”, disponibile qui: https://www.icanw.org/signature_and_ratification_status

[3] Corte di Giustizia Internazionale, Legality of the Threat or Use of Nuclear Weapons, Advisory Opinion, I.C.J. Reports 1996, p. 226

[4] Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Res. 49/75 K, 15 dicembre 1994

[5] Carta delle Nazioni Unite, Art. 1

[6] Corte di Giustizia Internazionale, Legality of the Threat or Use of Nuclear Weapons, Advisory Opinion, par. 41,42, I.C.J. Reports 1996, p. 226

[7] una specifica regola è sancita nel Caso Military and Paramilitary Activities in and Against Nicaragua (Nicaragua v. United States of America) (I.C.J. Reports 1986, p.94, par. 176)

[8] Corte Penale Internazionale, Statuto della Corte Penale Internazionale, Art. 8, n. 2

[9] J. Gardam, Necessity, Proportionality and the Use of Force by States, edizione 2004

[10] Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali, 8 giugno 1977, disponibile qui: https://www.admin.ch/opc/it/classified-compilation/19770112/200406150000/0.518.521.pdf

[11] AJA, Regolamento concernente le leggi e gli usi della guerra per terra, Art. 23, ottobre 1907

[12] Per l’elenco vedesi : M. Carotenuto, Compendio di Diritto internazionale umanitario, edizione 2014

[13] Corte di Giustizia Internazionale, Legality of the Threat or Use of Nuclear Weapons, Advisory Opinion, par. 95 , I.C.J. Reports 1996, p. 226

[14] Corte di Giustizia Internazionale, Legality of the Threat or Use of Nuclear Weapons, Advisory Opinion, par. 105, I.C.J. Reports 1996, p. 226

[15] Corte di Giustizia Internazionale, Legality of the Threat or Use of Nuclear Weapons, Advisory Opinion, par. 58, I.C.J. Reports 1996, p. 226

[16] Consiglio di Sicurezza, Risoluzioni 255, 984, 1968, 1995,

[17] UNSCOM, UNMOVIC, AIEA

[18] Consiglio di Sicurezza, Risoluzione 1718 – 2006

[19] Consiglio di Sicurezza, Risoluzione 1696 – 2006

[20] Consiglio di Sicurezza, Risoluzioni: 1874 – 2009, 2094 – 2013, 2141 – 2014, 2321 – 2016, si veda . Ronzitti, Diritto internazionale dei conflitti armati, edizione 2017.

Valentina Tramontano

Valentina Tramontano, laureanda presso la Facoltà di Giurisprudenza di Modena e Reggio Emilia. Ha partecipato a simulazioni delle sedute ONU presso il quartiere generale a New York. Appassionata di diritto umanitario, punta a lavorare presso un’organizzazione internazionale. Collaboratrice dell’area di diritto internazionale con particolare interesse per il settore dei conflitti armati.

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