venerdì, Marzo 29, 2024
Criminal & Compliance

La Cassazione mette la parola fine alla vicenda Impregilo

(Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 23401, 11 novembre 2021 – 15 giugno 2022).

1. La complessa vicenda giudiziaria.

Il Presidente del Consiglio di Amministrazione e l’Amministratore Delegato della Impregilo S.p.a. venivano rinviati a giudizio per il delitto di aggiotaggio, con l’accusa di aver comunicato notizie false ai mercati circa la solvibilità e le previsioni di bilancio di altra società controllata.

In conseguenza, veniva elevata contestazione di illecito amministrativo ex art. 25 ter, lett. r), D. Lgs. n. 231/2001, nei confronti della Impregilo S.p.a., in quanto il delitto richiamato sarebbe stato commesso nell’interesse ed a vantaggio della medesima società.

Il 17 novembre del 2009 il Gip del Tribunale di Milano aveva assolto la società, ritenendo che il modello organizzativo della Impregilo fosse idoneo a ridurre il rischio di commissione dei reati contestati ai vertici aziendali.

A seguito dell’appello interposto dal Pubblico Ministero, la Corte Territoriale meneghina respingeva il gravame, confermando l’adeguatezza del modello e ritenendo, altresì, elusiva la condotta degli apicali della stessa società.

Il processo giungeva quindi in Cassazione, la quale, diversamente, accoglieva il ricorso del Procuratore Generale ed annullava con rinvio la sentenza d’appello, oggetto di impugnazione.

La Suprema Corte, infatti, da un lato riteneva il modello organizzativo della società non idoneo, e dall’altro lato sosteneva che la condotta degli apici non configurasse un’ipotesi di elusione fraudolenta, come tale idonea ad esonerare l’ente da responsabilità secondo quanto previsto dall’art. 6, comma 1, lett. c), D. Lgs. n. 231/2001.

Il 10 dicembre 2014 la Corte Territoriale, in veste di Giudice del rinvio, confermava la sentenza assolutoria, mutandone peraltro la formula. La Corte, in sintesi, affermava che: il modello della società era idoneo; l’unica ipotesi sostenibile, in ordine alla condotta dei vertici sociali, era quella dell’esistenza di un accordo collusivo tra costoro, teso alla diffusione di informazioni false; tale accordo, infine, aveva realizzato un’elusione fraudolenta del modello.

Avverso la sentenza d’appello proponeva nuovamente ricorso per Cassazione la Procura Generale, all’esito del quale veniva emessa sentenza l’11 novembre 2021, con pubblicazione delle motivazioni in data 15 giugno 2022.

Di seguito, si ricostruiscono i passaggi fondamentali della pronuncia in commento.

2. L’idoneità del modello organizzativo della Impregilo.

Il primo elemento esaminato dalla Suprema Corte, necessario a definire la configurabilità, o meno, dell’illecito contestato all’ente, è quello dell’idoneità del modello organizzativo adottato dalla società Impregilo.

Come noto, il modello organizzativo rappresenta uno degli elementi centrali per la fruizione, da parte dell’ente incolpato, della condizione esimente prevista dall’art. 6, Decreto 231. A mente della norma citata, infatti, “l’ente non risponde se prova che (…)”, tra l’altro, “ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi”.

Gli Ermellini muovono da un primo fondamentale dato interpretativo: l’inciso previsto dall’art. 6, nonostante il suo tenore letterale, non configurerebbe alcuna inversione dell’onere della prova. Al contrario, come autorevolmente sostenuto anche dalle Sezioni Unite[1], graverebbe sempre sull’accusa l’onere di dimostrare gli elementi indicativi della colpa di organizzazione dell’ente, che rendono autonoma la responsabilità del medesimo ai sensi del Decreto 231.

Ulteriore corollario del significato di idoneità del modello, poi, è la rilevanza, o meno, dell’effettiva consumazione del reato. I Giudici ribadiscono come non possa darsi alcun rilievo al fatto che un reato sia stato effettivamente commesso, giacchè, altrimenti, la condizione di esonero non potrebbe mai trovare applicazione.

Analizzando il portato dell’art. 6, l’idoneità del modello deve essere parametrata all’accettabilità del rischio reato: e tale rischio viene ritenuto congruo quando il sistema di prevenzione “non possa essere aggirato se non fraudolentemente, a conferma del fatto che il legislatore ha voluto evitare di punire l’ente secondo un criterio di responsabilità oggettiva[2]”.

Pertanto, il modello non può escludere tout court il rischio-reato, necessariamente insito nell’attività d’impresa, ma deve escludere la reiterazione degli illeciti già commessi. Il Giudice sarà chiamato, volta per volta, ad una valutazione di idoneità del modello, che dovrà essere sempre condotta in concreto, e non in astratto.

Così delineati i principi sottesi alla materia in discorso, la Corte passa ad esaminare l’idoneità del modello adottato dalla Impregilo.

In particolare, in relazione al reato di aggiotaggio, il modello prevedeva una specifica procedura di autorizzazione dei comunicati stampa, che passava anche per l’ufficio relazioni esterne, oltre alla definitiva revisione ed approvazione del comunicato da parte dei vertici della società.

A parere del Collegio, dunque, le prescrizioni contenute nel modello potevano dirsi adeguate per prevenire i reati di comunicazione, anche alla luce del momento di commissione del reato (consumatosi all’indomani dell’introduzione, nel nostro ordinamento, della responsabilità da reato degli enti). Le procedure adottate dalla Impregilo realizzavano un congruo presidio preventivo, tale da concludere per l’idoneità del modello adottato dalla stessa società.

Fin qui, dunque, nessun problema[3]”.

3. L’organismo di vigilanza della Impregilo S.p.a.

      3.1 L’autonomia dell’organismo di vigilanza.

Ulteriore requisito previsto dalla condizione esimente, nel caso di reato commesso da soggetto apicale, è quello che richiede all’ente di aver affidato la vigilanza sul funzionamento e l’osservanza del modello, nonché il suo aggiornamento, ad un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo (art. 6, comma 1, lett. b), D. Lgs. n. 231/2001).

Per prima cosa, dunque, occorre valutare se l’organismo in questione sia dotato della necessaria autonomia rispetto ai vertici societari: requisito necessario per far sì che l’organo in questione possa assolvere in modo pieno i compiti demandatigli.

In Impregilo, l’organismo de quo aveva una composizione monocratica, ed era rappresentato dal responsabile dell’internal auditing della società.

Dato che la risorsa assegnata all’organismo di vigilanza era un soggetto posto alle dirette dipendenze dei vertici apicali, la Corte comprende come possa dubitarsi della ragionevole garanzia di autonomia dell’organismo stesso.

Cionondimeno, osservano acutamente i Giudici, la lacuna del modello deve avere efficienza causale rispetto alla commissione del reato. “Una responsabilità di Impregilo potrebbe ravvisarsi solo se la mancanza, in conseguenza del modello adottato, di un’adeguata garanzia di autonomia del compliance officer aziendale abbia permesso a presidente ed amministratore delegato di divulgare le false informazioni al mercato[4].

Tale efficienza causale è del tutto assente nel caso di specie. Infatti, il reato di aggiotaggio commesso da S. ed R. è stato il frutto di un’iniziativa estemporanea di costoro, rispetto al quale il grado di autonomia dell’organismo di vigilanza è elemento del tutto indifferente, non essendo dimostrato che la diffusione del falso comunicato sia avvenuto proprio a cagione della mancanza di autonomia del ridetto organismo.

       3.2 I poteri dell’organismo di vigilanza.

In ordine ai poteri che pertengono all’organismo di vigilanza nell’ambito della compliance aziendale, la Suprema Corte effettua alcune doverose precisazioni.

Ad avviso degli Ermellini, l’organismo di cui all’art. 6, Decreto 231, non può essere considerato una sorta di supervisore dell’attività degli organi dirigenziali: il suo compito sarebbe soltanto quello di individuare e segnalare le criticità del modello e della sua attuazione. Non vi è spazio, nell’attività dell’organismo, per le responsabilità di gestione della società, che ne minerebbero la stessa autonomia. “Ad esso spettano, piuttosto, compiti di controllo sistemico continuativo sulle regole cautelari predisposte e sul rispetto di esse nell’ambito del modello organizzativo di cui l’ente si è dotato[5]”.

Nel caso in esame, la precedente sentenza di annullamento della Corte di Cassazione ha chiesto al Giudice del rinvio di verificare se all’organismo di vigilanza della Impregilo fosse consentita una dissenting opinion sul contenuto della falsa comunicazione.

I Giudici osservano come una opinione dissenziente non potrebbe comunque investire il merito della comunicazione, dato che l’amministrazione della società, nonchè le scelte operative e di indirizzo, competono all’organo gestorio e non certo, come dianzi ricordato, all’organismo di vigilanza.

Il presidio preventivo, individuato in una eventuale dissenting opinion, perciò, non avrebbe sortito alcuna utilità nella prevenzione del rischio-reato.

In conclusione, la Corte ribadisce come il modello adottato da Impregilo, sulla scorta delle considerazioni effettuate, fosse idoneo, essendo ineliminabile un margine di autonomia degli organi gestori nell’ambito della divulgazione dei comunicati.

4. Il requisito dell’elusione fraudolenta.

L’ultimo profilo esaminato dai Giudici di Piazza Cavour riguarda uno dei requisiti più spinosi dell’intero sistema 231: segnatamente, quello dell’elusione fraudolenta del modello.

E’ noto che, per poter fruire dell’esimente ex art. 6, Decreto 231, il modello di organizzazione dell’ente debba essere stato eluso fraudolentemente dagli organi apicali.

A parere dei giudici, il concetto di elusione implica una condotta di natura decettiva, mentre il predicato di fraudolenza, a rafforzamento della parola “elusione”, evidenzia l’insufficienza della semplice e frontale violazione delle regole del modello: è necessaria, dunque, una condotta ingannatoria, o più precisamente “una condotta ingannevole, falsificatrice, obliqua, subdola[6]”.

La condotta della persona fisica, dunque, realizza l’elusione fraudolenta del modello non già quando il reato rappresenti il prodotto di una disorganizzazione dell’ente, bensì qualora il reato si realizzi nonostante l’adeguatezza dell’organizzazione, aggirabile solo tramite una condotta ingannevole.

Fatte tali premesse, la Corte arriva al cuore della decisione: ad avviso dei Giudici, la condotta tenuta dal presidente e dall’amministratore delegato della società è stata realizzata in modo fraudolentemente elusivo del modello organizzativo.

Infatti, costoro avrebbero sfruttato il loro spazio di autonomia per alterare i dati, attraverso un accordo estemporaneo e repentino, tale da rendere impossibile qualsiasi interlocuzione da parte di altri organi sociali. Un siffatto comportamento risulterebbe munito di efficacia decettiva: per usare le parole della Corte, si tratterebbe di una condotta “falsificatrice (…) nonché ingannevole e subdola, perché prodotta da un’intesa occulta e repentina tra i suoi autori[7] (…)”.

In conclusione, pertanto, il ricorso del Procuratore Generale viene rigettato.

5. Brevi note conclusive.

La sentenza che si è brevemente commentata chiude la “vicenda infinita” relativa alla società Impregilo S.p.a.

Le motivazioni offerte dalla Suprema Corte affrontano numerosi temi di rilevante interesse in ordine alla disciplina della responsabilità amministrativa degli enti.

In particolare, oltre a ribadire le coordinate ermeneutiche relative ai requisiti propri dell’organismo di vigilanza, la pronuncia si fa apprezzare per l’analitica spiegazione del concetto di “elusione fraudolenta”, vero e proprio tallone d’Achille della disciplina esimente ed elemento spesso contrastante con l’idoneità del modello organizzativo.

La Cassazione, nel disattendere quanto specificato dalla stessa Corte nella pronuncia di annullamento con rinvio, considera come la falsata comunicazione dei dati al mercato, frutto di una decisione estemporanea e collusiva degli amministratori, sia una condotta falsificatrice nel senso inteso dall’art. 6, comma 1, lett. c), D. Lgs. 231/2001.

Si tratta di una decisione coraggiosa che, lungi dall’estendere le maglie del requisito dell’elusione fraudolenta, conduce, in ogni caso, ad una delle prime e più importanti applicazioni pratiche di tale requisito esimente.

L’elusione fraudolenta, infatti, ha rappresentato una sorta di kryptonite per gli enti che, pur dotandosi di un modello organizzativo adeguato, spesso non sono riusciti a dimostrare l’esistenza di una condotta falsificatrice dell’apicale.

Si tratta di una decisione, pertanto, che certamente farà scuola per tutto il sistema della responsabilità da reato delle persone giuridiche.

Fonte immagine: www.pixabay.com

[1] Cass. Pen., Sez. Unite, sent. n. 38343, 24 aprile 2014.

[2] Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 23401, 15 giugno 2022.

[3] Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 23401, 15 giugno 2022.

[4] Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 23401, 15 giugno 2022.

[5] Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 23401, 15 giugno 2022.

[6] Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 23401, 15 giugno 2022.

[7] Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 23401, 15 giugno 2022.

Dario Quaranta

https://avvocatodarioquaranta.it/ Avvocato penalista, nato nel 1993. Ha conseguito il Master universitario di secondo livello in Diritto Penale dell'Impresa, presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore, con la votazione di 30/30 e lode, ottenendo altresì il premio indetto dall'Associazione AODV231 destinato ad uno studente del Master distintosi per merito, ex aequo con altro partecipante. E' membro dell'Osservatorio Giovani e Open Day dell'Unione delle Camere Penali Italiane ed è responsabile della Commissione Giovani della Camera Penale di Novara. Frequenta dal 2021 il Corso biennale di tecnica e deontologia dell’avvocato penalista, attivato dalla Camera Penale di Torino. Si laurea in Giurisprudenza all'Università del Piemonte Orientale con la votazione di 110/110, discutendo una tesi in diritto penale intitolata: "La tormentata vicenda del dolo eventuale: il caso Thyssenkrupp ed altri casi pratici applicativi". Durante gli studi universitari ha effettuato un tirocinio di 6 mesi presso la Procura della Repubblica di Novara, partecipando attivamente alle investigazioni ed alle udienze penali a fianco del Pubblico Ministero. Da Maggio 2018 è Praticante Avvocato presso lo Studio Legale Inghilleri e si occupa esclusivamente di diritto penale. Da Dicembre 2018 è abilitato al patrocinio sostitutivo. Ad Ottobre del 2020 consegue l'abilitazione all'esercizio della professione di Avvocato presso la Corte d'Appello di Torino, riportando voti elevati nelle prove scritte (40-35-35) ed agli orali. Nel corso della sua attività professionale ha affrontato molte pratiche di rilievo, inerenti in particolar modo i delitti contro la Pubblica Amministrazione,  i delitti contro la persona, contro la famiglia e contro il patrimonio, nonchè in tema di reati tributari, reati colposi, reati fallimentari e delitti relativi al DPR n.309/1990. Si è occupato inoltre di importanti procedimenti penali per calunnia e diffamazione. Ha sostenuto numerose e rilevanti udienze penali in completa autonomia. E' collaboratore dell'area di Diritto Penale di Ius In Itinere e di All-In Giuridica, ed ha pubblicato un contributo sulla rivista Giurisprudenza Penale . E'altresì autore della sua personale rubrica di approfondimento scientifico, denominata "Articolo 40", disponibile sul sito della Camera Penale di Novara. Vanta 46 pubblicazioni sulle menzionate riviste e banche dati, tra contributi autorali e note a sentenza. Indirizzo mail: dario.quaranta40@gmail.com

Lascia un commento